Gli Slam offrono più soldi, ma i tornei ATP? Se lo sono domandati Ferreira e Henman. Noi abbiamo dato un’occhiata ai montepremi degli ultimi 20 anni e abbiamo scoperto che….
Martin Alund, numero 99 ATP, nel 2013 ha intascato meno di 70.000 dollari (lordi)
Di Riccardo Bisti – 27 aprile 2013
Tim Henman era un bel tipo. Il suo serve and volley piaceva a molti, ma "Timbledon" era un po’ snob. Oggi, a diversi anni dal ritiro, ha sviluppato una riflessione più da sindacalista che da lord. Impegnato a Southampton, dove sta adempiendo i doveri di ambasciatore HSBC, ha parlato del recente aumento di montepremi di Wimbledon. L’edizione 2013 offrirà il 40% di denaro in più, con aumenti ancora più sostanziosi per chi perde al primo turno (circa il 60%). Henman si è accodato, sia pure con termini più morbidi, all’ex avversario Wayne Ferreira. Lo scorso dicembre, il sudafricano disse che i giocatori avrebbero fatto bene a minacciare di boicottare non tanto gli Slam, quanto i tornei del circuito ATP. A suo dire, i montepremi degli Slam erano sempre aumentati, mentre nel circuito erano grossomodo gli stessi. Detto che la proposta di Ferreira era quantomeno curiosa, perchè di fatto chiedeva ai giocatori di boicottare…se stessi (visto che è la stessa ATP a gestire il circuito), l’ATP rispose piccata qualche giorno dopo, dicendo che nell’ultimo decennio il montepremi complessivo dei tornei ATP è cresciuto del 58,2% (circa 31 milioni di dollari). Detto che la crescita degli Slam è ancora più elevata (anche senza tenere conto della recente impennata), è interessante ascoltare l’opinione di Henman. Il britannico ha detto che viene posta troppa enfasi sull’aumento del montepremi negli Slam, mentre i giocatori dovrebbero essere in grado di sostenersi grazie all’attività nel circuito, che rappresenta il 70-80% dell’attività.
“Ricordo ancora quando ho giocato il mio primo torneo challenger nel 1990, a Singapore – ha ricordato – il montepremi era di 50.000 dollari. Ventitre anni dopo, i challenger pagano ancora esattamente le stesse cifre. I tennisti non devono guardare soltanto gli Slam, ma anche i tornei gestiti autonomamente, e domandarsi come mai non sono stati aumentati i premi”. L’incremento dei montepremi negli Slam, poi, causa un effetto collaterale: la guerra furibonda per ottenere una wild card. I 27.000 euro per chi perde al primo turno fanno gola ai giocatori non compresi tra i primi 100, molto di più di chi è ammesso direttamente in tabellone. “In un modo o nell’altro, la maggior parte dei giocatori nel main draw stanno piuttosto bene economicamente, ma bisogna dare una mano a chi è fuori dai primi 60. In questo momento, il numero 100 del mondo non guadagna abbastanza. La gente deve sapere che con il tennis è in grado di costruirsi una vita e un futuro, mentre oggi non è così e per questo molti bambini, molti talenti, vengono dirottati su altri sport quando hanno 7-8 anni di età. Ed è proprio in quel momento che dovrebbero prendere una racchetta in mano”. Il tennis, in effetti, vive una situazione anomala. E’ uno dei pochissimi sport (forse l’unico?) in cui il circuito mondiale (o almeno buona parte) è gestito direttamente dai giocatori tramite l’ATP (per gli uomini) e la WTA (tra le donne). Se è vero che nel 2014 il circuito ATP arriverà a distribuire 90 milioni di dollari, è altrettanto verso che gli Slam offrono molto di più. Ma soprattutto è la distribuzione a lasciare perplessi. Diamo un’occhiata a cinque tornei ATP scelti dal calendario (un 1000, un 500 e tre 250) e vediamo come si è sviluppato il loro montepremi negli ultimi 20 anni.
MASTERS 1000 INDIAN WELLS
1993 – 1.400.000$
2003 – 2.200.000$
2013 – 5.191.943$
ATP 500 BASILEA
1993 – 775.000$
2003 – 975.000$
2013 – 1.445.835€
ATP 250 DOHA
1993 – 450.000$
2003 – 975.000$
2013 – 1.054.720$
ATP 250 ESTORIL
1993 – 500.000$
2003 – 500.000$
2013 – 410.200€
ATP 250 GSTAAD
1993 – 375.000$
2003 – 525.000$
2013 – 410.200€
A parte Indian Wells, che però è un caso a parte grazie all’intervento del multimiliardario Larry Ellison, il quadro è abbastanza chiaro: i montepremi non sono particolarmente aumentati. Basilea è riuscito a raddoppiare (ma negli ultimi 10 anni è arrivato un certo Roger Federer che ha fatto spuntare sponsor come funghi), Doha è aumentato fino al 2003 ma negli ultimi dieci anni è rimasto sostanzialmente invariato, così come Estoril e Gstaad, tappe storiche che resistono ma che offrono lo stesso montepremi, mentre il costo della vita è ovviamente aumentato. Non si può certo fare una colpa all’ATP se i montepremi non aumentano, specie dopo che negli ultimi anni è scoppiata una devastante crisi economica, ma le riflessioni di Ferreira ed Henman hanno un fondo di verità. La situazione diventa addirittura drammatica per il circuito challenger, i cui montepremi sono incredibilmente restati invariati negli ultimi 20 anni. Nel 1993, i premi oscillavano tra i 25.000 e i 125.000 dollari, esattamente come nel 2003 (con l’unica eccezione del torneo di Wroclaw, che metteva in palio 150.000 dollari), mentre nel 2013 la situazione è sostanzialmente analoga: un challenger offre tra i 35.000 dollari (o 30.000 euro) e i 125.000 (o 106.500 euro). Come fa, chi frequenta i challenger, a campare con il tennis? Se era difficile 20 anni fa, figurarsi oggi. E allora diventa impossibile criticare chi gioca le gare a squadre (esempio: in questo periodo, Viktor Galovic è impegnato in Serie A2 con il suo TC Ambrosiano). E, soprattutto, diventano comprensibili (anche se per nulla condivisibili, ovviamente!) le scelte borderline di quei giocatori che si fanno tentare e si vendono una (o più) partite. Difficile trovare soluzioni. L’unica plausibile, forse, è abolire gli enormi bonus di fine anno che spettano ai primi 12 ATP in base al numero di tornei obbligatori giocati nel corso dell’anno. I primi al mondo non hanno certo bisogno di questi soldi, che potrebbero essere distribuiti tra i circa 150 challenger in giro per il mondo, i cui montepremi sono inesorabilmente uguali da 20 anni. Chissà se qualcuno ci ha mai pensato.
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