Dribblando avversari e critici, il campione serbo è tornato a ‘rivedere le stelle’ dopo un anno di inferno e purgatorio

Un pozzo di sapienza, l’Alighieri che tutti conosciamo. Si dimenava egregiamente anche in astronomia e amava le stelle più d’ogni altro astro. Quelle stelle che era tornato a rimirare nientemeno che nell’emisfero australe dopo lungo peregrinare nei giorni dell’inferno. Chissà se anche Novak Djokovic abbia provato sensazioni analoghe tornando sotto il cielo di quel mondo che l’aveva l’escluso per un intero anno. Quel che sappiamo è che una volta giunto nella terra dei canguri, il grande atleta è apparso quanto mai deciso a scalare il Purgatorio dell’Australian Open, quello che nell’anno alle spalle si era negato a lui per ragioni di covid.
Così più che espiare colpe capitali, l’arrampicata iniziava all’insegna di riscatti d’appianare e il campione non ci ha messo molto a mettersi alle spalle sia Superbi sia Invidiosi incontrati in abbrivio di cammino. E se con Dimitrov era incappato in qualche Ira di poco conto, dominando De Minaur è Rublev si è lasciato dietro Avari e Accidiosi senza badare a loro. Scalando, scalando ha quindi sbrigato peccati di Gola che non gli appartengono e per archiviare i quali ha giocato quasi perfetto opposto a un povero Paul che ne ha fatto le spese.
L’atto finale valeva il Paradiso della classifica mondiale e del 22mo canto in tema di slam. Tanto, troppo per concedersi debolezze e in quell’ultima cornice dove Lussuria abbonda, il duro cimento di Novak Djiokovic detto Nole, è giunto a termine cedendo il passo a orgoglio, riscatto e aspirazione. É così che l’ex bimbo di Belgrado ha firmato il decimo canto in Melbourne Park, un trionfo colto con buona pace di un Tsitsipas prossimo protagonista ma ancora stand by dinanzi a un tennista tanto immenso. Lo stesso che ormai asceso all’Empireo ne uscirà solo a fine carriera quando il mondo tennistico canterà per lui «l’amor che move il sole e l’altre stelle».