A 58 anni, inizia la nuova vita della Navratilova. Da una parte l’incarico con Agnieszka Radwanska, dall’altro l’impegno di moglie e matrigna. E il sogno di dare sempre più dignita agli omosessuali.

Di Riccardo Bisti – 15 gennaio 2015

 
Qualche giorno fa, prima di imbarcarsi per l’Australia, Martina Navratilova ha fatto un salto dal medico. Nessun problema, giusto per firmare qualche scartoffia. Ma per la prima volta, nello spazio dedicato allo stato civile, ha scritto “sposata” e non più “single”. Nello spazio riservato ai contatti di emergenza ha inserito quelli di Julia Lemigova, ex seconda classifica a Miss Universo, 16 anni più giovane di lei, che da qualche settimana è diventata sua moglie. A 58 anni, Martina ha iniziato una vita tutta nuova. Le sue lunghe e infinite battaglie per i diritti degli omosessuali hanno avuto successo, almeno negli Stati Uniti, laddove la presidenza di un democratico ha concesso diritti che un tempo erano impensabili. “In otto anni di presidenza Bush non ricordo una sola volta in cui abbia citato i gay e le lesbiche – racconta la Navratilova – in un’occasione ha detto che secondo lui il matrimonio deve tenersi tra un uomo e una donna. Ha toccato l’argomento, ma è riuscito a non citarci anche quella volta”. Martina è quella di sempre. Combattiva, carismatica, desiderosa di cambiare le cose. Prima si limitava al campo da tennis, oggi c'è anche la vita. Ma il tennis è tornato a bussare un mesetto fa. Non era la solita richiesta di consulenza tecnica per un canale televisivo, bensì una proposta concreta. “Martina, mi vuoi allenare?” le ha detto Agnieszka Radwanska, stabile tra le top-10 ma ancora incapace di vincere uno Slam. Spesso gioca il punto più bello dell’anno, l’hanno soprannominata “La Maga” per la sua capacità di estrarre dal cilindro le giocate più impossibili, ma negli Slam ha sempre fallito. Soltanto una volta, a Wimbledon, è arrivata a un passo dall’impresa. Ma dall’altra parte c’era una Serena Williams inavvicinabile. Da parte sua, la Navratilova ne ha vinti 59, di cui 18 in singolare, l’ultimo nel 2006, un doppio misto insieme a Mike Bryan. Difficilmente la polacca poteva scegliere meglio. E le loro esigenze si sono incrociate alla perfezione. Martina non è più giovane. Sa bene di aver vissuto più giorni di quanti gliene restano. Eppure, a 58 anni, è pronta per una doppia sfida. Quella della famiglia e quella con la Radwanska. Per la prima volta, ha accettato di raccontare il suo momento. Lo ha fatto con il New York Times, che l’ha placcata mentre era in viaggio per Sydney, dove ha vissuto il suo primo torneo da coach della Radwanska. Non è andata benissimo (la polacca ha perso negli ottavi contro la Muguruza), ma ci sarà tempo per rifarsi.
 
IMPEGNO PART-TIME
“Avevo un gruppo di giocatrici in mente, e la Radwanska era certamente tra loro – ha detto la Navratilova – sul piano tecnico è fantastica, ha giusto un paio di debolezze, ma niente di grave. Deve giusto sistemare qualcosina. Magari l’allenatore non se ne accorge perche la vede tutti i giorni. Mi succedeva qualcosa del genere quando ero allenata da Craig Kardon e Billie Jean King notava dettagli che ci sfuggivano”. La Radwanska era nel suo radar, ma Martina non sentiva la necessità assoluta di allenare. Tuttavia, sentiva che prima o poi sarebbe arrivata la chiamata giusta. A suo dire, è stata aiutata dalla tendenza che vuole tanti ex campioni a fianco dei top-players di oggi. “E' una cosa positiva. Non puoi imparare su un libro quello che possono insegnarti la Davenport, la King, la Evert…lo puoi soltanto immaginare ma non lo sai veramente. Puoi documentarti, certo, ma la loro esperienza non è sostituibile. Soltanto loro sanno cosa si prova a giocare negli stadi più grandi del mondo”. Cita altri esempi, ma sa bene di poter essere un valore aggiunto per la polacca. Il suo nuovo ruolo di moglie e matrigna le impedirà di assumere un impegno a tempo pieno. Ma le va bene così. “La mia vita è molto ben organizzata. Quello che posso garantire combacia perfettamente con le esigenze della Radwanska. Ad esempio, non potrei seguire Madison Keys perchè ha bisogno di un aiuto costante. Agnieskza ha meno necessità, è un prodotto finito. Ha soltanto bisogno di una messa a punto, un po’ come Murray quando chiamò Lendl. Io posso dare una mano a tempo parziale. Sarebbe meglio il full-time, ma più di così non posso. E comunque è meglio di niente. Lei ha un ottimo allenatore, un bravo sparring partner e uno staff di livello. Io sono un extra, non necessariamente l’anello mancante, ma spero di darle una mano importante”. Le due hanno trascorso cinque giorni insieme a Miami, poi si sono ritrovate a Sydney. La Navratilova non era a Perth, dove la sua allieva ha battuto Serena Williams e ha contribuito al successo della Polonia in Hopman Cup. “Stiamo vivendo un periodo di apprendistato, dobbiamo imparare a conoscerci. Io sono molto perfezionista, ma non voglio spaventare nessuno con le mie nozioni. E’ una linea sottile, il coach deve capire quando sta rischiando di superarla. Conoscendola, mi renderò conto quando potrò parlare e quando dovrò restare in silenzio”.
 
