Jo Wilfried Tsonga completa la settimana perfetta e si prende il Masters 1000 di Toronto. Aveva troppa più energia di un coraggioso Federer. Ma lo svizzero sarà in prima fila allo Us Open.

Di Riccardo Bisti – 11 agosto 2014



Toronto è la città delle grandi imprese. Dodici anni fa, il Rexall Centre aveva ospitato quella di Guillermo Canas, capace di battere quattro top-10 uno dopo l’altro. Lo ha imitato Jo Wilfried Tsonga, vincitore del più bel titolo in carriera dopo una stagione negativa, forse la più difficile della sua carriera. Fino ad oggi, aveva colto una sola finale (nel torneo minore di Marsiglia) e tre quarti. Nulla faceva pensare a un exploit del genere. Invece, con l’aiuto di un servizio impressionante e un campo più veloce del solito (Federer dixit) ha vinto il secondo Masters 1000 in carriera. Il primo risaliva a sei anni fa, a Parigi Bercy, quando il pubblico lo aveva spinto a battere David Nalbandian. Doveva essere il trampolino di lancio verso i grandissimi, non è stato così. Jo è rimasto un immediato rincalzo. Uno dei più credibili, in grado di strepitosi exploit, ma incapace di riuscirci con continuità. Per questo, il successo non stupisce più di tanto. Tutti sanno che Tsonga può battere chiunque, anche nei tornei importanti. La sorpresa nasce dal pregresso: il 2014 gli aveva dato ben poche soddisfazioni, e nemmeno la formula del doppio coach (Thierry Ascione – Nicolas Escudè) aveva dato la scossa. Invece, uno dopo l’altro, ha battuto Djokovic, Murray, Dimitrov e Federer. Proprio lo svizzero rappresenta il collante tra l’impresa di oggi è quella di Canas: c’era anche lui, nel 2002, tra le vittime dell’argentino. Un altro indicatore della sua straordinaria longevità. Roger ci aveva creduto, davvero. Non vinceva in Canada da otto anni, e tutto sembrava girare a suo favore. Le battaglie contro Cilic e Ferrer erano state “ammortizzate” dalla semifinale di routine contro Feliciano Lopez. Ma ha pagato lo sbalzo termico: dopo aver giocato tutto il torneo al fresco della sera, con un paio di match terminati a orari marzulliani, è stato sballottato in campo alle tre del pomeriggio. A 33 anni, certe cose si sentono. E si vedono nella minore incisività nel gioco di gambe e nella fretta, quasi ossessiva, di accorciare lo scambio.
 
TSONGA, CHE SERVIZIO!
Per carità, la tattica ha funzionato: Roger si è presentato a rete 33 volte e ha intascato 27 punti, peraltro con alcune soluzioni di livello. Ma non era brillante e nemmeno esplosivo. Per battere l’arrazzato Tsonga ci voleva di più, quel litro di benzina già consumato nei giorni scorsi. La classe lo ha tenuto a galla, perchè la velocità di crociera è ancora ottima. Al momento di sprintare, tuttavia, la marcia era inceppata. Come nel primo set, quando si è trovato 0-30 sul 5-5 e servizio di Tsonga. In altri tempi, Federer avrebbe fatto il suo dovere. Stavolta no. Anzi, nel game successivo ha commesso un paio di pasticci che hanno mandato il francese avanti di un set. La faccenda, al sole dell’Ontario, si è fatta più complicata. Eppure Roger è rimasto a galla, sia pure tra indicibili sofferenze. Da metà secondo set in poi, i suoi turni di servizio sono diventati un calvario. Si è aggrappato alla classe e in qualche modo è rimasto incollato fino al tie-break. Sul 4-5 ha cancellato un matchpoint con un bel dritto in progressione, con Tsonga irritato per qualche urlaccio proveniente dagli spalti. Ma il margine era troppo elevato, anche grazie all’impressionante rendimento al servizio. Con bordate intorno ai 230 km/h (e una velocità media di 201 km/h sulla prima), ha raccolto il 94% dei punti col primo servizio. Non ha concesso l’ombra di una palla break, mentre Federer ha lottato duramente per cancellarne sei su sette. Nel tie-break, sul 3-3, Roger ha accettato la battaglia da fondocampo senza cercare la via della rete, ed ha finito con lo sparacchiare un rovescio in lunghezza. Neanche la sua Wilson nuova di zecca ha perdonato l’errore tecnico. Pochi minuti dopo, Tsonga poteva abbracciare il suo angolo (c’era solo Ascione), ebbro di gioia, di nuovo tra i top-10 dopo esservi uscito qualche mese fa.
 
TERMINA L'EGEMONIA DI BIG FOUR
E’ un successo che fa storia per motivi statistici. L’ultimo giocatore non compreso tra i "Big Four" a vincere fu Andy Roddick nel 2003. Da allora, il Canadian Open era diventato proprietà esclusiva di Federer, Nadal, Djokovic e Murray. Più in generale, i grandi avevano monopolizzato i Masters 1000. Negli ultimi cinque anni, avevano spezzato il dominio soltanto Ivan Ljubicic (Indian Wells 2010), Robin Soderling (Bercy 2010), David Ferrer (Bercy 2012) e Stan Wawrinka (Monte Carlo 2014). Tsonga è un bel vincitore perchè non “sporca” l’albo d’oro. Nessun torneo, neanche uno Slam, si lamenterebbe di averlo tra i vincitori. Il tempo è passato anche per lui: non c’è più l’esultanza con i pollici verso di sè, come se avesse fatto un gol allo Stade de France, e nemmeno quella da boxeur mostrata nei giorni scorsi. Si è soltanto goduto l’attimo, prima di mandare baci e cuoricini autografando la telecamera. Questo trionfo lo riporta nel suo habitat naturale: i top-10. Ci ha chiuso l'anno in cinque delle ultime sei stagioni, e solo quest’anno sembrava incapace di reggere il ritmo. Adesso si rilancia alla grande e sarà un’alternativa credibile allo Us Open, l’unico Slam dove non ha centrato almeno le semifinali (il miglior risultato è il quarto di finale raggiunto nel 2011). Ride anche Roger Federer, che da questa settimana si porta via tante belle notizie. E' il top player uscito meglio da Wimbledon e a New York avrà un giorno di riposo tra un match e l’altro. Inoltre, difficilmente giocherà tutto il torneo di sera come gli è accaduto a Toronto. Anche quello potrebbe essere un fattore.
 
MASTERS 1000 TORONTO – Finale
Jo Wilfried Tsonga (FRA) b. Roger Federer (SUI) 7-5 7-6