L’INTERVISTA – E’ l’estate di Thomas Fabbiano. In 20 giorni ha ottenuto risultati mai raggiunti in 5 anni. Da n.178 ATP ci svela i suoi segreti e ammette: “In certi momenti ho pensato…”
Thomas Fabbiano è nato a Grottaglie il 26 maggio 1989
Di Riccardo Bisti – 26 luglio 2013
Un paio d'anni fa, Thomas Fabbiano giocava il challenger di Genova ed era ancora nel limbo tra la 250esima e la 300esima posizione. Ma non perdeva fiducia. “Credo che un piazzamento intorno ai top 50 possa essere ancora realistico”, ci disse. Il ragazzo pugliese non ha trovato subito la strada, e persino il muro dei top-200 sembrava diventato un incubo. Ma adesso è giunta la svolta: in tre settimane, ha ottenuto risultati mai colti in cinque anni di carriera: due semifinali (Todi e San Benedetto) e la prima vittoria challenger a Recanati. A 24 anni è piombato al numero 178 ATP: non è solo un numero, ma un cambiamento di sogni e prospettive. Alla vigilia della partenza per il challenger di Liberec (“Dopo questo torneo mi concederò 4 giorni di vacanza in Calabria, poi inizierò a prepararmi per le qualificazioni dello Us Open”), ecco il Nuovo Fabbiano.
Non eri mai andato oltre i quarti di finale in un challenger. Poi, all’improvviso, due semifinali e una vittoria. Cosa è cambiato?
Abbiamo messo a posto i pezzi di un puzzle da sempre in costruzione, soprattutto da quando mi sono trasferito a Foligno. Non ci sono veri e propri segreti: abbiamo cercato di rinforzare e migliorare quello che so già fare, ovviamente senza trascurare le cose su cui devo crescere. Ho nuove sicurezze sulla parte tecnica: ho migliorato il dritto e trovato il mio gioco ideale, ovvero stare con i piedi sulla riga e far tornare la palla molto presto, mettere pressione all’avversario. Tutto questo mi ha dato sicurezza, soprattutto contro un top-70 come Albert Ramos. Fabio Gorietti è molto importante: cerca di darmi fiducia nel modo giusto. Non che prima non ne avessi, ma con lui ho capito che certe risposte si trovano solo con il duro lavoro. La chiave sta tutta lì.
Perché hai scelto la Tennis Training School di Foligno? Che clima si respira?
Premetto che ho lasciato Roma e il mio ex coach Vittorio Magnelli senza alcun rancore, anzi lo ringrazierò sempre. Tuttavia non avrebbe potuto seguirmi durante i tornei, e poi a Roma non c’erano troppi giocatori con cui allenarmi. Conoscevo Gorietti da tempo, sapevo che persona fosse, ma nessuno mi ha indirizzato verso di lui. E’ stata una scelta mia. Ho effettuato una prova di una settimana e mi sono reso conto che era il posto ideale: ci sono ottimi giocatori come Luca Vanni, Matteo Fago e tanti altri giovani. C’è tutto quello di cui avevo bisogno: una persona che mi segua e diversi giocatori con cui allenarmi. Inoltre c’è grande attenzione per la parte atletica, altro aspetto che volevo assolutamente migliorare. I due preparatori si chiamano Gianfranco Palini e Fabrizio Roscini.
Sei stato top-10 junior. Se a fine 2007 ti avessero detto che oggi avresti raggiunto il tuo best ranking al numero 178 ATP, ci avresti messo la firma?
No. Onestamente, pensavo che oggi sarei stato più avanti. Appena uscito dal mondo junior arrivano tante richieste: ricevetti alcune proposte dai college americani, ma rifiutai perché avevo già una classifica intorno al numero 300 ATP e credevo di fare un salto più rapido. Pensavo che sarei arrivato più in alto e più in fretta. Purtroppo non è successo, ma ci sto ancora provando.
