Di Riccardo Bisti – 7 luglio 2014
Non capita spesso di rimpiangere l’assenza del pareggio. Il tennis è affascinante anche per la sua crudeltà, ma oggi un bell’X in schedina sarebbe stato più giusto, addirittura più equo. Perché Novak Djokovic e Roger Federer hanno dato vita a una delle più belle finali di sempre, in grado di rivaleggiare con i classici come Borg-McEnroe e Federer-Nadal. Entrambi hanno sfrugugliato dentro il proprio cilindro, trovando un pozzo senza fondo di conigli. 3 ore e 56 minuti di grande spettacolo, forse il miglior tennis espresso nel 2014, hanno regalato a Novak Djokovic il settimo Slam in carriera, il secondo a Wimbledon, certamente il più importante. Non vinceva un Major da un anno e mezzo, era reduce da una serie di sconfitte importanti e la sua carriera sembrava essersi incagliata. Invece, in un colpo solo, agguanta John McEnroe a quota sette Slam e si riprende il numero 1 ATP che gli era stato scippato da Rafa Nadal. Lo ha fatto in un modo che può dare una svolta alla sua carriera. Non ci stupiremmo se Wimbledon 2014 dovesse restituirci il dominatore del 2011. I fantasmi sono scomparsi, così come le incertezze di questi sei mesi di partnership con Boris Becker, costellate da sconfitte inattese e sublimate dai pasticci (non letali, per sua fortuna) nella semifinale contro Grigor Dimitrov. Djokovic si è imposto col punteggio di 6-7 6-4 7-6 5-7 6-4 e forse avrebbe potuto chiudere un’ora prima, ma un immenso Roger Federer, almeno quanto lui, ha lottato come un leone nel quarto set, annullando un matchpoint e prendendosi cinque giochi di fila che sembravano poter disegnare una favola d’oro, con il merchandising già pronto a scatenarsi con il numero 18. Ma nel momento del bisogno, Novak ha ritrovato la solidità mentale necessaria. O meglio, non l'ha persa. Per riuscirci, non ha dovuto fare il fenomeno con chissà quali scelte tattiche: ha scelto sentieri sconosciuti, evitando di esplorare l'ignoto.
FEDERER , CHE TENUTA!
Il pareggio sarebbe stato un risultato più giusto, ma un’analisi attenta, severa, e anche un po’ cinica, deve ricordare che Novak ha avuto setpoint in entrambi i parziali vinti da Federer: due nel tie-break del primo set (cancellati da due ottimi servizi) e uno nel quarto, che poi era anche un Championship Point. Anche in quel caso ha tirato un ace, aiutato da occhio di falco dopo che il giudice di linea gliel’aveva chiamato fuori. L’analisi cinica potrebbe essere ancora più cattiva, ricordando che lo svizzero ha perso l'ennesima partita lottata spalla a spalla, vizio che lo accompagna da un paio di lustri e che ne ha un po’ “sporcato” il palmares. In realtà non si può muovere mezza critica a Federer per questa partita. Le sensazioni esplorano mondi sconosciuti ai numeri, spesso incapaci di cogliere l’essenziale. Emozioni che raccontano un Federer gladiatorio, ancorato al servizio e a tutte le armi possibili e immaginabili, compresa una preparazione atletica quasi paranormale per aver quasi 33 anni. Nel primo set, ad esempio, vinceva spesso e volentieri gli scambi sopra i 20 colpi. I punti persi erano il frutto di un Djokovic in condizioni strepitose, capace di raggiungere l’impossibile e infilare passanti a volontà, come quello che gli ha dato il primo break della partita nel terzo game del secondo set. Sul 5-4, quando è andato a servire per il set, ha concesso a Federer la chance di riprenderlo ma l’ha cancellata con una perfetta combinazione servizio-dritto. Un doppio smash rimetteva i conti in parità.
