US OPEN – La nuova serba viene….dalla Russia. Aleksandra Krunic è nata a Mosca, ma ha mantenuto la cittadinanza dei genitori. Con due gambe rapidissime, ha eliminato Petra Kvitova.

Di Alessandro Mastroluca – 31 agosto 2014

 

“Ho giocato solo piccoli tornei. Non so quali siano i miei limiti, non so fin dove posso arrivare”. Aleksandra Krunic però una cosa la sa. Può arrivare a vincere le sue prime partite in uno Slam, può vincerne tre di fila e a firmare una delle più grosse sorprese dello Us Open 2014, eliminare Petra Kvitova. Ma nemmeno nell'entusiasmo per il più prestigioso successo in carriera perde il contatto con la realtà. “Di sicuro, se Petra avesse giocato il suo miglior tennis non sarei mai riuscita a batterla. Naturalmente io ci ho creduto sempre di più e quando ho giocato la palla corta vincente per il 5-4 e 40-0 nel secondo, allora ho pensato: oddio, ho tre match point, posso vincere davvero!”. A suon di spaccate e scambi prolungati, la piccola Krunic ha costretto Kvitova a commettere più del doppio dei suoi errori, 34 contro 14. Gratuiti che hanno annullato l'effetto dei 33 vincenti della ceca a fronte dei 17 della serba. “Ho provato a non mettermi pressione addosso, come in realtà ho fatto negli ultimi due anni. Ho cercato di non pensare al punteggio ma non credevo sarei riuscita a rimanere così calma e a non farmi influenzare dal campo, da tutto quel pubblico, dal punteggio, da Petra”. Anche se la sua favola dovesse finire agli ottavi contro Vika Azarenka, Krunic tornerebbe a casa da numero 91 del mondo, con un salto in avanti in classifica di 54 posizioni: è quasi pleonastico sottolineare che la 21enne che vive a Belgrado ma è nata a Mosca non era mai entrata prima in top-100.

 

INIZIÒ TUTTO… PER SALVARE LE PIANTE

“La famiglia è un valore fondamentale” ha spiegato la giovane Aleksandra, che pur essendo cresciuta in Russia ha mantenuto la nazionalità dei genitori, Bratislav e Ivana, immigrati dalla Serbia che lavorano per una grande azienda di elettrodomestici, la Gorenje. Considera Mosca la sua casa, ma è tornata a vivere a Belgrado dai nonni: lì è rimasto anche tutto il resto della famiglia. A tre anni, ha raccontato in un'intervista per il sito della WTA, “I nonni mi comprarono una racchetta di plastica e una pallina di spugna. Io, che già allora ero una bambina piuttosto vivace, correvo per tutta casa e tiravo quella palla dovunque. Ho rotto tutte le piante e i fiori che mamma portava a casa. Così i miei genitori hanno deciso di portarmi a una piccola scuola di tennis in cui c'era solo un anziano maestro che insegnava a tutti”. Il salto di qualità è rapido quanto rimarchevole. A sette anni entra allo Spartak Tennis Club, che non è segnato sulle cartine e ha più l'aria di un impianto sciistico abbandonato, ma ha formato Anastasia Myskina ed Elena Dementieva, che hanno iniziato a sfidarsi mettendo in palio una pizza e si sono ritrovate di fronte in finale al Roland Garros 2004, in un trionfo di affetti e paure, di tensioni e legami difficilmente ripetibile. Oltre a Marat Safin, alla sorella Dinara e Anna Kournikova. Spartak, nome che fa riferimento all'antico schiavo Spartaco, nell'etimologia sociologica dei club sovietici indica l'appartenenza alla classe operaia. E la ripetizione, come in fabbrica, è il segreto del successo del metodo Spartak, origine e fondamento principe di quella che Bollettieri ha chiamato “la nuova armata russa”.

 

DALLA RUSSIA CON FURORE

Armata di cui fa parte anche la minuta quanto combattiva Krunic, che per dieci anni si allena con Eduard Safonov. “Devo a lui tutti i miei colpi, tutta la mia tecnica” ha detto Aleksandra, che a 17 anni si è spostata in Slovacchia da Mojmir Mihal, allora coach di Magdalena Rybarikova e Dominik Hrbaty, l'icona del tennis nazionale almeno dal giorno in cui battè Agassi a Roma. Insegue la sua strada grazie a uno sponsor, un amico del padre che finanzia la sua formazione da quando aveva 14 anni. Continua a studiare, è al quarto anno di economia alla Singidunum, un'università privata che le consente di seguire anche corsi a distanza, e a coltivare i suoi interessi e le sue passioni un po' inusuali fra i tennisti. “Guardo molti documentari su Youtube, mi piace imparare cose nuove, mi piace saperne di più su quello che mi fa paura, soprattutto psicologia e criminologia. Mi interessa tutto quello che riguarda gli aerei, ma ho paura di volare”. Solo in senso letterale, però. Perché sportivamente Aleksandra già vola, e di paura non ne dimostra proprio. Ha le idee chiare, vuole entrare tra le prime 50 entro la fine dell'anno prossimo, e la deadline potrebbe anche risultare presto fin troppo prudente. E questo è solo uno dei contrasti, degli opposti che in lei si toccano e si attraggono. La terra rossa, infatti, è la sua superficie preferita, ma è sul duro che si è presa le soddisfazioni maggiori, agli Us Open e a Baku dove ha ottenuto i primi quarti WTA. Su tutto, campeggia sempre quel dualismo tra l'appartenenza e la formazione, la contrapposizione che fonda ogni grande storia, quella tra natura e cultura. Perché al di là della formazione russa, si sente profondamente serba. Perché proprio nel 2010, quando si sposta in Slovacchia, si trova a giocare il doppio decisivo in Fed Cup nello spareggio per entrare nel World Group proprio contro la Slovacchia. “Giocavo con Jelena Jankovic, eravamo sotto 6-1 5-1 contro Hantuchova e Rybarikova. Alla fine siamo riuscite a rimontare e vincere 9-7 al terzo. È la più grande emozione che abbia mai provato su un campo da tennis”.