Di Riccardo Bisti – 6 gennaio 2015
Il suo rapporto con Novak Djokovic ha rischiato di incrinarsi quando Boris Becker è entrato nel team. Non deve essere stato facile, per Marian Vajda, accettare qualcosa di simile a un declassamento. Perchè Boris è un personaggio ingombrante, magari anche senza volerlo. E l'inizio del 2014, con inedite difficoltà per il suo allievo, aveva fatto pensare a qualcosa di più che una crisi. Poi Nole ha avuto la capacità di lavare in famiglia i panni sporchi, ha modificato il programma iniziale e ha dato sempre più spazio a Vajda. E oggi, nel giorno in cui il serbo inizia la stagione da numero 1 (esordirà a Doha contro il connazionale Dusan Lajovic), Vajda è ancora lì, al suo posto. Ha lasciato che Nole si rendesse conto da solo che il loro legame è indissolubile. Neanche Bum Bum può scalfire un rapporto che va avanti da quasi nove anni e che potrebbe coronarsi al Roland Garros, unico Slam che manca al palmares del serbo. Lo stesso Roland Garros dove Novak e Marian si sono incontrati, nel lontano 2006. “Fu un avvicinamento molto strano – ha raccontato il coach slovacco al quotidiano Novosti – ero lì con mia figlia Natalia e ho incontrato la sua famiglia. Ho subito avuto la sensazione che fossero molto legati. Novak mi ha trasmesso una grande fiducia. Ho avvertito un buon feeling sin dal primo incontro, anche se non avevo idea di quello in cui mi stavo cacciando. Abbiamo iniziato a lavorare nella giusta direzione e mi sono impegnato per fargli raggiungere l'obiettivo che si era prefissato: diventare numero 1. Le cose sono migliorate, anno dopo anno, e alla fine ce l'ha fatta. Ma non ci sono stati soltanto i successi. Ricordo momenti di stagnazione, alcune crisi e le terribili pressioni e cui era sottoposto. Per arrivare in fondo ci voleva tempo e pazienza. Per fortuna, io ho avuto entrambi”.
"SO COME AIUTARLO. E NOVAK LO SA"
Secondo Vajda, la crescita continua di Djokovic è stata possibile grazie al buon rapporto in seno alla sua famiglia. I suoi genitori gli hanno insegnato l'educazione e il rispetto. Insieme al talento e il duro sacrificio, lo hanno aiutato a diventare il più forte di tutti. “Novak conosce bene i sacrifici a cui si è sottoposta la sua famiglia per portarlo in cima. Lui parla di me come un secondo padre, ma in realtà mi sento più un fratello maggiore”. Quando i due si sono incontrati, Djokovic non era così forte e completo sul piano tecnico. Ha saputo sforzarsi per migliorare sempre. Con Vajda, hanno tenuto alta la motivazione anche quando la routine è diventata noiosa. “Il suo approccio è perfetto sotto ogni profilo”. Quando è arrivato Becker, Djokovic disse che Vajda avrebbe avuto più tempo per dedicarsi alla famiglia. Di questa famiglia fanno parte due figli, tra cui la giovane Natalia, che sta cercando di diventare una professionista. Tutto questo è tenuto insieme dalla moglie Ingrid: i Vajda si sono conosciuti 30 anni fa durante un'esame di ammissione alla facoltà di sport ed educazione fisica. “Aveva occhi molto espressivi e un sorriso ammaliante. Ci siamo innamorati subito, e dopo tre anni di fidanzamento ci siamo sposati nel 1988. Siamo insieme ancora oggi, è un bel matrimonio. Lei accetta i miei continui spostamenti e sa cosa fare per tenere unita la famiglia”. E proprio da lei, probabilmente, ha capito come gestire certe relazioni. Ha saputo accettare le bizze di Djokovic, la curiosa scelta di assumere Becker, e ha aspettato che il figliol prodigo tornasse da lui. Adesso il team funziona alla grande e Nole è il dominatore del tennis. Lo dicono i numeri, le sensazioni e i punti ATP. “Novak sa bene una cosa: quando ha bisogno di me, io ci sono. E non dimentica che so come aiutarlo”.