UN QUARTO SET DA LEGGENDA
Finalmente Djokovic sembrava aver ingranato la marcia nei punti importanti. Nel terzo set restava a galla nonostante un “perfect game” di Federer sul 4-4 e si procurava addirittura due palle break sul 5-5. Tanto per cambiare, lo svizzero le cancellava con il servizio. Nel tie-break, tuttavia, il braccio del serbo non tremava: saliva 4-2, si faceva riprendere ma era perfetto al momento di chiudere, prima con un dritto vincente e poi con un rovescio in slice di Federer che moriva in corridoio. Era da parecchio che Nole non vinceva ‘sti benedetti “punti importanti contro i grandi avversari”. Quando si prendeva, di forza, il break del 3-1 nel quarto…sembrava finita. Invece era la scossa che trasformava una bella partita in una finale memorabile. Federer strappava per la prima volta il servizio a Djokovic (2-3), lo riperdeva nel game seguente, simboleggiato da un molle dritto in slice che finiva in rete. Sul 5-2 i titoli di coda e i discorsi post-match erano pronti. Invece il ruggito di Re Leone disegnava il break del 4-5 al termine di un punto stupendo, chiuso con un dritto vincente mentre Djokovic era finito per le terre. La cronaca rischia di diventare noiosa, ma il susseguirsi di episodi la rende necessaria. Con orgoglio e talento, lo svizzero cancellava il matchpoint e dominava le fasi finali del quarto, presentandosi ben più carico ai nastri di partenza del quinto. Ha anche seguito Djokovic fuori dal campo, come se non volesse concedergli alcun margine psicologico.
JELENA NEL CUORE E NELLA TESTA
Soltanto un fenomeno avrebbe potuto usurpare Federer nel quinto set. A parte un discutibile medical time out sul 2-1 al quinto (che però non ha influito, visto che Roger non ha perso un solo punto in battuta nei primi tre turni del set), Nole non ha concesso un millimetro. IL punto che ha fatto la differenza, volendo trovarne a tutti i costi uno, è stata la palla break per Federer sul 3-3. Novak l’ha giocata con aggressività e si è salvato senza bisogno di giocare la volèe. Lì la partita è definitivamente girata. Sul 4-3 Nole aveva tre palle break, annullate da un Federer sempre più gladiatorio, ma nell’ultimo game ha alzato il volume quando le marce di Federer si sono inceppate fino a fargli spegnere il motore sull’ultimo rovescio in rete. Dopo la vittoria, ancor più che la gioia, è scattata la commozione di Djokovic, sinceramente sull’orlo delle lacrime. Entrambi hanno evitato di piangere, mostrando una certa maturità, ed anzi sono stati piuttosto spiritosi nell’intervista di rito: “Non posso credere di essere arrivato al quinto set” ha sibilato Federer. “Grazie per avermi lasciato vincere” ha risposto Djokovic, che si è preso ogni secondo a disposizione per dedicare il successo, ancor più che al suo team (non ha citato né Vajda né Becker, mostrando un invidiabile equilibrismo diplomatico), a due figure femminili: la futura moglie Jelena Ristic (e il bambino in arrivo) e la sua prima maestra, quella Jelena Gencic, scomparsa l'anno scorso, “Che mi ha insegnato tutto”. E ha alzato il trofeo verso il cielo, in un gesto plateale ma sincero e sentito. Per chi crede a queste cose, forse, l'equilibrio tra Djokovic e Federer non è stato spezzato da una monetina ma da una mano giunta dall’alto, contro cui non ci si può opporre. Forse anche Federer sarà d’accordo, perché una decina d’anni fa era lui a dedicare i suoi successi al vecchio coach Peter Carter, scomparso in un incidente stradale. Una partita da leggenda, in fondo, aveva bisogno di un finale un po’ mistico.
WIMBLEDON 2014 – UOMINI
Finale
Novak Djokovic (SRB) b. Roger Federer (SUI) 6-7 6-4 7-6 5-7 6-4
GRANDE SLAM – I PLURIVINCITORI
Roger Federer – 17
Rafael Nadal – 14
Pete Sampras – 14
Roy Emerson – 12
Rod Laver – 11
Bjorn Borg – 11
Bill Tilden – 10
Ken Rosewall – 8
Andre Agassi – 8
Ivan Lendl – 8
Fred Perry – 8
Jimmy Connors – 8
Novak Djokovic – 7
Richard Sears – 7
William Renshaw – 7
William Larned – 7
Renè Lacoste – 7
Henri Cochet – 7
John Newcombe – 7
John McEnroe – 7
Mats Wilander – 7