L’errore più grande che hai commesso in cinque anni di professionismo?
Mi capita spesso di ripensare a quando mi sono qualificato per gli Internazionali BNL d’Italia (era il 2008, battè Hanescu e Pashanski e per poco non superava Mahut nel main draw, ndr). Quel risultato ha un po’ scombussolato i miei piani e le mie idee. Ho guardato troppo avanti piuttosto che pensare al presente. Cambiò qualcosa in me: se non mi fossi qualificato, forse avrei avuto una crescita più lineare, invece sono rimasto intorno al numero 300 ATP per qualche anno. Mi aveva ingannato: giocavo già bene, ma non ero pronto.
La domanda a cui risponderai meno volentieri…
Scommetto che riguarda Quinzi…
Bravo. Come vivi il clamore attorno a lui? Pensi che possa dargli delle possibilità che tu non avevi avuto oppure potrebbe essere una buccia di banana?
Vincere a 17 anni è spettacolare. Io ci sono passato: ho vinto uno Slam junior in doppio e raggiunto una semifinale in singolo. So come ci si sente. E’ bellissimo, ma non è importante. In tasca ti rimangono bei ricordi, ma nulla in termini di soldi e punti. Prendi il mio titolo a Recanati: dopo tutto quello che ho passato, è un successo che vale moltissimo, il 10% della mia carriera. Con Quinzi ci siamo allenati proprio a Recanati: mi piace, mi piace soprattutto il suo coach e come lo gestisce. Ma non deve dimenticarsi che lo aspettano tante difficoltà.
Nel 2007, il Trio-Speranza del tennis italiano era Fabbiano-Lopez-Trevisan. Tu stai lottando duramente: gli altri due?
Lopez l’ho perso di vista, credo che stia in Paraguay. Fino a qualche tempo fa lo vedevo in tabellone in qualche future. Trevisan? Sul match secco lo considero uno dei più forti, però è troppo soggetto ad infortuni. Ogni volta che lo vedo mi sembra una “palla di vetro”. Pensavo che si fosse messo a posto, ha vinto il future di Bergamo, ma poi ha nuovamente avuto problemi fisici. Per vincere ci vuole continuità. Gli infortuni sono una delle cose più fastidiose per un tennista.
E’ tornato d’attualità il problema-doping. Cosa pensi del caso Troicki? Sei mai stato controllato? Sospetti su qualcuno?
Il caso di Troicki mi sembra strano. Non mi sembra uno che bara, ma soprattutto mi domando perché sia emerso tutto a tre mesi di distanza. Sul doping, mi soffermerei sulla questione morale: oltre a rubare onore, soldi e successi, non capisco che soddisfazione possa esserci nel vincere una partita che non vale nulla, molto meno di una sfida tra amici. Ancora prima di essere preso, chi bara sa già di essere scorretto. Non so come facciano. Negli ultimi anni sono stato controllato 5-6 volte, ma solo nei tornei e solo alle urine. Ricordo una volta ad Orbetello, una a Roma, una in Serie A1…ci sono due persone, ognuno col suo compito, ho sempre avuto la sensazione che fossero molto precisi. Però non ho avuto nessun test sul sangue. Per i controlli fuori dalle competizioni devi raggiungere un certo livello e poi dare i famosi “whereabouts”. Spero di avere questo “problema” quanto prima!
Da una piaga all’altra. Si parla tanto di scommesse e tentativi di corruzione, soprattutto nel tipo di tornei che giochi tu. Mai avuto esperienze del genere?
Per fortuna no, anche se tra noi, nello spogliatoio, se ne parla spesso. Non ho mai ricevuto proposte di vendere partite o cose del genere, e francamente non so come reagirei. Dando per scontato che informerei l’autorità, non so se mi prenderebbe paura oppure se mi accanirei con chi mi fa la proposta. Se ne parla, purtroppo queste cose succedono.
Qual è stato il momento più difficile della tua carriera, in cui hai detto: “Oddio, ormai non ce la faccio”?
