Il tennis ispano-americano ha una buona tradizione, ma dopo Mary Joe Fernandez non aveva più prodotto giocatrici. Oggi ci sono Christina McHale e la portoricana Monica Puig.
La mamma di Christina McHale è di origine cubana
Di Riccardo Bisti – 4 ottobre 2013
Non è un caso che i siti ATP e WTA abbiano una versione in spagnolo. Se l’inglese è la “lingua franca” del tennis, i giocatori di lingua spagnola sono sempre di più. Una tendenza inaugurata 50 anni fa da Manolo Santana e sviluppatasi negli ultimi 20, con l'avvento dell’Armada giallorossa, cui hanno fatto seguito decine di ottimi giocatori argentini e sudamericani. Lo spagnolo, tuttavia, è stata la prima lingua anche di diversi giocatori a stelle e strisce. Il più forte ispano-americano di sempre è stato Pancho Gonzales, ma ci sono stati ottimi giocatori come Pancho Segura, Charlie Pasarell, Rosie Casals, Kristina Brandi, Mary Joe e Gigi Fernandez. Ultimamente è emersa Irina Falconi, ma fatica a sfondare. E allora le due più competitive sono Christina McHale e Monica Puig (quest’ultima è di nazionalità portoricana). Monica ha compiuto 20 anni la scorsa settimana ed è una delle più progredite nel 2013. A inizio anno era numero 124 WTA, oggi si trova in 45esima posizione. Il momento migliore l’ha vissuto a metà stagione, quando ha raggiunto il terzo turno al Roland Garros (battendo Nadia Petrova) e gli ottavi a Wimbledon. E' americana d’adozione: vive in Florida sin da quando aveva poco più di un anno. E’ orgogliosa di rapprensentare Porto Rico e vi torna spesso. “Mio padre è un ingegnere meccanico, quindi ci siamo trasferiti a Miami per via del suo lavoro, ma non ho mai dimenticato il mio background. Ogni estate vado a Porto Rico e parlo correttamente lo spagnolo”. Il sangue latino scorre nelle vene della Puig: i nonni materni vivono ancora nel paese d’origine, mentre la famiglia del padre proviene da una famiglia cubano-americana.
I suoi risultati hanno attirato l’attenzione in un paese dove gli sport nazionali sono il baseball e il pugilato. Gli sponsor puntano forte su di lei: Adidas l’ha inserita nel suo programma di sviluppo, mettendole alla calcagna Gil Reyes, storico preparatore atletico di Agassi. In effetti, l’aspetto atletico sembra quello con più margini di miglioramento. A livello di coach, è seguita dal belga Alain de Vos e si allena presso una sede distaccata dell’accademia di Justine Henin. Le hanno messo in mano la racchetta a sei anni, ma oggi usa la mano destra anche per twittare: spadronegga l’hashtag “Pica Power”, derivante dal suo soprannome (Pica), che in spagnolo significa “beccare” (picar). Come è nato, lo spiega direttamente lei.”Una volta, parlando in spagnolo, durante un allenamento, il mio allenatore mi disse che dovevo continuare a spaccare la pietra fino al punto in cui avrei voluto arrivare. L’ho abbreviato, e da lì è nato il mio soprannome”. Porto Rico è un territorio autonomo degli Stati Uniti, con 4 milioni di abitanti. Pochini: per questo ha rapidamente conquistato la popolarità. Ha ricevuto una chiamata dal governatore e le hanno addirittura presentato Ricky Martin, più grande celebrità del paese. Quest’ultimo l’ha riempita di elogi via Twitter durante la sua cavalcata a Wimbledon. “In effetti, nell’isola, sono considerata una specie di celebrità. Quando esco per la strada, la gente mi ferma e mi chiede foto e autografi. E’ molto piacevole, è il segno che ci sono un mucchio di persone che mi seguono e sostengono".
Con quel nome un po’ così, è difficile immaginare le origini ispaniche di Christina McHale. Verrebbe da pensare all’Irlanda piuttosto che all’America Latina. Invece sua madre è cubana. E il legame con certe radici è ancora molto forte per l’americana. “La cultura cubana ha influiti molto nella mia crescita – ha detto a ESPN – in particolare, adoro il cibo cucinato da mia nonna. Ogni volta che torno dopo una lunga trasferta, chiedo a mia nonna di prepararmi qualcosa di tipico, come il riso e i fagioli neri. Senza dimenticare le telenovele sudamericane: le guarda sempre, io mi siedo accanto a lei e le faccio compagnia”. Il cognome arriva dal padre irlandese, con il quale parla in inglese, così come con la sorella Lauren. Tuttavia usa spesso lo spagnolo. “Soprattutto con mia nonna, che parla solo quello. E anche con mia mamma”. Senza dimenticare che la USTA le ha messo a disposizione un allenatore argentino, Jorge Todero. "Parla spagnolo anche con lui. Ed è meglio, così può trasmettermi i suoi consigli con ancora più facilità”. Il bilinguismo le ha consentito di fare ancora più amicizie nel circuito: le sue migliori amiche sono le giovani americane, però “Mi capita di parlare spesso con tante giocatrici di lingua spagnola e mi trovo agio in tornei come Madrid”. In realtà, la McHale ha un background da vera globetrotter. E’ nata nel New Jersey, ma ha vissuto per tre anni ad Hong Kong (tra i 5 e gli 8 anni di età) per seguire il lavoro del padre. “Non c’è dubbio che quella esperienza abbia avuto un notevole impatto su me e mia sorella. Sin da giovani, abbiamo iniziato a capire le differenti culture. Ho frequentato una scuola internazionale, c’erano bambini di tutto il mondo”. Prima di giocare a tennis, ha imparato le basi del mandarino e ha praticato nuoto, gareggiando in diversi paesi. Anche per questo, si trova particolarmente bene anche ai tornei WTA in oriente e non vede l’ora di poter giocare il neonato evento di Hong Kong. Il 2013 non è stato semplice: sul finire dello scorso anno si è presa una leggera forma di mononucleosi ed è uscita dalle prime 100. Adesso è in ripresa: il terzo turno allo Us Open e le semifinali a Quebec City l’hanno convinta a riunirsi con Jorge Todero dopo una breve separazione. “Ho finalmente ritrovato la strada giusta – ha detto – adesso mi sento fisicamente al 100%. Comunque si, credo che il mio passato da globetrotter aiuti in una professione come il tennis, dove siamo sempre in viaggio”. Però ama anche stare a casa. Il cibo cubano della nonna non si dimentica. Monica Puig e Christina McHale saranno la risposta ispanica al dominio “black” del tennis americano (dove Stephens, Townsend e altre giocatrici sono pronte a prendere il testimone delle sorelle Williams)? In fondo, la lingua è quella giusta.
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