US OPEN – Simone ritorna il Bolelli dei tempi d’oro e arriva a due game dal successo contro Robredo. Poi accade l’imponderabile: una chiamata discussa, mal gestita ma giusta, lo manda in corto circuito.
Di Alessandro Mastroluca – 29 agosto 2014
“Non lo so se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza. Ma forse le due cose capitano nello stesso momento”. I dubbi di Forrest Gump si sono palesati sul Campo 17 dello Us Open. Se Simone Bolelli non fosse superstizioso, da oggi avrebbe una ragione in più per diventarlo. Succede tutto nel decimo game del terzo set. È un gioco lunghissimo, oltre nove minuti, in cui gli chiamano due falli di piede, salva tre set point e Robredo si mette a litigare con la tecnologia dell'Hawk Eye. Poi, sull'ennesima parità, lo spagnolo gioca una palla molto vicina alla riga, forse oltre la riga: qualcuno chiama “out” e Bolelli si ferma. Ma la chiamata non è arrivata dal giudice di linea, è arrivata da uno spettatore. E qui il destino che l'azzurro ha costruito nelle prime due ore e mezza è deragliato, qui Bolelli inizia a essere trasportato via in un altro match in cui ha perso ogni presa tecnica, tattica, emotiva. Per i primi due set, Bolelli è perfetto, perfetto come negli anni del best ranking, come nei giorni delle grandi vittorie su Del Potro a Parigi o Wawrinka a Wimbledon. È solidissimo al servizio, perde appena 8 punti con la prima nei primi due parziali, è efficace anche in risposta, è in fiducia, comanda il gioco e cerca spesso la chiusura a rete. L'unico break in tutto il match gli consente di completare il 7-5 nel primo set, una maggiore autorevolezza gli vale il 7-5 al tie-break del secondo. Suo il primo minibreak, attacco di dritto e volée a campo aperto, ripreso e riconquistato con un'altra grande volée arpionata su un passante tirato da lontanissimo. Robredo si inchina, al secondo setpoint, alla prima centrale a 200 kmh del bolognese.
LA MALEDETTA REGOLA 26
Bolelli però maschera a lungo le mancanze che gli saranno fatali dalla parte del rovescio. Nel terzo set, anche prima dell'episodio che cambierà tutto, tiene con più difficoltà (anche dal punto di vista atletico) e insiste senza risultati col back di rovescio, oggi al limite del disastroso. La tenuta mentale, parsa migliorata dopo il quarto tie-break vinto sui sei disputati nel circuito maggiore quest'anno, viene messa alla prova dalla decisione di Maria. Purtroppo, la prova non è superata. Il giudice di sedia inizialmente annuncia di voler far ripetere il punto, ma il “replay the point” è una decisione sbagliata nel merito: sarebbe giusta se il giudice di linea avesse chiamato l'out e Maria, valutando diversamente, interpretasse quell'intervento come un disturbo non intenzionale del punto. Ma la chiamata arriva da uno spettatore, e qui la questione si complica. Perché Bolelli protesta, sostiene di essersi fermato perché ha sentito l'out dello spettatore, ma intanto fa passare troppo tempo prima di chiedere l'aiuto del Falco. Maria si consulta anche con il supervisor Lars Graff e alla fine applica il regolamento. E cosa dicono le interpretazioni ufficiali della regola 26, che disciplina il punto disturbato? Dicono che se ti fermi perché qualcuno del pubblico chiama la palla fuori, perdi il punto perché hai interrotto il gioco. Discutibile, perchè non sempre il giocatore può sapere da dove arriva un suono. Ma la regola non è interpretabile.
SIMONE SI SGONFIA
A questo punto Bolelli è come l'Hamm protagonista del “Finale di partita” di Beckett, il re di una partita persa in cui continua a improvvisare una serie di mosse senza risultato cercando solo di rinviare una conclusione inevitabile. L'ingenuità, forse l'inesperienza hanno finito per minare le certezze dell'azzurro. Bolelli si è consegnato a Robredo, ha moltiplicato i gratuiti e perso lucidità nelle scelte strategiche. C’era un avversario che ancora una volta ha sconfitto l'anagrafe, ancora una volta capace di ribaltare una partita dopo aver perso i primi due set. E’ l'unico ad esserci riuscito per tre volte di fila in uno Slam negli ultimi 80 anni, che ancora una volta è rimasto ad aspettare il calo dell'avversario. Calo che puntualmente è arrivato, mentre Robredo continuava costante a controllare senza rischiare, a giocare con abbastanza margine da tenere l'iniziativa senza regalare. Alla fine Bolelli ha pagato e c’è anche un po’ di colpa, perchè non ha cacciato via il senso percepito di ingiustizia per quel punto contestato. Ma ha pagato anche i suoi limiti di tenuta, soprattutto negli spostamenti, e una certa asimmetria nella resa dei colpi a rimbalzo che si è fin troppo acuita alla distanza. E contro un avversario come Robredo, in un match al meglio dei cinque set, sono dettagli che fanno la differenza. Destino o non destino.
Essere vulnerabili, e ammetterlo, è una grande risorsa
Vulnerabili lo siamo tutti, anche e soprattutto i tennisti, in un’epoca in cui la pressione per il risultato è...