US OPEN – La Pennetta mostra una maggiore personalità e vince senza problemi un derby tutt’altro che spettacolare. E’ un risultato storico: non era mai andata così avanti in uno Slam.
L'abbraccio tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci
Di Riccardo Bisti – 4 settembre 2013
I match più belli nascono casualmente, e in questo derby tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci non c’era nulla di casuale. Non può essere, se arrivi a giocarti un quarto di finale Slam rispettivamente a 31 e 30 anni. E allora è stata una partita così così, in cui la Pennetta ha fatto valere una maggiore personalità. Le classifiche e lo stato di forma non contano nulla. Vince chi sa gestire meglio le emozioni, e la Pennetta è un mostro da questo punto di vista. Lo ha dimostrato in mille occasioni. Ricordate la vittoria suVera Zvonareva su questo stesso campo? Oppure il modo in cui seppe gestire il pandemonio nella trasferta francese di Fed Cup? A dispetto del sangue pugliese, caliente e fumantino, Flavia ha una grande freddezza, forgiata da una storia non sempre facile. La Vinci, emotiva come lei, è un filo più fragile. Lo aveva mostrato nelle sfide contro Sara Errani, poi tra le due si è sviluppato un rapporto di amicizia tale che le cose sono cambiate e le hanno consentito di vincere le ultime due sfide (con annesse polemiche e litigi, veri o presunti che siano). Difficilmente la Pennetta ha perso partite perché è andata via di testa o di fisico. E non le poteva certo accadere nel 6-4 6-1 con cui è volata in semifinale allo Us Open. E’ la prima volta che Flavia entra nella Final Four di uno Slam, ed è ancora più bella perché ci credevano in pochi. Che dire di questa partita? Semplicemente, Roberta ha giocato troppo male per essere incisiva. 14 colpi vincenti e 28 errori sono troppi. Da parte sua, la Pennetta ha mantenuto un saldo positivo tra colpi vincenti ed errori gratuiti. E' bastato.
La Pennetta è sempre stata in vantaggio, ed anzi il risultato avrebbe potuto essere ancora più netto e non si fosse fatta riprendere per due volte un break di vantaggio nel primo set. La Pennetta ha brekkato in avvio, poi di nuovo sul 2-2. Sul 4-2, Flavia ha avuto la chance di salire 5-2 e servizio (0-40 con la Vinci alla battuta), ma lì c'è stato l’unico passaggio a vuoto, l’unico momento in cui la Vinci ha dato l’impressione di potercela fare. Ma dopo aver sciupato una palla per salire 5-4 è uscita dal match, soprattutto mentalmente. Saranno pure diverse, Flavia e Roberta, ma si conoscono da troppo tempo per nutrire animosità. Non si sono visti i soliti pugnetti, la solita grinta che di solito “sporca” le loro partite. Flavia è stata più lucida, non ha disdegnato di palleggiare sulla diagonale sinistra anche perché la sua condizione fisica le consente di non andare in crisi contro gli slice radenti della Vinci. E poi, chi li conosce meglio di lei? Il secondo set è stata pura accademia, tanto che la stretta di mano è arrivata dopo appena 65 minuti, giusto qualche minuto in più di quanti ne abbia impiegati Serena Williams per rifilare un doppio 6-0 a Carla Suarez Navarro. Contro altre avversarie, Flavia avrebbe urlato al mondo la sua gioia, magari si sarebbe tolta qualche sassolino dalle scarpe e lo avrebbe lanciato verso chi la dava per finita. Invece ha rispettato la delusione di Roberta e si è ricordata di ringraziare Gabriel Urpi, il coach che l’ha seguita per una vita (oggi, al suo angolo, c’è Salvador Navarro). Fare paragoni non è simpatico, ma ai tempi della vittoria al Roland Garros, Francesca Schiavone non spese neanche una parola per Daniel Panajotti, con cui aveva lavorato a lungo e con profitto.
E poi ci sono i numeri, ma quelli contano meno. Tra 20 anni, nessuno ricorderà che con questa semifinale Flavia si porterà a ridosso delle prime 30 WTA. Il numero non fa effetto, anche perché lei è stata anche numero 10. Ma per chi era fuori dalle prime 150 appena due mesi fa, con malcelati propositi di ritiro in caso di assenza di risultati, è un traguardo notevole. Comunque vada la semifinale, contro la vincente di Hantuchova-Azarenka, non dovrà fermarsi qui. Il suo tennis può portarla agilmente tra le prime 20. Per l’Italia è la terza semifinale allo Us Open (o US Championships, come si è chiamato fino al 1967), la nona in assoluto in un torneo del Grande Slam, ma addirittura la sesta negli ultimi tre anni. Numeri che fanno capire l’eccellenza di questo periodo, eccezionale e forse irripetibile. Quando finirà, bisognerà avere l’intelligenza di non parlare di crisi, ma di riconoscere la straordinarierà di quello che stiamo vivendo da 6-7 anni. E’ giusto che in semifinale ci sia la Pennetta: al di là delle motivazioni “romantiche” (la sfortuna, il lungo stop, quel ruolo di apripista che ha avuto negli passati), lo meritava perché ha battuto avversarie più forti. Errani, Kuznetsova e Halep valgono di più rispetto a Babos, Knapp e Giorgi. Insomma, in uno Us Open a forti tinte azzurre, questo risultato ha una logica. Ma non è finita qui: venerdì potremo seguire una semifinale in cui sarà sfavorita contro Victoria Azarenka, ma non spacciata come era accaduto 12 mesi fa a Sara Errani. Allora ci si domandava quanti game avrebbe fatto con Serena Williams. Stavolta, con questa Pennetta, possiamo addirittura sperare. E alla fine applaudiremo. Comunque vada.
US OPEN 2013 – DONNE
Quarti di finale
Flavia Pennetta (ITA) b. Roberta Vinci (ITA) 6-4 6-1
Victoria Azarenka (BLR) b. Daniela Hantuchova (SVK) 6-2 6-3
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