La strepitosa evoluzione di Grigor Dimitrov: prima spintonava gli arbitri, adesso vince i tornei stando in campo otto ore in tre partite. Rasheed: “E’ un giovane che vuole diventare uomo”. 
Grigor Dimitrov e Roger Rasheed festeggiano il successo ad Acapulco

Di Riccardo Bisti – 5 marzo 2014

 
Ognuno ha bisogno del suo tempo. Lo ha detto Roger Federer, parlando della transizione che lo ha trasformato da spacca-racchette a perfetto gentleman. “Sapevo che avrei dovuto fare in fretta, ma a volte i cambiamenti non arrivano così velocemente. Hai bisogno del tuo tempo”. E’ andata così anche a Grigor Dimitrov, strepitoso protagonista del 2014. Per Federer, il punto di non ritorno fu una racchetta spaccata al Masters 1000 di Amburgo. Per il bulgaro, un episodio ancora più triste. Sul finire del 2010, era impegnato al challenger di Helsinki. Perse in semifinale contro Ricardas Berankis. Non accettò il verdetto del campo e pensò che fosse colpa dell’arbitro, l’incolpevole Daniel Infanger. Dopo il match gli saltò addosso, spintonandolo con entrambe le mani. I due furono divisi soltanto da un ufficiale di gara. Il bulgaro, che all’epoca doveva sopportare i continui paragoni con Federer (in realtà, li fanno ancora oggi), era appena numero 106 ATP ma non accettava la necessità di un processo di crescita. Cambiava coach come paia di scarpe. Ma quell’episodio fu un punto di non ritorno. Se la cavò con 2.000 dollari di multa. Dopo un fatto del genere, sei a un bivio: o cambi, o resti un cavallo pazzo. Lui ha scelto di cambiare, ma c’è voluto del tempo. Sono passati oltre tre anni, si è fidanzato con Maria Sharapova, è salito al numero 16 ATP e può finalmente guardare con serenità al passato. E’ cresciuto lentamente, non senza ostacoli. Per intenderci, nel maggio 2011, ha perso da un certo Denis Bloemke. Pazzesco. Oggi è reduce dal secondo titolo in carriera, il più importante, ad Acapulco. Mostrando una tenuta psico-fisica eccezionale, negli ultimi tre match è rimasto in campo per otto ore e trentatrè minuti, necessarie per infilare Ernests Gulbis, Andy Murray e Kevin Anderson. “In finale avevo soltanto la fede” ha esalato dopo il successo, mentre indossava il tipico sombrero messicano e teneva tra le braccia il trofeo con la pera d'argento.
 
Oggi “Grisha” è il crack del tennis. Il ranking ATP lo colloca in 16esima posizione, ma è sesto nella Race e ha vinto 11 partite su 14, con la ciliegina di uno splendido quarto di finale all’Australian Open, dove ha impegnato seriamente Rafael Nadal. Le avvisaglie della crescita si vedono da circa un anno: quarti a Monte Carlo, vittoria su Djokovic a Madrid, semifinale al Queen’s, primo titolo a Stoccolma, ancora bene in Australia…e adesso una vittoria che lo pone tra i favoriti per l’imminente Masters 1000 di Indian Wells. Ma sarà un serio candidato per tutti i tornei. Grisha è cresciuto in modo impressionante. Il suo talento lo conoscevano tutti. Accarezza la palla come pochi, ha un bagaglio tecnico super-completo. Se Federer è il ponte tra il tennis classico e la potenza di oggi, Dimitrov è l’uomo che manterrà un certo stile anche nel 21esimo secolo. Ma gli mancava qualcosa: il fisico. Più che la tigna, gli serviva una cilindrata maggiore. Il suo collasso durante un match contro Richard Gasquet al Roland Garros è ancora molto cliccato su Youtube. “No mas”, deve aver pensato. Così, lo scorso autunno, ha scelto l’uomo giusto: Roger Rasheed. Il tecnico australiano, già coach di Hewitt, Monfils e Tsonga, era libero. Per passare il tempo, si dedicava a una squadra di football australiano. Così, giusto per tenere in allenamento le doti di motivatore. E le motivazioni, la voglia di stare in campo giorno dopo giorno, erano ciò che serviva a Dimitrov. “Grigor voleva qualcuno che lo aiutasse a diventare il miglior giocatore possibile – ha detto Rasheed – e ha subito capito che con me doveva impegnarsi molto, sia dentro che fuori dal campo. Doveva dimostrare di avere un impressionante desiderio di vincere”. L’esame è stato superato. Dimitrov si è dimostrato aperto, ricettivo ai consigli. Per lui, ogni allenamento è come andare a scuola. Rasheed lo riprende col telefonino e poi gli mostra il video in tempo reale. “Non si limita ad ascoltare, vuole anche il dialogo. Vuole diventare un grande studioso del gioco. E ha grandissime motivazioni”. Grisha è favorito dal suo ambiente familiare: il padre è un maestro di tennis, la madre una ex pallavolista. Gli hanno trasmesso una mentalità corretta, un forte rispetto verso il prossimo. Si comporta allo stesso modo con un presidente e con un uomo delle pulizie. “In caso contrario non lo avrei neanche allenato – continua Rasheed – oggi è un giovane tennista che ambisce a diventare uomo. Ha un grande talento, ma deve capire che il talento non basta. Può risolvere solo determinate situazioni”.

Da quando lavorano insieme, ha vinto 20 partite su 25. L’exploit più importante è arrivato in Australia, quando ha raggiunto i quarti vincendo partite lunghe e difficili. Solo Nadal lo ha fermato. Ha capito cosa deve fare, ha creato una struttura di lavoro adatta ai grandi eventi, a partire dal lavoro della settimana precedente. “Ha fatto tutto bene, ma ce lo aspettavamo. Obiettivi? Essere sempre migliore rispetto al giorno prima. A volte potrai sbattere con il muro, ma l’importante è credere in quel che si fa. Lui ci crede molto e apprende in fretta. Inoltre ha una grande qualità: ha fretta di arrivare, ma allo stesso tempo è anche paziente”. Le motivazioni e la sopraggiunta maturità lo stanno esaltando: nemmeno il soprannome “Baby-Fed” (ormai prossimo alla pensione) e il fidanzamento con la Sharapvoa gli hanno tolto la voglia di lavorare duro. “Rasheed è molto esigente con i giocatori. Mi chiede moltissimo a ogni allenamento, ma abbiamo il giusto rispetto reciproco – ha detto – il progresso è evidente. All’Australian Open ho giocato partite di 3-4 ore, ma non ero stanco e potevo ancora correre. Questo mi ha aiutato molto sul piano mentale”. La sua esplosione ha già scatenato diversi addetti ai lavori: “Quanti Slam vincerà?” “Quando diventerà numero 1?” (come se la cosa non fosse neanche in discussione). E’ difficile dare una risposta a queste domande. Probabilmente non diventerà mai come Roger Federer. La novità, forse il segreto del nuovo Dimitrov, è che NON lo vuole più diventare. Adesso basta, lui è solo Dimitrov. Talento e muscoli in un corpo solo.