Il numero 1 slovacco attacca tutti: compagni, federazione, persino Mecir. “Bisogna cambiare tutto, se potessi scappare dalla Slovacchia lo farei al volo”. Quella vittoria su Nadal con una racchetta rotta…

Di Riccardo Bisti – 28 novembre 2014

 

Sono passati nove anni da quando la Slovacchia ha realizzato una delle più grandi sorprese nella storia della Coppa Davis. Uno strepitoso Dominik Hrbaty la spinse addirittura in finale, persa contro la Croazia all'ultimo singolare (giocato da Michal Mertinak a causa della squalifica per doping a Karol Beck). Sembra passato un secolo. Lo scorso settembre, gli slovacchi sono stati umiliati dagli Stati Uniti in uno spareggio per il World Group ed è scoppiata la polemica. Igor Moszka, segretario generale della federazione, disse di aver provato “vergogna” per la prestazione di Lukas Lacko. Quest'ultimo replicò dicendo che non era pronto a giocare quella serie, e fu costretto a farlo nonostante avesse avvisato. “E le cose andrebbero risolte tra noi, non sparate tramite i giornali”. Finita qui? Neanche per sogno: adesso esplode Martin Klizan, numero 1 del paese, che ha attaccato chiunque in un'intervista pubblicata dal periodico slovacco “Sport”. Ce l'ha con tutti: Moszka, la federazione, i compagni e persino con il capitano Miloslav Mecir. E attaccare Mecir in Slovacchia è un po' come farlo con la Madonna. “Nella squadra ci sono alcuni elementi senza professionalità. Per loro la Davis è come una gita, qualcosa per uscire dalla routine e divertirsi un po'. L'atmosfera è troppo informale, così durante i match non c'è concentrazione. E il capitano Mecir è del tutto indifferente a quello che succede. Per sistemare tutto ci vorrebbe un sergente di ferro. Uno come Dominik Hrbaty porterebbe aria nuova”. Purtroppo per lui, in questo momento l'ex numero 12 ATP è vincolato alla federtennis turca. Dopo la finale del 2005, il team ha abbandonato il World Group e non lo ha mai più raggiunto. Secondo Klizan è anche il frutto di scelte sbagliate, tra cui quella di giocare sempre sul veloce e mai sulla terra battuta. “L'ho chiesto diverse volte, ma Lacko non vuole e Moszka non ha interesse a investire in questo senso”.


"SE FOSSI ANDATO NEGLI STATI UNITI…"

L'intervista di Klizan diventa una specie di sfogo, in cui la polemica si allarga a macchia d'olio. “Non mi interessa essere solo contro tutti. Sono un professionista e voglio il meglio per il mio paese. Se devo dire qualcosa, lo faccio a viso aperto. Nel circuito, noi slovacchi siamo sempre divisi. Non siamo come italiani o spagnoli, che fanno sempre gruppo tra loro. C'è molta gelosia tra noi, accadeva già ai tempi di Kucera e Hrbaty”. Ovviamente se l'è presa anche col sistema-tennis del suo paese, lo stesso che lo ha formato come giocatore. Quando aveva 15 anni, ebbe un offerta per andare negli Stati Uniti, ma rifiutò. “Se avessi accettato, la mia carriera sarebbe stata diversa. Non si può mai dire, ma oggi accetterei senza dubbi. A Bratislava mi sembra di perdere tempo. Le strutture non sono le migliori, non ci sono allenatori e si fanno le stesse cose di 10 anni fa. Capisco le difficoltà economiche, ma rispetto ad altri centri non vedo la stessa professionalità”. Puntuale, è arrivata la risposta di Moszka. “Le sue opinioni sono superficiali e tendenziose. Mecir è la figura più importante del tennis slovacco: la federazione e la maggior parte dei giocatori volevano che restasse alla guida del team e sono contento che sia così. La superficie dove giocare i match interni viene scelta insieme ai giocatori: se qualcuno ha idee diverse, ne parla col capitano e sarà lui ad assumersi le responsabilità. Non ci sono ragioni economiche per la scelta del campo. Nel nostro centro tecnico ci sono molti ottimi allenatori, tra cui Karol Kucera. Mi pare che Klizan sia un po' disinformato”.


LA RACCHETTA ROTTA CONTRO NADAL

C'era proprio Kucera al fianco di Klizan quando è entrato tra i top-100 nel 2012, con gli ottavi allo Us Open e il primo titolo ATP a San Pietroburgo. Poi, lo scorso anno, un crollo verticale: niente più coach, niente più sponsor e uscita dai top-100. Ma non si è dato per vinto ed è tornato a giocare bene, arrampicandosi al numero 34 ATP. A Pechino è arrivato in semifinale, battendo addirittura Rafael Nadal. Finalmente ha trovato la giusta disciplina: “Di solito rompevo una decina di racchette all'anno, ma nel 2014 ho dovuto starci attento perchè me ne sono rimaste solo tre. I nuovi modelli non mi piacevano, così ho giocato con quelli del 2009. Uno l'ho rotto in un momento di rabbia, l'altro è ormai consumato. Così ho giocato gli ultimi tornei con un solo attrezzo. Durante il match contro Nadal si è danneggiato nell'impatto con il terreno, così posso dire di aver battuto Nadal con una racchetta rotta…”. Klizan è un fumantino, uno che ama esprimersi e non guarda in faccia a nessuno. “La vita mi ha insegnato che non devo fidarmi di nessuno. Se qualcuno dice qualcosa, rifletto e mi domando se non sia vero il contrario. Non è facile, per me, andare d'accordo con le persone”. A quanto pare, l'unico che riesce a tenerlo a bada è il nuovo coach, l'ex giocatore ceco Martin Damm. E Klizan va avanti, a caccia dei migliori. Anche senza il supporto dei suoi connazionali.