Succede spesso, soprattutto dopo una brutta sconfitta. Quest’anno, 2-3 volte ho pensato: ‘Provo a dare il massimo per tutto il 2013, poi se non riesco a venirne fuori mi dedicherò ad altro’. A San Luis Potosi ho perso con Sandgren dopo aver avuto tre matchpoint. Avevo il morale sotto i tacchi: in quel momento era con me Adrian Voinea (ex pro e coach del Team Gorietti, ndr) e fu molto importante. Provò a tirarmi su dicendomi che dopo qualche giorno avrei avuto un’altra chance. Un altro momentaccio è stato a Tanger, dove ho perso 6-1 6-2 contro Lammer e il mio tennis aveva raggiunto un picco piuttosto basso. In quei momenti, tuttavia, ho visto le persone che tengono davvero a me: i miei allenatori, gli amici veri e la mia ragazza, la prima a percepire il mio nervosismo e a dover sopportare le mie delusioni dopo una sconfitta. Mi hanno aiutato tanto: se le vittorie sono arrivate in così breve tempo, il ringraziamento va soprattutto a loro, persone vere che mi hanno aiutato a tenere la strada.
A soldi come va? Pur giocando bene, quest’anno hai intascato solo 25.000 dollari di premi ufficiali e 180.000 in tutta la carriera…
Va meglio, ma il merito è soprattutto dell’entrata extra della Serie A. Quest’anno ho giocato la Serie A2 con il circolo di Massa Lombarda: oltre alla soddisfazione agonistica per esserci salvati, ho sottoscritto un buon contratto. Ho avuto una buona entrata e mi sono “tolto” l’impegno delle gare a squadre, quindi potrò dedicarmi all’attività individuale per tutto il resto dell’anno. Le cose potrebbero migliorare ancora, visto che ho la certezza di giocare le qualificazioni nei prossimi tre Slam. Inoltre, con il nuovo ranking, potrò giocare tantissimi challenger in tabellone principale, dove i prize money sono decisamente migliori rispetto ai futures. Diciamo che non posso comprarmi una casa con quello che ho guadagnato nel 2013, ma le cose vanno meglio rispetto al passato.
Che attenzione dedichi all’attrezzatura (racchette, scarpe, abbigliamento)? Hai qualche particolarità? Sei maniacale o un po’ più “distratto”?
La particolarità riguarda l’abbigliamento. Non ho contratti, quindi sono andato da Decathlon e mi sono comprato 10 magliette. Dopodichè, con un paio di amici, ho creato un logo con le mie iniziali e gioco con quello. Diciamo che mi sono creato un marchio mio, è una bella soddisfazione! Sul resto, in effetti c’è stato un piccolo cambiamento: nell’ultimo mese, prima di ogni partita preparo più meticolosamente la racchetta, cerco di avere pronto tutto il necessario. Prima avevo solo una racchetta al top e magari trascuravo le altre, oppure ero un po’ pigro nel cambiare il grip. Adesso sto attento alla tensione delle corde, mi porto sempre racchette a tensioni differenti in modo da essere pronto in caso di necessità. Ho capito l’importanza di avere l’attrezzatura sempre pronta. Non dico che sia la ragione del salto di qualità, ma non penso neanche un caso. A proposito di cambiamenti, sai quale penso che sia la chiave?
Prego.
Più che imparare cose nuove, è stato importante eliminare le cose superflue. Durante la partita non avevo bisogno di fare più cose, bensì di farne meno. Ho eliminato tante opzioni: la semplicità di schemi e pensieri è stata la chiave di queste tre belle settimane.
Thomas, come ti immagini tra 10 anni?
Con una bellissima famiglia, magari con tre figli. Sul piano professionale, mi piacerebbe aprire un bel ristorante e una bella accademia, lavorando con persone di cui mi fido. E mi vedo più impegnato nella parte gestionale che a passare ore sul campo da tennis.
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