AMARCORD – L’incredibile vicenda di Bjorn Borg allo Us Open. Lo ha spesso giocato da favorito, ma non l’ha mai vinto. Nonostante quattro finali, gli infortuni e i malefici mancini hanno lasciato un buco nero nella sua carriera. 

Di Riccardo Bisti – 3 dicembre 2014

 
C’è quella percentuale che fa paura, la migliore di sempre. Nemmeno i fenomeni del 21esimo secolo, a partire da Roger Federer e Rafael Nadal, potranno mai agganciare l’89,8% di Bjorn Borg nei tornei del Grande Slam. Lo svedese vanta un impressionante bilancio di 141 vittorie e 16 sconfitte. Ne ha vinti 11 su 27 partecipazioni, con sei titoli a Parigi e cinque successi consecutivi a Wimbledon. Eppure gli manca qualcosa. Un buco nero che pesa come un macigno, quanto Wimbledon per Ivan Lendl o Roland Garros per Pete Sampras. L’orso svedese non ha mai vinto lo Us Open. Le ha provate tutte, giocando su tre superfici diverse (erba, terra verde e cemento), ma gli è sempre sfuggito. Una maledizione dimenticata ma che pesa ancora oggi nella mente di Bjorn, anche se lui ripete sempre (come in questa intervista) che non cederebbe un titolo a Wimbledon per uno allo Us Open. Chissà se c'è da credergli. E pensare che gli inizi erano stati promettenti.
 
1973 – Un diciassettenne Borg, ancora inconsapevole di quello che verrà, raggiunge gli ottavi sull’erba di Forest Hills e viene battuto in quattro set da Nikki Pilic (n. 15 del tabellone) col punteggio di 6-4 5-7 6-3 6-4.
 
1974 – Aveva appena vinto il suo primo Roland Garros battendo in finale Manuel Orantes. Si presentò sull’erba di New York da numero 4 del mondo, ma fu sorpreso dal morbido serve and volley di Vijay Amritraj. Vinse il terzo e il quarto set dopo aver perso i primi due, ma crollò al quinto.
 
1975 – Reduce dal secondo successo consecutivo a Parigi e da un buon quarto a Wimbledon, lasciato ad Arthur Ashe, era ottimista per il primo Slam di sempre sull’har-tru, la terra verde americana. Negli ottavi battè Rod Laver in un leggendario scontro generazionale e pescò in semifinale Jimmy Connors, numero 1 ATP e pressochè imbattibile in America. Bjorn giocò la sua partita, ma contro un indemoniato Jimbo si sciolse nei momenti decisivi: 7-5 7-5 7-5.
 
1976 – Lasciato il Roland Garros alle veroniche di Adriano Panatta, vinse a sorpresa il suo primo Wimbledon battendo Ilie Nastase. “Se ha vinto sull’erba, farà sfracelli sulla terra verde” si pensava. Era il grande favorito, anche perchè Jimmy Connors non sembrava in perfetta forma (a Wimbledon aveva ceduto ai missili di Tanner). I due si trovarono in finale e, dopo essersi spartiti i primi due set, diedero vita a un leggendario tie-break. Lo svedese si portò sul 6-3 e sciupò tre setpoint che lo avrebbero portato avanti due set a uno. Erano decisivi. Connors li cancellò come un leone, annullò anche la quarta e si impose 11-9. Ovviamente vinse anche il quarto.
 


1977 – Assente al Roland Garros (preferì giocare il World Team Tennis), si prese la rivincita su Connors sull’erba di Wimbledon. Ancora una volta si presentò a New York da favorito, ma stavolta la sorte gli fece uno sgambetto. Nello Slam più pazzo dell’Era Open, poi vinto da Guillermo Vilas, si fece male contro Dick Stockton e fu costretto al ritiro.
 
