Il titolo dice tutto. Rievochiamo l’Australian Open 2015 trovando una storia per ogni lettera dell’alfabeto. Con il suo stile leggero e ironico, Massimo Garlando ci fa immergere per l’ultima volta nel primo Slam dell’anno. E poi…appuntamento al 2016.. Premiazione del doppio. Fognini, che in coppia con Bolelli ha appena vinto un titolo che mancava all'italtennis maschile dal 1959, interrompe le dichiarazioni di rito in inglese e si rivolge così al socio. In mondovisione. È il Fabio che piace, guascone, brillante, che avrebbe tutte le doti tecniche e caratteriali per diventare un gran personaggio, in questo tennis moderno a volte un po' omologato. Se solo lasciasse da parte il Mr Hyde bad boy, che nel 2015 speriamo di rivedere il meno possibile.
 
B come BRACCINO: patologia temutissima tra tutti gli sportivi, ha nel tennis uno dei campi di applicazione principali. Essa è assai democratica e si accanisce sia con gli atleti dotati di talento cristallino (come Dimitrov, avanti 5-2 nel quarto set con Murray e sparito dal match), sia con chi ottiene ogni alloro grazie alla grinta e al sudore (tipo Ferrer, capace di far rientrare più volte in partita un malconcio Simon). Rappresenta una cartina al tornasole perfetta e spietata per individuare chi non è riuscito a fare il salto di qualità definitivo, e chi rischia di non farlo mai.
 
C come COPIL: tira una prima a 242 kmh, record di velocità negli Slam. Però il fatto che un servizio della Zahlavova abbia fatto segnare 225 lascia qualche dubbio sulla possibile generosità della misurazione, un po' come le altezze dei calciatori sull'album Panini. Tipo i 164 cm di Giovinco, per capirci.
 
 
D come DJOKOVIC: alza per la quinta volta al cielo il trofeo di Melbourne, si sente a casa e si vede. Solidità impressionante per tutto il torneo e briciole lasciate agli avversari fino alla semifinale, quando incontra Wawrinka. Fatica, come sempre negli ultimi anni, ma il 6-0 del quinto set è eloquente. Così come gli ultimi due set della finale, con Murray in balia degli eventi. Insomma, tutto perfetto, a parte un piccolo neo: l'eccessiva teatralità con cui, nei primi due set e soprattutto all'inizio del terzo, sottolinea (solo in caso di punto perso) i dolorini al pollice e alla caviglia, poi magicamente spariti nel corso del match. Atteggiamento da vecchio Djokovic che non mostrava da parecchio (e non ci mancava).
 
E come EUROSPORT: qualche problemino di trasmissione, in particolare uno sfasamento tra audio ed immagine all'inizio del torneo (e nei primi giochi della finale), che ha riportato noi vecchi appassionati indietro di una decina d'anni. Ma anche l'ottima copertura dei match, spesso a discapito degli sport invernali, e la collaudatissima squadra di commentatori. Con due extra, la trasmissione della finale di doppio, fortemente voluta dalla redazione italiana, e l'intervento in cabina di Adriano Panatta. Che magari non sarà aggiornatissimo su tutti i giocatori (memorabile il "Come si chiama questo? Mahut?" nei primi quindici della finale di doppio), ma rappresenta un valore aggiunto di prim'ordine, sia tecnico che nella lettura della partita.
 
F come FAB FOUR: Djokovic, Federer, Nadal e Murray ai primi quattro posti della classifica maschile, non succedeva dal maggio 2013. Un secolo fa, prima della crisi dello svizzero e degli infortuni di Rafa e Andy, con il solo Djokovic senza cedimenti. Si direbbe trionfo della restaurazione, dopo un 2014 per certi versi rivoluzionario, ma la classifica corta (a parte Nole, ovviamente) suggerisce maggiore prudenza.
 
G come GARANGANGA
, tennista dello Zimbabwe che tenta di rinverdire i fasti della famiglia Black (che però erano espressione della minoranza bianca. E non è un gioco di parole). Come molti colleghi che navigano lontano dai top 100, fatica a coprire le spese e così, per realizzare il suo sogno di disputare le qualificazioni degli Australian Open, qualche mese fa ha tentato di raccogliere i 10000 dollari necessari con un crowfunding. Non ce l'ha fatta e ha ricominciato con i futures, ma va apprezzato il suo spirito d'iniziativa.
 
H come HEWITT: ha annunciato che l'Australian Open 2016 sarà il suo ultimo torneo, ma da tempo mostra di non reggere più certi ritmi. Anche questa volta, visto che ha finito col perdere al quinto con Benjamin Becker, dopo avere dominato i primi due set.
 
I come IVANOVIC
: con Gulbis si aggiudica l'ambito trofeo dello sconfitto eccellente al primo turno. In entrambi i casi la cosa non fa più notizia.
 
K come KEYS, in volata sul coetaneo Kyrgios (vent'anni da compiere per entrambi) per cavalleria e, soprattutto, per miglior risultato raggiunto. Non trema con Venus e si arrende solo allo strapotere di Serena, ne sentiremo ancora parlare.
 
