LA STORIA – La tumultuosa vigilia della finale di Wimbledon 1973. Jan Kodes si dimenticò di chiedere uno sparring prima della finale. Ma poi incontrò Vic Seixas… 
Jan Kodes ed Alex Metreveli, finalisti di Wimbledon 1973

Di Riccardo Bisti – 21 febbraio 2014

 
82 giocatori avevano detto di no. La solidarietà a Nikki Pilic, squalificato dalla federazione internazionale per aver saltato un match di Coppa Davis, andò oltre il prestigio di Wimbledon. Di quella torrida estate si ricordano i tumulti, eppure il torneo si giocò lo stesso. I finalisti Jan Kodes ed Alex Metreveli sono appena citati, come se non fossero degni di considerazione. In effetti il 1973 fu un anno molto particolare, con la nascita dell’ATP e un contesto socio-politico molto vivace, figlio degli anni 60. Ma ci fu ugualmente agonismo. Ancora oggi, il nostro Pietro Marzano impreca per un gran match di cinque set contro Kodes. E proprio il successo del cecoslovacco merita di essere raccontato, dimenticando per una volta le vicende extra-tennistiche. Tutti sanno che non avrebbe vinto se ci fossero stati i più forti, ma la sua non fu una passeggiata. In semifinale battè il britannico Roger Taylor al termine di una maratona, chiusa con il punteggio di 8-9 9-7 5-7 6-4 7-5. Il match fu sospeso per oscurità quando Kodes serviva per rimanere nel match sul 4-5 nel quinto. In finale, come detto, pescò il sovietico Alex Metreveli. L’avvicinamento fu tutt’altro che semplice, come raccontato nel suo libro “Journey to glory from behind the Iron Curtain” (“Viaggio per la gloria da dietro la cortina di ferro”). Dopo 40 anni, è giusto restituire dignità a quei giorni. Perchè Wimbledon è sempre Wimbledon.
 
Dopo le semifinali, Metreveli fece sapere che avrebbe preferito affrontare Taylor. Un attestato di stima, o forse un trucco psicologico. Il ceco fu avvicinato da tanti giocatori. “Per favore, non far vincere il russo! Qui non è ancora successo”. Era un’ossessione. Anche quando andava a pranzo, la gente comune gli chiedeva di non lasciare strada al sovietico. Persino sul campo di allenamento, prima della finale, c’era un tizio di origini polacche, di nome Spychala, che gli andò incontro. “Jan, domani farò il tifo per te. Non lascerai mica vincere un russo?”. Anni dopo, Kodes disse che avrebbe preferito affrontare Stan Smith o John Newcombe. Più forti, ma almeno non gli avrebbero rotto le scatole. Ma in fondo ci teneva anche lui. L’invasione sovietica in Cecoslovacchia era una ferita ancora aperta. Nel 1968, i carri armati sovietici avevano marciato su Praga. Tutta la Cecoslovacchia si era appassionata al tennis. Per le strade non si parlava d’altro. Ma più che la speranza, c’era il timore che Kodes perdesse perchè gliel’avevano ordinato, come era accaduto nell’hockey. La sera della vigilia, la BBC mostrò gli spezzoni dei turni precedenti. E Alex Metreveli, all’improvviso, divenne un gigante. Kodes vide le sua vittorie contro Connors e Nastase. I commentatori erano nientemeno che Jack Kramer e Fred Perry, che non alimentarono la sua tranquillità. “E’ la prima volta nella storia del torneo di Wimbledon che si affrontano in finale due giocatori provenienti da paesi comunisti. Chi vincerà?”. “Se dovessi puntare un dollaro, credo che lo metterei su Kodes – disse Fred Perry – perchè ha vinto per due volte a Parigi e ha raggiunto la finale a Forest Hills. Metreveli sarà più nervoso, ha meno esperienza in tornei di questo tipo”. E Kramer rincarò la dose, parlando dei suoi miglioramenti nel gioco su erba.
 
“Tutto sommato, le loro opinioni mi fecero stare meglio, così mi addormentai verso le 22.30” ha scritto l’ex campione cecoslovacco. Chiamò la reception dell’hotel, chiedendo che non gli passassero neanche una telefonata. Si mise un batuffolo di cotone nelle orecchie e prese una mezza aspirina “per riscaldare il mio corpo” (era pur sempre il 1973…). Al mattino fu svegliato dalla reception e c’erano già quattro telefonate. Dopo aver benedetto la lungimiranza nel non essersi fatto disturbare, si diresse verso Church Road. Nel bel mezzo del cammino, si ricordò di non aver organzzato alcun riscaldamento. Incredibile ma vero, il finalista di Wimbledon non aveva nessuno con cui palleggiare. “Ma ho cercato di non preoccuparmi. Farmi strada tra la folla sarebbe stato già sufficientemente faticoso. Avrei fatto un massaggio e mi sarei scaldato negli spogliatoi. Insomma, decisi che non mi sarei allenato prima della finale”. Ma appena arrivò al club, vide Metreveli che si allenava come un dannato sul Campo 2. Preso dallo sconcerto, cambiò e idea e decise di giocare un po’. Ma non c’erano giocatori nei paraggi. Erano andati via tutti. Gli unici rimasti erano alcuni veterani, reduci da un doppio tra vecchie glorie. Tra loro c’era Vic Seixas, vincitore di Wimbledon 1953. “Tra l’altro, era stato uno dei primi a venirmi a parlare dopo la semifinale con Taylor, dicendomi che la sospensione sul 4-5 del quinto non era stata corretta. Ma non c’era tempo da perdere. Lo avvicinai e gli dissi: “Ehi, Vic, tra pochi minuti devo giocare la finale e non ho nessuno con cui palleggiare. Sono un po’ nervoso e avrei bisogno di tirare due palle. Ti va di palleggiare un po’? Quindici minuti, non di più”. Ma Seixas non era d’accordo. Non voleva assumersi la responsabilità, temeva di non essere all'altezza. “Per favore, solo pochi minuti. Servirai, e io risponderò giusto per prendere il ritmo”. “Suvvia, Jan, come posso scaldarti?”. “Dai, su, siamo entrambi già cambiati…”. Così si recarono sul Campo 2, che da lì a qualche anno sarebbe diventato il 'cimitero dei campioni'. Seixas serviva e lui non riusciva a rispondere. Lo sparring era più nervoso di lui, ma alla fine tirarono qualche colpo. Restarono in campo 20 minuti e tornarono negli spogliatoi. “So di non averti aiutato granchè, ma spero che sia sufficiente per farti vincere il primo set”. Kodes fece una doccia, un massaggio e scese in campo. Era grato a Seixas. “Se avessi iniziato bene, il mio avversario non mi avrebbe più ripreso. E vinsi il primo set per 6-1”. Si aggiudicò anche gli altri due e sollevò il trofeo. La minaccia sovietica era stata respinta. Che buon cuore, il vecchio Seixas.