Il numero uno del mondo sfianca la resistenza di Murray in quattro set (7-6 6-7 6-3 6-0), andando a prendersi il quinto successo all'Australian Open. Solo Roy Emerson ha vinto di più, ma i suoi sei titoli sono vicini.Novak Djokovic ce l’ha fatta di nuovo, per la quinta volta in altrettante finali, battendo il suo avversario preferito e nella maniera che più gli piace: la lotta. Dopo una battaglia di varie riprese, naturale fra due contendenti dal tennis molto simile, il numero uno del mondo si è preso il quinto titolo sul cemento dell'Australian Open, aggiungendo l’ottavo Slam alla bacheca del suo Tennis Center Novak di Belgrado. Quella contro il coetaneo Andy Murray, amico e avversario sin dai tempi dei tornei under 12, è stata la finale che ci si aspettava: scambi lunghi, tanta difesa, poche variazioni e soprattutto un duello più psicofisico che prettamente tennistico, vinto nuovamente dal più forte. Dopo 3 ore e 39 minuti il serbo l’ha spuntata per 7-6 6-7 6-3 6-0, cambiando passo proprio nel momento per lui più complicato, come solo i grandi campioni sanno fare. Il punteggio, simile a quello della finale del 2013, lascia spazio a poche interpretazioni: anche questa volta la resistenza di Murray è durata per due set e mezzo, con tanti break e pochi azzardi. Poi, mentre ‘Nole’ riusciva a esaltarsi nella lotta punto su punto, le speranze dello scozzese si sono via via spente nella serata australiana, che l'ha visto raccogliere l’ennesima delusione Slam sulla Rod Laver Arena. È la sua terza finale persa a Melbourne, sempre contro Djokovic, e sempre mostrandosi inferiore di testa nei momenti clou. Le statistiche annoiano e vengono spesso trascurate, ma mentono raramente. Oggi alcuni motivi della vittoria di Djokovic si trovano proprio lì, in mezzo ai numeri di una finale poco spettacolare dal punto di vista tecnico, ma comunque avvincente.
MURRAY PASSA A CONDURRE, POI CROLLA
Murray è giunto all’ultimo atto giocando un tennis molto aggressivo, che gli ha permesso di tirare più vincenti che ‘unforced’ in tutti i sei incontri precedenti, mentre contro Djokovic ha chiuso con un saldo di – 8 (a fronte del + 13 rivale). In più, proprio come nelle precedenti due finali perse in Australia, ha tenuto un rendimento bassissimo con la seconda palla di servizio, suo storico tallone d’Achille. Ha vinto appena 14 punti su 41 (34%), servendola a una velocità media di 134 km/h, addirittura inferiore rispetto a quella tenuta ieri da Williams e Sharapova. Con queste percentuali, al cospetto di un grande ribattitore come Djokovic, viene quasi da chiedersi come sia riuscito a lottare ad armi pari per due set, risalendo di un break in entrambi (1-4 nel primo, 2-4 nel secondo) prima di giocarsela al tie-break. Il primo l’ha perso con più di un rammarico, commettendo un doppio fallo e un brutto errore al volo nei momenti importanti, mentre il secondo l’ha dominato, mettendo la freccia e dando l’impressione di poter tenere un passo superiore a quello di ‘Nole’, salvo poi finire a gambe all’aria qualche giro più tardi. Proprio nel momento in cui la lunga fase di studio ha lasciato spazio a un pizzico di qualità in più, il Murray leone dei giochi precedenti si è sciolto come ghiaccio al sole, ricordando la sua versione pre-Olimpiadi, con quella malattia da finali Slam che solo la cura-Lendl era riuscita a guarire. Per ora, non ce l'ha fatta Amelie Mauresmo. Qualche avvisaglia era arrivata già ieri, quando ci si aspettava un Murray carichissimo per prendersi il primo successo a Melbourne, mentre in conferenza stampa lo scozzese aveva mostrato più di una perplessità, ripercorrendo tutte le sconfitte australiane, quasi a dire “qui ci ho sempre perso, non sarebbe una disgrazia se accadesse di nuovo”. Riflessioni corrette, ma che a uno come lui, alla vigilia di una finale Slam, non dovrebbero nemmeno passare per la testa.
'NOLE' VEDE IL PRIMATO DI EMERSON
Invece l’han fatto a più riprese, tanto che quando sul 2-0 nel terzo set ha iniziato ad assaporare un finale diverso rispetto a 2011 e 2013, è andato completamente in tilt, staccando la spina. Si è lasciato riprendere, sul 3-3 ha mancato una nuova palla-break, e il match gli è scivolato di mano come una saponetta bagnata. Da quel momento non ha più vinto un game, cedendone nove consecutivi a un Djokovic rinvenuto dopo le difficoltà della parte centrale del match, fra i ripetuti incitamenti di coach Boris Becker. Piaccia o no, ormai non è più una novità: è proprio quando sembra svuotato che il numero uno del mondo riesce a cambiare marcia. E anche se ogni tanto dà l'impressione di fare un po’ di 'teatro', questa rimane una qualità preziosissima. Gli ha dato una grossa mano nel suo quinto titolo australiano, utile sia a legittimare la leadership nella classifica mondiale, sia a renderlo il più vincente dell’Era Open nel primo Slam della stagione. Grazie al pokerissimo di successi, il serbo ha staccato sia Roger Federer sia Andrè Agassi (e pure Rosewall e Crawford), portandosi a un solo titolo dal recordman Roy Emerson, che oggi, elegantissimo, gli ha consegnato la Norman Brookes Challenge Cup. Probabilmente il 78enne australiano avrebbe preferito andarsene prima di vedere qualcuno eguagliare i suoi sei successi, ma a giudicare dall’andazzo sarà ben contento di esserci. Il nuovo Re d’Australia merita anche i suoi applausi.
AUSTRALIAN OPEN 2015
Finale UOMINI
Novak Djokovic (SRB) b. Andy Murray (GBR) 7-6 6-7 6-3 6-0
Circa l'autore
Post correlati
Essere vulnerabili, e ammetterlo, è una grande risorsa
Vulnerabili lo siamo tutti, anche e soprattutto i tennisti, in un’epoca in cui la pressione per il risultato è...