L come LORENZI: non solo per la prestigiosa vittoria australiana con Dolgopolov, ma soprattutto per aver portato al successo il mitico giramondo Becuzzi, nel primo turno del doppio del challenger di Bucaramanga.
 
M come MURRAY: graziato da Dimitrov agli ottavi (vedi alla voce "braccino"), dispone con relativo agio di Kyrgios e Berdych, prima di arrendersi a Djokovic in una finale in cui mostra, a tratti, i soliti pregi e i soliti difetti. Quello che conta, comunque, è la sensazione che il disastroso 2014 sia davvero alle spalle.
 
N come NAVRATILOVA: premia le protagoniste della finale femminile e tocca quindi a lei consegnare il trofeo a Serena Williams, che la supera per numero di Slam vinti. Lo fa, con grande eleganza, apparentemente più giovane oggi rispetto a quando giocava.
 
 
O come OTTO: i giochi (sei nel terzo set) che Berdych ha lasciato a Nadal nei quarti di finale. Arrivava da diciassette sconfitte consecutive contro il maiorchino e pareva vittima della maledizione del pubblico di Madrid, platealmente zittito dal ceco in occasione dell'ultima vittoria. E invece, puntuale, la vittoria contro statistica, a ricordare la vecchia frase di Gerulaitis, che si era fermato a sedici sconfitte di fila con Connors e il cui spirito ridacchiava sicuramente sulla Rod Laver Arena. E, dopo il trionfo, le solite aspettative, puntualmente naufragate con la prova del nove del turno successivo.
 
P come PIROETTA: la curiosa richiesta di un giornalista australiano alla Bouchard, nell'intervista post match. Con immediata polemica. Resta il fatto che, inaspettata, fuori luogo o sessista che fosse la cosa, Genie la piroetta l'ha fatta.
 
 
Q come QUALIFICAZIONI: il solito simpatico mix di giovani promesse, meno giovani ex promesse e arzilli pensionandi, che non ne vogliono sapere di appendere la racchetta al chiodo. Poca strada in tabellone, per i sedici qualificati, un solo ripescato tra i sedici sconfitti all'ultimo turno. Da segnalare soltanto il cammino di Smyczek, arrivato a un passo dall'impresa con Nadal e tradito, sul più bello, da limiti evidenti. 
 
R come RAONIC: e Nishikori nel maschile, Bouchard e Cibulkova tra le ragazze. Quelli del sei (per alcuni più, per altri meno) in pagella, che hanno fatto il compitino e hanno raggiunto l'obiettivo minimo, ma senza strafare 
 
S come SEPPI: a trent'anni suonati e dopo dieci sconfitte, si leva lo sfizio di battere Roger Federer. E lo fa con pochi demeriti dell'avversario e molti meriti propri. Il passante che chiude l'incontro, nell'emozionante tie break del quarto set, è a mio parere il colpo del torneo. 
 
T come TWITTER: quest'anno è scoppiata la mania del tweet in diretta, il commento dei colleghi a quanto appena successo in campo. Si spera che, finito il rodaggio, si arrivi a qualcosa di più significativo rispetto ai complimenti di rito e alla programmazione dei prossimi tornei. 
 
U come UNDERDOG:
Sette tra le prime otto teste di serie ai quarti maschili, e l'unico intruso è il predestinato Kyrgios. Una volta era lo Slam delle sorprese, tempi duri per i figli di un dio minore. Da segnalare, comunque, il percorso del lussemburghese Gilles Muller che, con il suo serve&volley d'antan, si è preso il lusso di mandare a casa un paio di spagnoli e il bombardiere Isner, prima di arrendersi (a testa altissima) a Djokovic. 
 
V come VECCHIETTI: Il titolo del misto lo vince il mio coetaneo Paes, in coppia con l'ex giocatrice Hingis. In finale la spuntano sulla Mladenovic e su Nestor, che è addirittura classe '72. Va bene, mettiamo pure che la cosa mi faccia sentire giovane e tutto il resto, ma restano molte perplessità sull'effettivo valore di questa disciplina.
 
W come WAWRINKA: raggiunge la semifinale e obbliga Djokovic al quinto set. Con buona pace di chi parlava di fortuna è paragonava la sua vittoria del 2014 con quella di Thomas Johansson.
 
X come XIX: diciannove Slam, il numero raggiunto da Serena Williams, che ha ora davanti a sé soltanto Steffi Graf e Margareth Smith Court. Quando è a posto fisicamente non ce n'è per nessuno, come ha riconosciuto a denti stretti Maria Sharapova, a fine torneo. Divertente (e illuminante in tal senso) l'epilogo del match: Serena serve un ace imprendibile che viene sporcato dal net. Sorride, lancia un'occhiata perplessa al giudice arbitro, torna a posto e ne piazza un altro. Straordinaria. 
 
Z come ZERO: le notti in bianco passate per l'edizione 2015, è la prima volta da anni. Ormai preferisco andare a dormire presto e svegliarmi all'alba. Sì, sto decisamente invecchiando (anche se i risultati del doppio misto mi suggeriscono di non pensarci), o forse non è stata esattamente un'edizione memorabile. 

Le puntate precedenti
IL 2014 DALLA A ALLA Z
OTTOBRE – NOVEMBRE 
SETTEMBRE

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