A quasi 27 anni, Marina Erakovic ha deciso di prendere in mano il suo tennis. “Prima facevo quel che diceva il mio coach, senza pensare”. Adesso ha capito l'importanza dell'aspetto mentale.

Di Riccardo Bisti – 15 dicembre 2014

 

Si dice che i tennisti italiani maturino tardi. C'è del vero, ma non è una peculiarità solo nostra. Può capitare qualcosa del genere anche dall'altra parte del mondo. Se escludiamo alcuni arcipelaghi del Pacifico, la Nuova Zelanda è la nazione più distante in assoluto dall'Italia. Le 12 ore di fuso orario non mentono. Eppure, Marina Erakovic ha capito soltanto adesso l'importanza dell'aspetto mentale nel tennis. A quasi 27 anni ha cambiato totalmente l'approccio al tennis. Discreta giocatrice, quest'anno ha vinto il suo primo titolo WTA a Memphis e colto qualche buon risultato qua e là. Ma spesso non è stata all'altezza della situazione. E sono tutti concordi nel dire che Marina non ha espresso il massimo del suo potenziale. Adesso ha capito perchè: “Negli ultimi 3-4 anni non sono stata così brava sul piano mentale. E' come una curva di apprendimento. L'aspetto psicologico è una parte enorme nel tennis di oggi. Ammetto di non averci lavorato abbastanza. Ed è soltanto essendo molto forte di testa che riesci a rimanere concentrata. Probabilmente ho fallito su questo aspetto. Anzi, sicuramente”. Non c'è dubbio che il tennis sia uno sport molto delicato sul piano mentale, forse il più delicato. Il punteggio è perfetto per mettere a dura prova i giocatori, e nulla è definitivo fino alla stretta di mano. Nessuno può darti una mano prima di un punto delicato o una palla break. Devi fare tutto da solo. La Erakovic lo sa bene: nel torneo casalingo di Auckland, dove era molto attesa, ha raccolto una brutta sconfitta contro Lauren Davis. Un 6-1 6-3 senza appello, frutto delle troppe aspettative. Ci riproverà dal prossimo 5 gennaio, quando il circuito WTA tornerà in Nuova Zelanda.


PENSIERO AUTONOMO

“Ho lavorato molto sugli aspetti mentali. Devo tenere sotto controllo la situazione e non limitarmi a dire: 'Oggi è una brutta giornata e sarà tutto difficile'. Ci sono sempre mille fattori che condizionano una partita. Può capitare che piova, che mi faccia male un piede, ma bisogna fare i conti con queste cose. Non è che in precedenza non mi occupassi di queste cose, ma probabilmente in passato mi affidavo troppo al mio ex allenatore Chris Zahalka per trovare tutte le soluzioni”. Nel 2014, Marina ha vissuto un periodo di introspezione che l'ha portata alla separazione con il coach austriaco, al suo fianco negli ultimi tre anni. “Volevo prendere il controllo del mio gioco, a un certo punto ho avuto la sensazione di non trovarmi più al posto di guida”. Scendeva in campo come un automa, sapeva di dover fare quelle 2-3 cose e le eseguiva in modo meccanico. “Per un paio d'anni ha funzionato, ma poi capisci che non va più bene”. Quando si trovava in difficoltà, la Erakovic provava a fare le cose che le aveva indicato il coach, senza pensare con il proprio cervello. “Ed era sbagliato, perchè in campo ci sono solo io. Nel tennis sei come in un'isola. Dopo aver preso un paio di schiaffoni, ho capito che devo ragionare per conto mio”. Ovviamente, il lavoro con Zahalka ha avuto i suoi frutti. E' entrata per la prima volta tra le top-40, ha raggiunto la sua prima finale WTA (Quebec City nel 2011) e quest'anno ha finalmente vinto a Memphis. Anche negli Slam non ha sfigurato. Ma sente di poter fare di più, assumendosi tutte le responsabilità del caso. Senza alibi.

OLTRE AL DRITTO C'E' DI PIU'
Per effettuare il salto di qualità ha scelto il coach spagnolo Eduardo Nicolas. Dopo aver iniziato la preparazione ad Auckland, si è spostata a Barcellona, La Mecca del tennis europeo e mondiale, per tirarsi a lucido in vista del 2015. La Nuova Zelanda punta finalmente su di lei: lo scorso anno non era stata accreditata come atleta-top del suo paese, con l'impossibilità di usufruire delle migliori strutture. Ne era nata una polemica che ne aveva messo a repentaglio la partecipazione ad Auckland. Adesso è cambiato tutto. “E' stato davvero buono lavorare al Millennum Institute. Era esattamente quello di cui avevo bisogno. Mi è piaciuto lavorare con atleti di altre discipline,  vedere quello che fanno. Lo scorso anno mi allenavo da sola in palestra, quindi è molto diverso”. Per questa ragione, Marina potrà finalmente trascorrere tanto tempo in Nuova Zelanda, non soltanto un mese all'anno. Sul piano tecnico, con Nicolas, vuole rendere ancora più vario il suo tennis. “Ho bisogno di variare. Avevo sempre un piano, ma ritenevo che fosse l'unico modo per arrivare al risultato. Mi sono resa conto che non è così, che possono esserci tanti modi. E mi sono resa conto di avere delle armi interessanti, non soltanto il dritto. Adesso è giunto il momento di applicarlo nei match di allenamento, rendermi conto che posso utilizzarle anche quando conterà davvero”. L'obiettivo minimo è tornare tra le top-50, ma nel tennis femminile di oggi, dove la continuità è fondamentale, porsi limiti è quanto di più sbagliato ci sia. Se azzeccasse la stagione giusta, le top-20 potrebbero non essere un miraggio.