Diversi giocatori pensano che ATP e WADA stiano facendo un buon lavoro in termini di test e prevenzione. E il passaporto biologico raccoglie consensi. Ma la Petkovic dice: “Il doping non serve”.
Andrea Petkovic è convinta che il doping non aiuti più di tanto i tennisti
Di Riccardo Bisti – 8 agosto 2013
I casi di Viktor Troicki e Marin Cilic hanno riacceso il dibattito sul doping nel tennis. Non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra i giocatori. In fondo sono loro ad essere svegliati alle 6 del mattino dagli addetti dell’antidoping a causa delle discusse norme sui "whereabouts". John Isner non ha parlato con il serbo e il croato, ma ha seguito la vicenda. “Sinceramente non so cosa pensare. Mi capita spesso di leggere che l’ATP o la WADA non ci educano abbastanza. Non credo che sia vero. Personalmente, ogni volta che prendo qualcosa lo faccio controllare. E non compro mai nulla al di fuori dei prodotti conosciuti. Credo che l’ATP faccia un buon lavoro, informandoci su cosa possiamo e non possiamo prendere”. Chi conosce molto bene l’evoluzione dell’antidoping è Mardy Fish, professionista da 15 anni. L’americano ricorda che l’educazione sul doping era uno degli argomenti dell’Università ATP. Tuttavia, negli anni, i giocatori hanno ricevuto aggiornamenti continui per essere consapevoli dei cambiamenti e delle aspettative. “Riceviamo aggiornamenti e notifiche – dice Fish – alle nostre mail arrivano continuamente aggiornamenti sulle regole o sulle sostanze vietate. Ogni volta che succede qualcosa, veniamo costantemente informati”. Il bulgaro Grigor Dimitrov ha 10 anni meno di Fish, ma la pensa esattamente come lui. Secondo Dimitrov, i giocatori sono regolarmente informati sulle politiche, le procedure e le regole dell’antidoping. “Inoltre c’è una linea telefonica, disponibile 24 ore su 24, in cui si possono chiedere delucidazioni sull’argomento”.
Fish dedica molta attenzione al tema, tanto da interessarsi personalmente alle sostanze che entrano nel suo corpo. “Io e il mio allenatore abbiamo preso molto sul serio il doping. Gli chiedo informazioni su qualsiasi cosa, non importa se si tratta di una pillola o una pomata. In questo modo siamo sicuro che un incidente di questo tipo non mi possa accadere”. Secondo Isner, l’introduzione del passaporto biologico (definitivamente entrato in vigore) potrebbe essere il giusto incentivo per scoraggiare pratiche illegali, proprio come accaduto in altri sport. Secondo la WADA, il principio del passaporto biologico è il seguente: “C’è il monitoraggio di parametri biologici selezionati nel corso del tempo, che sono in grado di rivelare indirettamente gli effetti del doping piuttosto che il rilevamento della singola sostanza dopante”. In questo modo, il controllo periodico dell’atleta consente di scoprire eventuali anomalie. “Sono un sostenitore del passaporto biologico. Ho visto che Lance Armstrong è finito nei guai proprio a causa di questo. Se questo sistema aumenta le probabilità di scoprire gli eventuali impostori, io sarei per prendere vecchi campioni e analizzarli di nuovo”.
Nonostante i casi emersi di recente, Fish è convinto che il tennis sia relativamente pulito. A suo dire, i tennisti hanno un minuscolo margine di manovra perché il sistema dei whereabouts è molto stringente. “Questa regola è molto dura, ne sono consapevole. In ogni singolo giorno della mia vita, devo sacrificare un’ora in nome dell’antidoping”. Isner è sulla stessa lunghezza d’onda. “Credo proprio che i tennisti siano testati parecchio rispetto agli atleti di altre discipline. Durante le competizioni ci controllano spesso. Io, poi, sono stato testato anche fuori dai tornei, e non soltanto sulle urine ma anche sul sangue. Una volta, nella stessa mattina, mi hanno raccolto entrambi i campioni. Uno a distanza di 30 minuti dall’altro”. Andrea Petkovic accetta che le regole siano molto severe (“Ovviamente tutti vogliamo battere il doping”), tuttavia ritiene che il doping non serva a migliorare le prestazioni di un tennista. “Secondo me non aiuta. Puoi essere il più forte al mondo e alzare pesi da 200 chili, ma questo non ti rende un tennista migliore. Il doping non ti dà il senso del campo, la precisione dei colpi”. La Petkovic sostiene che sia molto pericoloso generalizzare, e si è espressa sul caso di Troicki. “Lo conosco sin da bambino e so di suoi svenimenti a causa degli aghi. E’ opportuno che le regole siano severe, ma a volte bisogna guardare oltre e prendere le decisioni giuste per una singola persona”. Sicuramente oggi è più difficile barare rispetto a qualche anno fa. Non sappiamo se sia per la paura di essere beccati o perché il sistema, effettivamente, funziona. Ma è certo che il caso di Wayne Odesnik del 2010 abbia segnato una sorta di spartiacque nella storia dell’antidoping tennistico.
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