1978 – Sembra l’anno buono. Centra per la prima volta l’accoppiata Roland Garros-Wimbledon. A Parigi massacra la concorrenza, perdendo 32 game in tutto il torneo (5 contro Vilas in finale). A Wimbledon fu più dura: il gigante americano Victor Amaya si trovò avanti due set a uno e 3-1 nel quarto, con palla per il doppio break che sarebbe stata fatale. Bjorn si riprese appena in tempo e vinse col punteggio finale di 8-9 1-6 6-1 6-3 6-3. Il resto del torneo fu una passeggiata, compreso il 6-2 6-2 6-3 su Connors in finale. Jimbo era ormai domato. A New York, nella prima edizione giocata sul decoturf, nel nuovo impianto di Flushing Meadows, era il favorito numero 1. E infatti arrivò in finale senza problemi, mentre Connors soffrì le pene dell’inferno contro Adriano Panatta negli ottavi (l’azzurro era avanti 5-3 al quinto). Borg aveva già prenotato il volo per l’Australia, dove avrebbe cercato di ottenere il Grande Slam. Ma non aveva fatto i conti con l’orgoglio di Connors, ferito dopo la batosta a Wimbledon. Come un leone ruggente, giocò in trance agonistica e massacrò lo svedese in appena 90 minuti, restituendogli il favore di Wimbledon: 6-4 6-2 6-2 e tanti saluti. Borg non ebbe nemmeno una palla break in tutta la partita. Tempo dopo si scoprì che era infortunato a un pollice e giocò sotto l’effetto di antidolorifici. Non ne parlò in conferenza stampa, dando ogni merito a Connors. Ma il sogno di realizzare il Grande Slam era volato via.
 
1979 – Fotocopia dell’anno precedente. Borg si presentò a New York dopo aver centrato l’accoppiata Parigi-Wimbledon. Nella finale londinese rischiò grosso contro il bombardiere Roscoe Tanner. Ironia della sorte, perse con la sua vittima londinese, proprio come 12 mesi prima. Nei quarti, sepolto da una pioggia di ace mancini, si arrese in sessione notturna con il punteggio di 6-2 4-6 6-2 7-6.
 
1980 – Terza accoppiata Parigi-Londra di fila. Dopo un Roland Garros vinto in scioltezza, vinse Wimbledon al termine di un match leggendario contro John McEnroe, uno dei più belli di tutti i tempi, sublimato dal tie-break del quarto set. Lo vinse l’americano, ma Borg non patì il contraccolpo psicologico e si impose col punteggio di 1-6 7-5 6-3 6-7 8-6, inginocchiandosi sull’erba spelacchiata per la quinta volta. Tutto il mondo aspettava la rivincita a New York, a casa di McEnroe. Borg si presentò all’appuntamento tra inenarrabili fatiche: nei quarti di finale si trovo in svantaggio 4-2 nel quarto (e sotto due set a uno) contro la bestia nera Tanner, ma si salvò in tempo. E in semifinale rimontò due set di svantaggio a Johan Kriek. McEnroe battè un giovane Lendl nei quarti e Connors in una leggendaria sfida chiusa al tie-break del quinto. La finale ha mantenuto le promesse: nel primo set, Borg servì sul 5-4 e poi sul 6-5 ma non riuscì a chiudere. Perse il tie-break e mollò nel secondo. Nel terzo ritrovò la concentrazione, si prese il tie-break e sullo slancio fece suo anche il quarto. All’inizio del quinto, tutti pensavano che avrebbe dominato. Non perdeva un match al quinto dal 1973, quando aveva 17 anni. Invece successe l’incredibile: nel terzo game, il giudice di linea non chiamò un dritto di McEnroe probabilmente out. Borg lo lascia passare, resta incredulo, protesta e commette due doppi falli. Fu il break decisivo, foriero del 6-4 finale che fece impazzire di gioia i newyorkesi.
 
1981 – E’ l’ultimo anno della sua carriera. Vince il sesto Roland Garros battendo Lendl, ma viene detronizzato a Wimbledon da John McEnroe. Stavolta è lui ad aver fame di rivincita. E, puntuale, torna in finale contro McEnroe. La vigilia fu condizionata dalle minacce di morte ricevute proprio da Borg, tanto che in finale un agente di polizia rimase in campo per tutta la partita. Ma l’impressione è che il treno fosse scappato l’anno prima. Sembrava di assistere al replay di Wimbledon: dopo un buon primo set, perde il secondo ma sale 4-3 e servizio nel terzo. Fu il game-chiave della partita: McEnroe inventò un paio di passanti in topspin che gli regalarono il controbreak. Stessa storia sul 4-5: l’americano azzecca un paio di risposte e vola via, irraggiungibile. Sovrastato dall’aggressività di McEnroe, Borg inizia a sbagliare e si arrende col punteggio di 4-6 6-2 6-4 6-3. Per lui fu il terzo Us Open consecutivo, sublimato dalla vittoria in doppio con Peter Fleming. E Borg? Cadde in preda alla depressione e si ritirò a 26 anni. Forse non lo sapeva neanche lui, ma quella finale fu anche la sua ultima partita in uno Slam. Il patetico rientro del 1991 avrebbe soltanto alimentato la tristezza. Ma stava solo cercando se stesso. Allo Us Open, ormai, non ci pensava più.