WIMBLEDON – La Bartoli gioca un match perfetto e domina una Flipkens acciaccata. Finisce 6-1 6-2 e la francese torna in finale dopo sei anni. Ma adesso non è più sola con suo padre. 
Il diverso stato d'animo di Marion Bartoli e Kirsten Flipkens

Di Riccardo Bisti – 4 luglio 2013

 
“Oggi la pallina mi sembrava grande come un pallone da calcio”. Basta una frase per rendere l’idea della super-prestazione di Marion Bartoli nella prima semifinale di Wimbledon. Sei anni dopo, ha ritrovato una belga al penultimo atto. Allora rimontò Justine Henin dopo essere stata in svantaggio 6-1 5-3, stavolta ha dominato contro Kirsten Flipkens, sofferente a un ginocchio. Un problema talmente evidente e sottolineato dalla stesssa Bartoli. “Forse lei era un po’ infortunata. Deve essere dura giocare in queste condizioni una semifinale di Wimbledon. Per questo merita tutto il rispetto”. E’ facile essere sportivi quando si vince (anzi, si domina), ma l’impressione è che Marion fosse sincera. E’ stata molto gentile, all’uscita dal campo, a mettere il braccio attorno al collo della belga. Un bel gesto che le darà la carica in vista della finale di sabato, dove non avrà la tensione del 2007 e (soprattutto) non si troverà di fronte Venus Williams. Non c’è stata partita: la Bartoli è salita 3-0 in entrambi i set e ha dominato in ogni zona del campo. Ha fatto il doppio dei punti (53 a 28), e tanto basta per rendere l’idea del dominio. Da parte sua, la Flipkens si è affidata al rovescio in slice, ma non riusciva a ferire la Bartoli. Allora è scesa a rete 21 volte, ma si è aggiudicata il punto in appena il 38% delle occasioni. Troppo poco. Quando poi ha chiesto l’intervento del trainer sullo 0-3 nel secondo, si è capito che era uscita dal match anche sul piano mentale. Nel game seguente ha strappato il servizio alla Bartoli, ma erano dati statistici buoni per allungare la durata. Spinta dal pubblico, Kirsten è riuscita a superare l’ora di gioco e finire in 62 minuti. A Wimbledon ci sono state umiliazioni più nette.
 
Il piazzamento della Bartoli rivaluta le prestazioni delle azzurre che l’hanno affrontata ai turni precedenti. In particolare, Camila Giorgi ha sciupato più di un’occasione al terzo turno. A parte questo, la francese ha confermato come lo spirito di gruppo possa essere ancora più efficace rispetto all’isolazionismo imposto da papà Walter. Questa finale è nata dall’esultanza feroce di aprile, quando ha evitato alla Francia la retrocessione nella Serie C di Fed Cup. Per anni non l’aveva giocata, rinunciando persino alle Olimpiadi, ma l’arrivo di Amelie Mauresmo l’ha convinta a cambiare idea. Senza papà Walter si è inserita alla grande nel team francese, tanto da convincere la Mauresmo a sedersi al suo angolo anche nei tornei individuali. La stagione su terra è stata un disastro, ma i prati ci hanno restituito il suo tennis un po’ folle, costruito dal dottor Walter, che lei non rinnega neanche per un secondo. “Mi sento tutti i giorni con mio padre e ancora oggi mi regala consigli importanti”. Come a dire: la Bartoli attuale è figlia del passato e non di un improvviso cambiamento. Il giusto mix ha creato una giocatrice che merita un posto tra le prime 10 ed è comunque piacevole da vedere per le sue stranezze tecnico-tattiche. Anche per questo, sarebbe una dignitosa vincitrice di Wimbledon. Ma occhio a Sabine Lisicki…