US OPEN – Roger Federer ha perso sul Louis Armstrong Stadium, che verrà profondamente modificato dopo aver rischiato l’abbattimento. Sapranno rinascere entrambi? 
Una suggestiva immagine del Louis Armstrong Stadium durante Federer-Robredo

Di Riccardo Bisti – 4 settembre 2013

 
Qualcuno sostiene che il Louis Armstrong Stadium sia uno dei peggiori campi al mondo. “La gente si muove continuamente e i giocatori sono sempre infastiditi”. Pensieri destinati a scomparire, poichè il vecchio “Singer Bowl” scomparirà e al suo posto verrà realizzato un nuovo impianto da 15.000 posti. “Ha fatto il suo tempo” hanno detto i responsabili USTA quando hanno presentato il progetto di restrutturazione. Tutti sanno che lo Us Open si è spostato a Flushing Meadows nel 1978, pochi che l’impianto è stato inaugurato nel 1964 e aveva ben altri utilizzi. Comunque si, è vero: gli steward di quel campo non sono i più rigidi al mondo. Negli Stati Uniti, la norma di stare zitti e muoversi solo ai cambi di campo non è troppo ben vista. Loro sono abituati a fare quello che vogliono durante basket, baseball e football. Perchè non dovrebbero fare altrettanto nel tennis? Il Louis Armstrong, in effetti, non è lo stadio da tennis perfetto. Non ha le geometrie degli altri centrali americani (Indian Wells, Miami, Toronto, lo stesso Arthur Ashe) e ha un sacco di difetti. I sedili sono angusti, penetra un mucchio di vento. Steve Tignor l’ha definito una “ciotola di cemento” con enormi riflettori che lo illuminano di notte. Ma presto cambierà tutto. I romantici del tennis americano (e ce ne sono tanti) già piangono per l’abbattimento del glorioso Grandstand, che sarà sostituito da un nuovo impianto da 8.000 posti per contrastare il crescente successo del Campo 17. Dovevano buttare giù anche il Louis Armstrong, invece gli hanno concesso una tregua.
 
Il vecchio Singer Bowl sarà restrutturato, ampliato (dopo che nel 1997 lo avevano rimpicciolito!) e dotato di un tetto retrattile. Chissà cosa verrà fuori. I ricordi sono l'unica certezza: è stato il campo principale per 19 edizioni (dal 1978 al 1996), salvo essere declassato dopo la costruzione dell'Arthur Ashe. Come ogni struttura, più passa il tempo e più assume un valore sentimentale. A maggior ragione se si tratta di un impianto sportivo. Certi impianti non sono più sculture di lamiera, cemento o acciaio. Acquisiscono un anima. E il Louis Armstrong ha un’anima particolare. Chi ha iniziato a seguire il tennis (e quindi lo Us Open) negli anni 80, sarà indissolubilmente legato a questo stadio. E’ normale, come è normale che i più anziani abbiano nostalgia di Forest Hills e si siano indignati quando volevano abbatterlo per costruirci un paio di palazzi. Per fortuna non è andata. Il Louis Armstrong è stato il teatro di mille episodi. Ricorda il periodo più caotico nella storia dell’umanità, e quindi della città di New York: i mitici anni 80. Chi ama il tennis sa bene che verso le 17.30-18 cala l’ombra sul campo, e che verso le 19.30 è necessario accedere le luci. Come quel giorno del 1981 in cui John McEnroe mise fine alla carriera di Bjorn Borg, forse in misura maggiore rispetto alla finale di Wimbledon di due mesi prima. I due box giocatori si trovano alle estremità del lato lungo, con il sole in faccia fino al tramonto. Nel 1991, Donald Trump era lì quando Jimmy Connors firmava la grande impresa contro Aaron Krickstein. E poi c’è il tunnel degli spogliatoi: per accedervi, bisogna fare lo slalom tra telecamere e fotografi. Fu l’ultimo gesto di Chris Evert dopo la sua ultima partita, nel 1989. Nel 1996, Pete Sampras ci ha vomitato sopra durante lo storico match contro Alex Corretja. Forse voleva lasciare un’ultima traccia prima del restyling dell’anno dopo, con la capienza dimezzata. Ma la storia è ancora lì, non si cancella.
 
Il Louis Armstrong è scomodo. Gli ingressi sono piccoli, i seggiolini ancora meno. Ai cambi di campo, la gente fa la corsa contro il tempo per sedersi. Ma il “time” dell’arbitro arriva inesorabile. In fondo, non era stato pensato per il tennis. Costruito nel 1964, ha cambiato nome nel 1973 dopo la morte del mitico sassofonista, che aveva vissuto proprio dalle parti del Queens. Fu scoperto nell’inverno 1977 da Slew Hester, ex presidente USTA. Si trovava in aereo, stava per atterrare all’aeroporto di La Guardia, e lo vide completamente innevato. Affascinato dalla scena, pensò che fosse il posto giusto per trasferire il torneo. In fondo era il suo mestiere trovare l’oro (nero) in posti angusti, poichè faceva il petroliere. Peggio che angusto: il Louis Armstrong, così come l’Arthur Ashe, è stato costruito su una discarica. Per questa ragione, fino ad oggi non è mai stato costruito un tetto. Il terreno è troppo molle per resistere al peso. Nel 1978, Henger fece un capolavoro: sistemò il centrale, costruì altri 20 campi e in nove mesi era tutto pronto (“Lo stesso tempo che in Italia serve affinchè una pratica passi da una scrivania all’altra” disse Rino Tommasi). La fretta nel costruire, tuttavia, si è pagata con il tempo. Le tribune sono incredibilmente ripide. L’allora presidente USTA disse: “Se un ubriaco dovesse cadere dalla 75esima fila, cadrà direttamente sulla linea del servizio”. L’Armstrong ha vissuto il suo ultimo momento di gloria il 2 settembre 2013. Quando gli organizzatori hanno spostato Federer-Robredo, uno sciame di persone si è riversata sul vecchio campo, costruito per l’Esposizione Universale del 1964. “Ultimo”. Un aggettivo pericolosamente associato a Roger Federer negli ultimi mesi. Tuttavia, l’Armstrong resterà in piedi, restrutturato ed abbellito. E se la sortita sul vecchio campo non portasse fortuna anche al campione svizzero?