Novak Djokovic si è costruito una credibilità immensa anche fuori dal campo. E’ l’uomo che ha saputo cambiare l’immagine della Serbia. E odia la guerra: “Sono contro a tutto quello che è distruttivo”
Di Riccardo Bisti – 22 luglio 2014
Anzichè ringraziare Boris Becker e Marian Vajda, durante la premiazione di Wimbledon ha ricordato la sua prima maestra, Jelena Gencic. Quello di Novak Djokovic è stato un gesto dal gran valore simbolico, punta dell’iceberg di una vita e di una condotta che lo hanno reso la persona più famosa della Serbia. Per il suo paese non era facile superare un passato sanguinoso e drammatico. E’ proprio col sangue che la ex Jugoslavia si è sgretolata in tanti staterelli, ancora oggi visti come il frutto della Guerra dei Balcani. La Serbia non era l’unico colpevole di quanto accaduto nei primi anni 90, ma la sua immagine era finita a pezzi anche a causa di una stampa non sempre favorevole. Ricostruire un senso di orgoglio nazionale richiede tempo, e solitamente non succede fino a quando non cambia la percezione degli stranieri. Per riuscirci in fretta, esiste un solo modo: trovare un eroe senza macchia e senza paura, qualcuno che possa offrire un’immagine tutta nuova. Avrebbe potuto essere un calciatore, o magari un cestista. Invece i serbi l’hanno trovato in un tennista che ha totalmente rinnovato la sua immagine grazie al secondo titolo a Wimbledon e al matrimonio da favola con Jelena Ristic (e non fa niente se la cerimonia si è tenuta a Sveti Stefan, in territorio montenegrino). Nole aveva abituato troppo bene, vincendo quattro Slam su cinque tra il 2011 e l’inizio del 2012. Era un periodo nuovo e scintillante per la Serbia, improvvisamente diventata una potenza del tennis mondiale grazie ai successi di Ana Ivanovic e Jelena Jankovic nel femminile, senza dimenticare il prezioso supporto di Janko Tipsarevic, Viktor Troicki e Nenad Zimonjic. Insieme, hanno vinto una storica edizione della Coppa Davis che ha restituito alla Serbia un’immagine nuova, vincente e ripulita dagli errori del passato. Dopo qualche difficoltà, la recente vittoria a Wimbledon lo ha riproposto come personaggio globale, assoluto.
UNA MENTE APERTA
In pochi anni, il tennis è diventato lo sport più importante del paese. Belgrado, città giovane e desiderosa di vivere, profuma di tennis a ogni angolo. Le TV dei locali pubblici sono tutte accese sul nostro sport. Non sarebbe mai successo senza Jelena Gencic, che riconobbe il suo eccezionale talento quando vide un bambino di cinque anni, tutto solo, su un campo da tennis della località sciistica di Kopaonik. Rimase talmente colpita da lui che, parlando con i suoi genitori, disse che avevano tra le mani un bambino d’oro. Fino agli 11 anni di età, la Gencic gli ha insegnato la tecnica tennistica ma anche la musica di Beethoven, il galateo, le buone maniere a tavola e la poesia serba. Sul piano tecnico gli ha lasciato scegliere che tipo di rovescio giocare (lui ha optato per la soluzione bimane), mentre su quello umano non gli ha mai impedito di ascoltare il rock o l’heavy metal. Semplicemente, voleva aprirgli la mente a diverse soluzioni. C’è riuscita alla perfezione, quando ascoltando l’Overture del 1812, gli disse di avere la pelle d’oca. La Gencic, scomparsa nel 2013, ha raccontato queste storie a Chris Bowers, che le ha raccontate nel suo libro “The Sporting Statesman”. Un libro in cui ha spiegato la complessità della Guerra dei Balcani e il modo in cui Djokovic sia diventato l’ambasciatore più credibile di una nazione nata appena 20 anni fa. La Gencic è morta all’età di 76 anni, sconvolgendo Nole a tal punto da fargli saltare una conferenza stampa durante il Masters 1000 di Monte Carlo. Lui scrisse una lettera poi letta dalla madre ai funerali. “Ero totalmente impreparato per la nostra separazione – ha scritto Nole – eri un angelo, sia quando mi hai allenato che quando mi hai sostenuto ovunque andassi. Ti prometto che parlerò a tuo nome per le nuove generazioni e il tuo spirito continuerà a vivere”.
LA VIOLENZA NON PORTA NIENTE DI BUONO
Djokovic ha saputo andare oltre le rivalità, ha capito che lo sport può unire anziché dividere. “Amo tutti i paesi della ex Jugoslavia, anche la Croazia – ha detto – nonostante la guerra sia stata orribile. Non sono una persona che porta rancore. Onestamente, credo che non ci siano più ragioni per combattere”. Parole concilianti che vanno in una direzione opposta rispetto al suo fiero atteggiamento in campo, dove si batte il pugno sul petto e per anni ha chiesto agli sponsor tecnici di disegnare capi con tonalità rosse e blu, in modo da ricordare i colori della bandiera serba. Fuori dal suo paese, non tutti lo amano. Quando affronta Roger Federer, poi, quasi nessuno fa il tifo per lui. Ma c’è abituato, ed anzi non ha alcun problema con lo svizzero. Magari non si amano, ma certamente gli ha chiesto consigli su come gestire la vita nel tour quando sarà diventato padre, visto che a fine anno nascerà il suo primogenito. Djokovic è già stato nominato ambasciatore Unicef e si è preso più di un elogio dall’ex presidente serbo Boris Tadic “per aver contribuito a dare un’immagine migliore del nostro paese”. Lo stesso Tadic ha detto che, se Nole si fosse candidato a presidente della Repubblica, sarebbe stato eletto. Il suo futuro è ancora da scrivere, ma è certo che sia stato uno dei pochi atleti invitati a parlare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il suo intervento fu abbastanza moderato, ma la sua visione è chiara: “Sono contro ogni tipo di arma e di attacco aereo. Sono contro tutto ciò che sia distruttivo. L’ho vissuto in prima persona e so che non può portare a nulla di buono”. Qualche estremista non sarà contento, magari gli stessi che misero a ferro e fuoro Belgrado quando un suo videomessaggio del 2008 diceva che il “Kosovo è serbo”. Tuttavia, Nole ha acquisito il diritto di essere ascoltato. La sua opinione è influente. E se c’è un serbo che ha mostrato di poter creare ottimismo e non disperazione, beh, si chiama proprio Novak Djokovic.
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