A quattro anni dal ritiro, Mario Ancic è avviatissimo nella carriera da avvocato. Superato il trauma post-addio, si è trasferito negli Stati Uniti. “Sto giocando il secondo set della mia vita”.

Di Riccardo Bisti – 19 agosto 2014

 
Chissà se è stata timidezza o modestia. Di sicuro, l’annuncio ha sconvolto i circa 300 studenti che seguivano un corso d’orientamento presso la Columbia Law School. Quando la preside ha chiesto in quanti avevano esperienza in diritto societario, in parecchi hanno alzato la mano. Tuttavia, quando ha chiesto in quanti avevano ottenuto una medaglia olimpica, nessuno si è mostrato. Ha capito che doveva annunciarlo lei: “Quel ragazzo è stato numero 7 al mondo nel tennis e ha vinto una medaglia di bronzo ad Atene 2004”. Si sono voltati e lo hanno guardato con soggezione. Mario Ancic avrebbe potuto essere il vero erede di Goran Ivanisevic, ma la sua carriera si è bloccata a causa di una violenta forma di mononucleosi. Ha fatto in tempo a battere Roger Federer sul Centre Court e vincere una storica Coppa Davis per la Croazia, dando l’ultimo punto nella finale contro la Slovacchia. Tuttavia, c’è più spazio per i rimpianti che per le gioie. I rimpianti per non aver realizzato la profezia di Boris Becker, che quando lo vide giocare a 20 anni, disse: “Il futuro del tennis è arrivato: il suo nome è Mario Ancic”. Tutto è cominciato nel 2007, ad appena 23 anni di età. L’anno prima era entrato tra i top-10, ma gli diagnosticarono la mononucleosi. Gli effetti? Febbre, problemi alla tiroide e vertigini. Era talmente spossato che per 10 settimane non è riuscito ad alzarsi dal letto. La beffa del destino: un giorno sei al top della carriera, il giorno dopo non puoi neanche camminare. Un infortunio alla schiena e altre infezioni lo hanno obbligato a ufficializzare il ritiro nel 2010, ad appena 26 anni. “La testa e il cuore volevano andare avanti, ma il corpo non ce la faceva. E’ stato il giorno più duro della mia vita. Ci vorrà un po’ di tempo prima che io possa guardare il tennis senza stare male” disse qualche mese dopo il ritiro.
 
IL CAPO DI SE STESSO
I mesi sono passati, ma la vita andava avanti. I libri hanno preso il posto della racchetta. Il cervello ha preso quello delle gambe. Forte della sua esperienza da giocatore, ha intrapreso una carriera legale negli Stati Uniti. La laurea in Legge era già arrivata nel periodo di transizione tra la scoperta della malattia e il ritiro. Ma l’Università di Spalato, senza offesa, non è la stessa cosa che provarci negli Stati Uniti. Oggi opera con la Columbia University, ha avuto esperienze importanti con il direttore legale dei Brooklyn Nets (team NBA) e la carriera è avviata. Tuttavia, i ricordi del passato lo attanagliano ancora. In fondo è nato il 30 marzo 1984 e tanti top-100 sono più anziani di lui. Senza scomodare Roger Federer o i “vecchietti” per eccellenza Stepanek, Karlovic e Haas, ci sono tanti giocatori della sua età o giù di lì che continuano a vincere. Niente più fans, interviste, pubblicità. Lo star system è lontanissimo tanto da farlo stupire quando qualcuno di interessa a lui. Lo ha fatto l’ATP lo scorso autunno (peraltro, fu proprio l’ATP l’argomento della sua tesi), più di recente Sports Illustrated, la più importante rivista sportiva al mondo. “Il tennis mi è servito molto – ha raccontato a Smaiti Simha, giornalista uscita proprio dalla Columbia School – quando mi trovo in una situazione di stress nel mio lavoro, la affronto grazie a quello che avevo imparato col tennis. La necessità di dovermi spingere al limite, giorno dopo giorno, mi sta aiutando molto”. Tra i piaceri della nuova vita, oltre ad alcune passioni culinarie, ha scoperto la libertà di andare a dormire quando vuole. “Sono il capo di me stesso”.
 
ESPERIENZA A DISPOSIZIONE
Mario non ha intenzione di tornare nel tour, ma ogni tanto gioca ancora. La fiammella è stata riaccesa da Katarina Kovacevic, giocatrice nel team femminile della Columbia University. Ha dato un’occhiata ai ragazzi del team maschile e ha palleggiato con loro, rendendosi disponibile per qualsiasi tipo di suggerimento. “Viene spesso a vedere le loro partite – dice il coach Howard Endelman – ha già vissuto le loro problematiche, a livelli ben più alti. Per i ragazzi è straordinario avere un modello da emulare come lui”. Lo scorso anno, Ancic ha fatto un salto allo Us Open e ha parlato con Roger Federer e tanti altri ex colleghi. “Loro parlano degli Slam, mentre io penso agli esami” scherza. I suoi contatti sono ancora molto utili per la Columbia Law School, giacchè lo scorso marzo è riuscito a portare addirittura Novak Djokovic per tenere una lezione sugli aspetti legali relativi allo sport. Ancic è molto stimato perchè è riuscito a reinventare completamente la sua vita e la sua carriera dopo aver dovuto abbandonare la sua passione. “Ho imparato una cosa: se vuoi far ridere Dio, devi dirgli i tuoi piani – ha detto – ho vinto un set, ma c’è il secondo da giocare. Spero di non doverne giocare un terzo”.