Sloane Stephens racconta i suoi problemi con il social network più in voga fra i tennisti. “Mi scrivono di tutto, ho bloccato un sacco di persone”. Il suo è solo uno dei tantissimi casi, per un problema che pare avere un’unica soluzione.Twitter è uno splendido strumento di comunicazione, il preferito dai tennisti, che vi affidano tutto: pensieri, idee, foto e pure gli annunci ufficiali. Basti pensare che fra i top 30 del ranking ATP l’unico di cui non c’è traccia è Ernests Gulbis, mentre fra le donne manca appena Shuai Peng: normale, in Cina determinati social (fra i quali Twitter) sono banditi. Attirando un numero di persone in costante crescita, i cinguettii possono però rivelarsi un’enorme arma a doppio taglio, e tutti, almeno una volta l’hanno provato sulla propria pelle, vera o virtuale che sia. L’ultima a rifletterci è stata Sloane Stephens, che a Indian Wells ha parlato del suo rapporto con l’uccellino azzurro, e di come sia ormai costretta a bloccare quelli che la offendono. I suoi problemi sono nati all’Australian Open del 2013, dopo la vittoria contro Serena Williams. Due anni fa, la numero uno del mondo non prese benissimo la sconfitta contro la più giovane connazionale. Prima twittò “i made you”, “ti ho creata io”, come se la vittoria fosse stata una mancanza di rispetto, poi smise di seguire la Stephens su Twitter e la rimosse dalle amicizie di Blackberry Message. Fino a qui tutto sarebbe passato inosservato, se non fosse che la (ex?) futura stella del tennis americano non gliele mandò a dire (“Serena mi ha tolto il saluto e mi evita, la gente crede sia cordiale e simpatica, ma non è così, non ha a cuore il futuro del tennis americano”, tuono su ESPN), scatenando l’ira dei tanti tifosi della numero uno del mondo, che a oltre due anni di distanza non hanno ancora digerito la vicenda. “Ancora mi odiano – spiega – ma cerco di non farci caso. Sono la regina del bloccaggio. Dici qualcosa di negativo su di me? Ti blocco. Sono i fan più accaniti, li capisco e posso anche apprezzarli, ma non ho spazio per la negatività che potrebbero portarmi i loro commenti. Sono tutte cose di cui faccio volentieri a meno. Scrivono di tutto, non ho idea di quante persone sia arrivata a bloccare, ma sono tantissime”.
 
LAJOVIC MINACCIATO DI MORTE
Le parole della Stephens, inducono a delle valutazioni su come sia cambiato il mondo di Twitter, sempre più spesso utilizzato per esprimere il proprio dissenso nei confronti dei giocatori. Gli esempi sono tantissimi. In casa nostra, tanto per citarne uno, c’è quello del numero uno azzurro Fabio Fognini. Si era iscritto sia su Facebook che su Twitter, poi aveva preferito chiudere entrambi gli account, quindi è tornato nel 2014. Ma dopo ogni match perso riceve una valanga di insulti, tanto che vien da chiedersi perchè tenga duro. Dopotutto, l’unica soluzione è quella di stare alla larga dai social network, specialmente per i giocatori che si gestiscono da soli gli account. I top player hanno chi lo fa per conto loro e difficilmente vengono a contatto con messaggi negativi, gli altri invece sono molto più vulnerabili. Piace avere un mezzo per scambiare emozioni con i tifosi, ma il rischio è sempre dietro l’angolo. È il principale problema dei social network: hanno messo tutti in contatto con tutti, e ognuno si sente libero di esprimere ogni genere di dissapore nei confronti di chiunque altro, dall’assessore alla viabilità del proprio piccolo comune sino al Presidente del Consiglio. Passino le critiche, anche se ci sarebbero modi e sedi diverse rispetto ai 140 caratteri canonici, ma gli insulti no, non sono mai giustificati. Tantomeno le minacce, anche queste molto frequenti nei profili dei tennisti. In questo caso, i leoni da tastiera di turno sono gli scommettitori, che non accettano di aver perso una puntata per colpa di una sconfitta di questo o quel giocatore, e per placare la propria rabbia si prendono una di rivincita virtuale tramite i social network. È capitato di recente al serbo Dusan Lajovic, che dopo la sconfitta contro Luca Vanni a San Paolo è stato addirittura minacciato di morte. Facile immaginare che dietro ci fosse il betting. Succede a tutti i livelli, Challenger e Futures compresi. E quando il giocatore in questione è di colore, ecco spuntare pure gli insulti razziali, come capitato a Tsonga, Monfils e tanti altri.
 
L’INSEGNAMENTO DI REBECCA MARINO
Credo che Twitter sia cambiato moltissimo da quando io ho iniziato a usarlo – prosegue la Stephens. Una volta era divertente, ora è diventato solamente un canale che la gente sfrutta per attaccare altra gente. Le persone dovrebbero capire che se pensano qualcosa di negativo contro qualcuno, non devono per forza scriverlo su Twitter. Io non lo farei mai”. Ovviamente, arrivano anche tanti complimenti, ma di fronte a un solo insulto passano tutti in secondo piano. “Cerco di non dargli troppo peso, Twitter mi piace ma non è la mia vita. Provo a usarlo il meno possibile, e accetto il fatto di poter non piacere a qualcuno. Scrivo e retweetto solamente cose positive, del resto mi importa poco. Non permetto che questi comportamenti mi spaventino”. Non tutti però sanno passarci sopra indenni come per esempio Tim Smyczek, addirittura lusingato (ironicamente) dal fatto che gli avessero dato fiducia puntando dei soldi su di lui, o Nicolas Mahut, che rispose “grazie per il supporto” a uno scommettitore che lo mandò all’inferno (e non solo) per una semplice sconfitta. Purtroppo, c’è qualcuno che non riesce a staccarsi dal mondo virtuale e dà troppo peso ai messaggi sui social network, fino a cadere in depressione. Eloquente il caso della canadese Rebecca Marino, che ha visto la propria carriera rovinata dai numerosi insulti ricevuti su forum e social network. “Le parole fanno male, molto male”, disse al momento dell’addio, dopo che già ci aveva riprovato una volta dopo un periodo di pausa dal tennis e dai social, in cui cercò lavoro in tutt’altro settore. Tornò dopo sette mesi, riaprì l'account Twitter e pareva rigenerata, ma durò da settembre a febbraio, prima di chiuderlo di nuovo e salutare un'altra volta. Non esiste che qualche sconosciuto possa influenzare il comportamento dei giocatori, ma l’unica soluzione per non correre rischi pare quella di tenere le distanze da Twitter e affini. La storia della Marino ha molto da insegnare. Possibile che solo Gulbis abbia resistito alla tentazione?