Goran Ivanisevic con le braccia al cielo resterà una delle immagini-simbolo dello Us Open. 13 anni dopo, il croato ha rivissuto da coach un miracolo che aveva compiuto da giocatore. Il nuovo Cilic è opera sua.

Di Cosimo Mongelli – 11 settembre 2014

 

“Questo è un sogno e io sto per svegliarmi" . Furono le prime parole di Goran Ivanisevic, lunedì 9 luglio 2001. Aveva appena vinto Wimbledon, contro ogni più impensabile e delirante pronostico. Il suo primo e unico Slam, alla soglia dei 30 anni, dopo essere entrato in tabellone grazie ad una wild card. Dopo aver passato gli ultimi mesi alle prese con infortuni che ne avevano minato pesantemente la classifica e il rendimento ad alti livelli. E' in lacrime, trema, non sa se ridere o piangere. Chissà se in cuor suo avrebbe mai immaginato di trovarsi, 13 anni dopo, a esultare e commuoversi ancora. Per un altro miracolo, un altro risultato impensabile e impronosticabile: il trionfo allo Us Open del suo allievo, Marin Cilic. Anche lui al primo titolo Slam. Anche lui reduce da mesi di inattività dopo la paradossale squalifica per doping. Vicenda che avrebbe potuto tagliargli per sempre le gambe, le aspettative, ogni velleità di competere coi più forti. Ma gli ultimi mesi passati con Goran sono stati i più importanti da quando è iniziato il sodalizio tra i due. In questi mesi la forza, la follia, la determinazione del maestro hanno finalmente fatto presa sull'allievo. A Wimbledon le prime avvisaglie: quarti di finale e semifinale sfiorata, dopo un'epica battaglia con Nole Djokovic.

 

"FAI VEDERE QUANTO SEI FORTE"

A New York il capolavoro. E mai come in questo caso la mano del coach è sotto la luce del sole e dei riflettori. Le basi ci sono sempre state, per Marin. Giocatore sottovalutato dal pubblico, ma ritenuto da molti addetti ai lavori come un potenziale vincente. Rino Tommasi, chi meglio di lui, anni or sono prevedeva per il croato un futuro da protagonista. A Marin Cilic manca però quel pizzico di aggressività, di rabbia. E soprattutto manca il servizio. Non ha mai sfruttato appieno il suo essere gigante, con una prima appena decente e una seconda irrilevante per uno della sua stazza e potenza. E poi all'improvviso, arriva Goran. Come un Godot inaspettato cambia le carte in tavola. Prende Marin per mano, lo guarda negli occhi. “Fai vedere quanto sei forte”. Ci sono voluti quattro anni. C'è voluta pazienza. Forse c'è voluta anche la grottesca vicenda del doping (per un tragicomico e involontario errore nell'assunzione di barrette di zucchero) affinchè gli occhi di Goran facciano finalmente presa. Affinchè Marin si renda conto che forte lo è per davvero.

 

PUO' ESSERE SOLO L'INIZIO

E comincia a funzionare tutto. L'aggressività, i colpi devastanti a spazzolar le righe,  ma soprattutto il servizio. Il servizio come solo lui poteva plasmargli. La seconda di servizio sopra i 200 Km/h su una delle tante palle break annullate a Nishikori ne è la dimostrazione più lampante. Così come lo sono le telecamere puntate tutte su di lui, dopo l'ultimo punto messo a segno da Cilic. Commosso, incredulo, braccia al cielo, come 13 anni or sono. Commosso, incredulo, emozionato, felice, forse più di quel che mostra Marin. Il quale non può che correre subito da lui, da l'unico che forse ci ha sempre creduto. Da l'unico che l'ha preso per mano una volta abbandonato da tutti. Da l'unico, forse, che poteva cambiargli la carriera e la testa. E renderlo un protagonista di questo sport. E, a differenza sua, non solo per uno Slam. Questo potrebbe essere solo l'inizio.