VIVA IL TENNIS CREATIVO
Il fascino dell’avventura è enorme. Tuttavia, la Radwanska ha scelto il paracadute. Il suo staff è rimasto intatto, a partire dal coach Tomasz Witkorowski. Motivo? La Navratilova non ha nessuna esperienza di coaching, anche se la leggenda narra che sia stata lei a notare Maria Sharapova tra centinaia di ragazzini durante una clinic in Russia. Martina non conferma nè smentisce. “Non me lo ricordo, ma mi dicono che sia andata così. Può essere: anche se un ragazzino è molto giovane, capisci subito se ha l’atteggiamento giusto, la scintilla vincente negli occhi”. Qualche anno dopo, accadde lo stesso ad Adriano Panatta con Gianluigi Quinzi durante una tappa di “Un Campione per Amico”. Speriamo che l’epilogo sia lo stesso. Ma individuare un talento e allenare sono due cose ben diverse. Quando Cristopher Clarey le ha chiesto se ha mai allenato, Martina ha ricordato di aver insegnato diverse discipline. Ha fatto l’esempio di un pranzo benefico ad Aspen, dove avrebbe insegnato lo sci e lo snowboard a un paio di donne. “Alla fine mi hanno detto: ‘Ma come, non dobbiamo pagare la lezione?’. Erano migliorate. Nel tennis è diverso: ho fatto tante clinic, ma a questi livelli non ho mai avuto una chance. Sono entusiasta di poterci provare”. E’ quasi scontato immaginare il suo tennis ideale. “Ok, non mi aspetto il serve and volley sistematico. Però mi piace un tennis versatile, con la palla colpita in anticipo. Bisogna far accadere le cose e non limitarsi ad aspettare che accada qualcosa. Ma ogni tanto si può essere creativi. Ecco, vorrei un giocatore creativo. Non mi piacciono i giocatori fatti con lo stampino”. Secondo la Navratilova, non è vero che la tecnologia favorisce soltanto un tipo di tennis. A suo dire, le racchette di oggi consentono di fare molte più cose. Un paio d’anni fa si è allenata con l’ex giocatrice Julie Steven. “Mi ha detto se quando giocavo utilizzavo così tanto spin. Le ho risposto di no, che semplicemente era impossibile. E’ molto bello poter esplorare nuove zone del campo”. Il concetto di ‘esplorazione’ è molto importante anche nella vita di tutti i giorni. Dopo il matrimonio, Martina sta esplorando una vita tutta nuova. “Il matrimonio garantisce una tutela legale impressionante. Ci sono almeno 1.600 leggi che ti proteggono. Io e Julia eravamo impegnate anche prima, ma oggi lo siamo anche per la legge. E le sue figlie sono molto più tranquille. Mi hanno mandato un messaggio firmandosi: “le tue figlie’. Sto con Julia da oltre sei anni, quindi ci sono stata per la maggior parte della loro vita. Si, mi vedono come un genitore. Ma adesso lo sono anche per la legge. Si sentono più sicure e mi piace vederle così”. Ma c’è un altro tema che alla Navratilova sta particolarmente a cuore: i diritti degli omosessuali. Ci sono ancora paesi dove l’omosessualità è punita con la pena di morte, altri dove si rischia il carcere. “Per fortuna gli Stati Uniti sono sempre avanti nel campo dei diritti umani e civili. O meglio, eravamo indietro ma adesso stiamo recuperando. Ed è lo stesso anche nel tennis. Il mio sogno? Che un coming out non faccia notizia. Dico da sempre che non deve esserlo, perchè è una cosa normale”. Tra le donne l’hanno sdoganato, mentre tra gli uomini non ci sono stati casi, salvo quello del paraguaiano Francisco Rodriguez. “Strano, vero? Sappiamo tutti che ci sono, ma nessuno conosce i loro nomi. Ho sentito tante storie, ma niente di ufficiale”. Chissà se preferirebbe vincere uno Slam con la Radwanska oppure stringere la mano al primo top-100 apertamente gay. Magari lo dirà nella prossima intervista.