WIMBLEDON – In occidente non ce ne rendiamo conto, ma la cinese ha cambiato la mentalità dei suoi connazionali. Il suo coraggio è una rivoluzione a suon di dollari. Il manager: “Non c’è più spazio per altri sponsor”.

Di Riccardo Bisti – 24 giugno 2014

 
Non è stata una prima giornata eccezionale. Tanti match, pochi spunti. Tra gli uomini, sono uscite soltanto tre teste di serie “secondarie”: Vasek Pospisil, Andreas Seppi e Fernando Verdasco (quest’ultimo si è arreso a Marinko Matosevic, che sta prendendo gusto a vincere partite negli Slam). Tra le donne, fuori Samantha Stosur e Sloane Stephens. Sorprese a metà, non certo rivoluzioni. E allora – escludendo Andy Murray, la cui rassegna stampa è già grossa come un’enciclopedia – il personaggio del giorno può essere Na Li. Ferma da un mese, dalla brutta sconfitta a Parigi contro Kristina Mladenovic, ha rischiato qualcosa nel primo set (sotto 3-5) contro la polacca Paula Kania, poi ha evitato problemi e si è imposta 7-6 6-2. Noi la vediamo così, con quegli occhi a mandorla così distanti dalla nostra cultura, ma non ci rendiamo conto del suo ruolo nello sport, che poi sfocia nella società. I suoi grandi successi l’hanno resa uno degli atleti più appetibili per gli sponsor. E’ grazie a lei che il gigante cinese, oltre un miliardo di abitanti, ha scoperto il tennis. Sono passati 10 anni dall’inizio del boom, quando fu la prima cinese a vincere un titolo WTA. Da allora ha vinto due Slam (Roland Garros 2011 e Australian Open 2014) ed è diventata la seconda sportiva più pagata al mondo, alle spalle dell’onnipotente Maria Sharapova. Guarda caso, le due condividono lo stesso manager, quel Max Eisenbud che opera per conto di IMG. Il bello della Li è che attira sponsor sia orientali che occidentali, segno che i suoi occhi a mandorla hanno abbattuto barriere culturali ed economiche che un tempo sembravano inscalfibili. Su Weibo, il social network cinese, ha 23 mlioni di followers (il quadruplo di quelli di Nadal su Twitter…) ed è considerata una fonte di ispirazione per molti cinesi grazie al coraggio di ribellarsi all’establishment cinese, che tratteneva i suoi guadagni prima che lei si ribellasse e si rivolgesse ai migliori coach stranieri (prima Michael Mortensen, oggi Carlos Rodriguez).

QUELL'ACCORDO CON LA NIKE
Ad oggi, la Cina ha 15 milioni di praticanti. Nel 2011, 116 milioni di persone hanno assistito alla finale del Roland Garros contro Francesca Schiavone. “Oggi tanti cinesi seguono il tennis, ma non è soltanto merito mio – racconta – ci sono altre ragazze che giocano molto bene”. E’ chiaramente un eccesso di modestia. Senza di lei, la Cina non sarebbe diventata una potenza organizzativa e di sicuro non sarebbe nato un torneo Premier Five a Wuhan, sua città natale. “Quando ho vinto il mio primo Slam, sono rimasta sorpresa nel sapere quante persone avessero visto la finale. Questo tipo di pressione può essere pesante, ma anche motivarmi. E’ bello che ci siano tanti tornei in Cina, così il pubblico può vedere dal vivo i migliori giocatori”. Non le manca il senso dell’umorismo, ribadito in tante interviste. Di sicuro, dopo il successo in Australia, ha fatto ridere tutto il mondo quando ha ringraziato l’agente Max Eisenbud durante il discorso sul campo. Lo ha ringraziato per averla fatta diventare “ricca”. Parlando seriamente, ha detto che un successo sul campo sarà sempre più importante del denaro. “Ma se arriva uno, di solito c’è anche l’altro”. Quando la cinese ha firmato con Eisenbud era il 2009 e stava terminando il contratto con la Nike: ovviamente, molte aziende cinesi erano pronte a metterla sotto contratto. Lui ha negoziato un accordo con Nike che le ha permesso di indossare un patch sulla spalla. L’azienda americana non lo concede a nessuno, neanche a Roger Federer. “Lei era entusiasta di restare con Nike, ma le aziende cinesi offrivano più soldi – dice il manager – allora ho suggerito che la possibilità di mettere il patch avrebbe potuto fare la differenza”. Dopo il successo a Roland Garros, Eisenbud ha firmato sette contratti per un incasso di 48 milioni di dollari. Tra loro anche Mercedes e Taikang Life Insurance, che pagano 2,5 milioni all’anno per apparire sulla divisa. “Il mercato orientale è ancora quello principale – dice Eisenbud – per questo, tante aziende occidentali vogliono legarsi a lei per penetrare in Cina”.
 
RIVOLUZIONARIA COME BILLIE JEAN KING
La Li è al culmine delle sue possibilità di guadagno. “Ci siamo mossi bene: all’inizio ha pensato soprattutto alla sua carriera tennistica, sapendo che i soldi sarebbero arrivati più in là. Bisogna essere bravi a favorire, sviluppare e coltivare il proprio marchio e poi devi avere la capacità di capire quando puoi incassare”. In questo momento, non c’è più spazio per legarsi a lei. Dopo l’Australian Open, un paio di aziende hanno provato a contattarla, ma non c’è stato nulla da fare. Dopo il suo ritiro, continuerà a svolgere il suo ruolo di “ambasciatrice” dei suoi sponsor, privilegio riservato a pochi. Dopo aver pensato al ritiro nel 2013 a causa di qualche risultato mediocre e le critiche dei media cinesi, si è ripresa alla grande e oggi dice: “Mi ritirerò soltanto quando non ce la farò più sul piano fisico. Ascolterò il mio corpo”. La Li è un’eroina per i giovani cinesi perché ha avuto il coraggio di mollare il sistema cinese, che le forniva assistenza ma si teneva anche i guadagni. Adesso, invece, ha creato uno staff privato che le consente di intascare l’80% dei guadagni. “Credo che abbia una personalità tipo quella di Billie Jean King – dice Eisenbud – è stata una pioniera come lei, rompendo delle barriere. Ha fatto capire ai cinesi che possono avere successo in ogni campo”. Nonostante i problemi con il governo, ama il suo paese e progetta di aprire un’accademia. Ma adesso l’unico pensiero è su Wimbledon. “Mi auguro di fare un grande torneo, è un torneo speciale, pieno di storia”. E poi, più in là, raggiungere l’obiettivo principale: diventare la numero 1 del mondo. A quel punto, le ultime residue barriere crolleranno miseramente. E forse potrà superare persino la Sharapova nell’affascinante classifica dei guadagni.