ATP UMAGO – L’azzurro lascia la finale a Cuevas, mostrandosi un po’ a corto di energie nei momenti importanti. Quando la partita poteva girare, gli è mancato il killer istinct.
Dall’inviato a Umago, Riccardo Bisti – 27 luglio 2014
Il tennis è uno sport di sensazioni. Quando arriva un sentore, una percezione, difficilmente si sbaglia. E la semifinale di Umago tra Fabio Fognini e Pablo Cuevas ha fornito indicazioni negative sin dall’inizio, anche se il 6-3 6-4 finale si presta a molteplici interpretazioni. Il clima, intanto. Dopo l’incredibile acquazzone di sabato, il tempo si è tuffato in un “sereno variabile” inquietante. Alle 10.30, orario d’inizio, il campo era ancora una palude. Gli addetti gettavano sacchi di terra battuta per renderlo praticabile. Ma niente è meglio della natura, e il sole lo ha asciugato rapidamente fino a consentire lo svolgimento del primo punto alle 11.52. Fognini non è mai stato uno sprinter mattutino. Ha bisogno di tempo per trovare energie, difficilmente le sue più belle partite si sono giocate a ora di pranzo. E si è visto sin dai primi scambi, dove Cuevas ha scaricato tutta la sua fiducia, frutto di undici vittorie consecutive da Bastad in poi. Il sudamericano è famoso per l’elegante rovescio, ma i suoi recenti successi dipendono soprattutto da servizio e dritto. Col primo può alternare la botta a 200 km/h e il kick più estremo, col secondo comanda lo scambio grazie a una notevole pesantezza di palla. E nel primo set non ha concesso nulla, facendo filare via i suoi turni di battuta con grande facilità. Fognini incassava un break al secondo game, figlio di un doppio fallo e alcuni errori di dritto, e non riusciva a rendersi incisivo in risposta. Di certo non gli avrà fatto piacere giocare sul campo Grandstand, ma d’altra parte non c’erano alternative: data la necessità di giocare in contemporanea, era ovvio dare la precedenza al padrone di casa Marin Cilic.
QUELL'ACCELERAZIONE IN MEZZO ALLA RETE
Ciò che allarmava, al di là di un 6-3 frutto di un solo break, erano le sensazioni. Come nei quarti contro Coric, non c’era l'idea di un Fognini energico, sicuro di sé. Era come se gli mancasse un paio di tacche nel caricabatterie. Energia che sarebbe arrivata solo con un po’ di adrenalina. L’inizio del secondo set era da incubo: Fabio incassava un parziale di 10 punti a 1, accompagnati da una palla scagliata in mezzo alla strada, e si trovava rapidamente sullo 0-2 e 0-30. La conclusione sembrava segnata, invece trovava la forza di tenere il turno di battuta e il match, all’improvviso, girava. La macchina-Cuevas, fino a quel momento infallibile, si inceppava. Tre dritti sbagliati portavano Fognini sul 2-2 e l’atteggiamento cambiava. Era positivo, provava ad autoincitarsi, e conquistava sempre più punti, anche dopo scambi duri e faticosi. Sul 2-2 cancellava una palla break con un servizio vincente e poi volava addirittura 4-2, facendo credere che la partita fosse definitvamente girata. Ma Fognini, si sa, è imprevedibile. Al momento di chiudere il set, si è inceppato e ha consentito a Cuevas di riprendersi il break di vantaggio (molto bravo l’uruguagio a chiudere con un dritto vincente dopo uno scambio pieno di manovre). La partita si è poi decisa sul 40-40 del game successivo: Fabio aveva ripreso da 40-15 a 40-40 con due super-rovesci lungolinea, ed ha giocato uno scambio terrificante, con almeno 40 colpi, in cui entrambi hanno esplorato ogni angolo del cambio. Purtroppo, è finito con un’accelerazione di dritto morta in mezzo alla rete. Un colpo che è stato il simbolo di un’energia mancante. Una carenza che nemmeno qualche scarica di adrenalina è riuscita a colmare.
CUEVAS, MR. PROFESSIONALITA'
Gli ultimi due game sono stati pura malinconia, la certezza che ormai il treno buono era passato. Fabio buttava via il nono game e pochi minuti dopo stringeva la mano, sconfitto, dopo poco più di un’ora. Cuevas si accucciava, ebbro di gioia, verso il suo angolo, dove era rimasto l’amico-coach Facundo Savio, che accompagna Pablo da quando si è esaurito il rapporto con Daniel Orsanic, scelto dalla federtennis argentina come direttore dello sviluppo. Il nuovo sodalizio sembra funzionare alla grande, anche se la professionalità di Cuevas è fuori discussione: il passato parla per lui. E’ tornato più forte di prima di un eterno stop, durato quasi 2 anni a causa di un grave problema al ginocchio. E la si vede anche dalle piccole cose: venerdì aveva terminato il doppio (perso 13-11 al super tie-break, quindi giocato al massimo) in piena notte, eppure sabato mattina – nell’eterno stop per pioggia – è stato tra i primi a presentarsi presso lo splendido complesso Stella Maris, davvero una perla nel calendario ATP sia per la location che per la bontà delle strutture. In finale se la vedrà con Tommy Robredo, che per la delusione del pubblico locale ha superato Marin Cilic col punteggio di 7-6 6-3, con il croato che recrimina per le occasioni sciupate (tra cui tre setpoint consecutivi nel tie-break). Nella sfida tutta latina, tra rovesci a una mano, è difficile ipotizzare un vincitore: la grande esperienza di Robredo o lo stato di forma di Cuevas? Nel frattempo, Fognini torna a casa con qualche certezza in più, andrà in visita al Centro Estivo FIT di Brallo e poi si caricherà per il cemento, dove in palio ci saranno i punti che contano. A Umago ci tornerà tra 12 mesi, si spera in una posizione di classifica ancora migliore.
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