Dai viaggi nel cestino della bici di papà Yuri, a quel sogno poi diventato l'incubo più grande. Nella sua carriera Maria Sharapova ha incontrato tanti ostacoli, ma ora li guarda con serenità: tutti hanno contribuito a renderla più forte.Sono passati oltre dieci anni da quel magico 3 luglio 2004, col Venus Rosewater Dish in braccio sul Centrale di Wimbledon e una carriera ancora tutta da scoprire. Maria Sharapova l’ha esplorata in lungo e in largo, vincendo altri quattro Slam, arrivando in vetta al ranking WTA e soprattutto ritagliandosi una popolarità su scala globale. Potrebbe smettere domani ed essere a posto per tutta la vita: i numeri, infatti, dicono che è la sportiva più pagata al mondo. Difficilmente la rivedremo sui campi o impegnata con le future generazioni, molto più probabilmente diventerà una donna d’affari a tempo pieno, dedicandosi a un mondo che sta sondando tramite le caramelle Sugarpova, già sbarcate in buona parte del globo. Ma quello, per ora, rimane il futuro. Il presente si chiama tennis, con un gioco in costante evoluzione e un carattere da tigre, forgiato in tenerissima età, quando lasciò la Siberia ad appena sette anni per rincorrere il suo sogno all’IMG Academy di Bradenton, Florida. Una strada battuta da tanti, ma che ha anche prodotto un lungo elenco di gente che non ce l’ha fatta. Lei è nell’altra lista, sia perché è diventata una campionessa, sia per il processo di formazione compiuto alla corte di Nick Bollettieri. L’autobiografia di Andrè Agassi ha ricordato a tutti la crescita del Kid di Las Vegas, in campo ore e ore col ‘drago’ spara palle costruito dal padre, mentre in pochi ricordano dei viaggi di Masha all’alba, insieme a papà Yuri. Mancavano i soldi e non avevano una macchina, così lui la caricava nel cestino della sua bicicletta e la accompagnava al primo allenamento delle 6.30, per poi recarsi al lavoro a racimolare ciò che serviva per vivere. “È stato un grande percorso educativo. Essere indipendente a sette anni significa imparare a gestire tante situazioni, crescere prima degli altri. L’aspetto più difficile è stato staccarmi da mia madre, eravamo legatissime, non è stato facile non avere la sua voce accanto. Il mondo del tennis mi ha insegnato molto, non è solamente una questione di diritti o rovesci. Il mio è stato un percorso difficile, ma me ne accorgo solo ora. Stavo facendo qualcosa che mi piaceva, e per questo non ne sentivo il peso”.
 
“NON SONO QUI PER FARE AMICIZIE”
Da lì è nata un’atleta straordinaria, che dietro a un viso algido nasconde una personalità forte e una determinazione incredibile, tanto da non lasciar spazio a molto altro, nemmeno alle amicizie nel Tour. Un comportamento molto criticato, ma che lei difende senza mezze parole. “Non sono qui per trovare una migliore amica, il fatto che facciamo lo stesso lavoro non significa che dobbiamo per forza essere amiche. Fuori dal campo ognuna di noi ha il suo entourage, le proprie amicizie. Io ne ho tantissime, non sento il bisogno di crearmene di nuove”. Una parte delle sua diffidenza deriva dalla popolarità raggiunta in giovane età, con l’incredibile vittoria nel Tempio. Diciassette anni, fortissima e bellissima: la figura ideale da sfruttare. E gli avvoltoi arrivarono in branco. “Dopo quella vittoria mi sono arrivate un sacco di richieste, ma non mi sono fatta abbagliare. Sapevo quali erano le persone di cui fidarmi, così non ho dato spazio a molto altro”. Per questo, ha imparato a non dar peso all’opinione della gente. “Fa parte del gioco, specialmente da quando si sono diffusi i social media ognuno sa qualsiasi cosa in tempo reale. Ma se si ascolta ogni opinione e si spiega ogni azione commessa, diventa difficile essere contenti con sé stessi.  È quello l’aspetto più importante. Quando una persona sta bene dentro di sé, il resto non conta”. Senza un carattere così, non sarebbe riuscita a superare in quel modo il brutto infortunio del 2008, il peggior episodio della sua carriera. Dieci mesi persi per un’operazione alla cuffia dei rotatori della spalla destra, in un momento fondamentale per la sua carriera. “Avevo appena vinto il terzo torneo del Grande Slam (l’Australian Open, ndr) giocando uno dei miei migliori tennis in assoluto, e sentivo che poteva esserci una svolta. Invece sono passata in poco tempo dalla gioia allo stop forzato”. Una mazzata che ne condizionò a lungo il servizio, uno dei suoi punti di forza, obbligandola a tirar fuori tutta la sua forza.
 
“SOGNAVO DI DIVENTARE COME SERENA”
Ce l’ha fatta spinta da un obiettivo speciale. Voleva vincere il Roland Garros per fare pace con la terra battuta, nemica nei primi 5/6 anni di carriera. “Ho sempre pensato che vincere a Parigi sarebbe stato difficilissimo, ma negli anni ho imparato molto: sono cresciuta fisicamente, ho migliorato i movimenti e la capacità di recupero. Giorno dopo giorno ho portato avanti una lunga sfida con me stessa, che alla fine sono riuscita a vincere. È stato sicuramente il successo più impegnativo della mia vita. Tutti ricordano la vittoria a Wimbledon a 17 anni, ma credo che vincere senza pensieri sia più semplice. Farlo al Roland Garros, dopo l’infortunio e il duro percorso di risalita, è stato qualcosa di incredibile”. Ora che il fisico non le volta le spalle da un pezzo, e almeno una volta si è presa tutti i grandi tornei, il suo obiettivo principale si chiama Serena Williams. La stessa che sognava di imitare da ragazzina, la stessa che superò undici anni fa nella finale di Wimbledon, ma anche la stessa che dal 2005 non fa altro che batterla. 16 scoppole consecutive. “Quando sono arrivata nel circuito, lei era già a metà carriera. Tanti anni più tardi, è ancora all’apice. Non avrei mai pensato che la nostra rivalità sarebbe durata così a lungo. È una grande storia, quando ho iniziato a fare sul serio sognavo di poter diventare come lei. Mi ricordo ancora quando venne all’Accademia ad allenarsi con la sorella, credo avessi 14 anni. Il mio più grande desiderio era poter giocare i suoi stessi tornei”. Ce l’ha fatta, ma non immaginava che il suo modello sarebbe diventata colei che le ha negato un sacco di vittorie. “È un’atleta incredibile, il suo servizio e la sua potenza sono due delle migliori qualità nella storia del tennis. Per batterla bisogna crederci dal primo all’ultimo punto, e giocare sempre al 100%. C’è un rapporto di stima reciproca, entrambe sappiamo i sacrifici e il lavoro che ha portato l’altra in alto, e per questo ci rispettiamo”. Ora, per chiudere quel cerchio aperto undici anni fa, deve provare a batterla un’altra volta. Le è andata di nuovo male all’ultimo Australian Open, ma probabilmente avrà presto una nuova possibilità, con la speranza di fare come Vitas Gerulaitis. Superato Jimmy Connors dopo sedici KO, il compianto statunitense sentenziò: “deve ancora nascere un giocatore in grado di battermi diciassette volte di fila”, dando il la a un tormentone poi ripreso da tantissimi colleghi. Masha spera tocchi presto anche a lei. Solo a quel punto potrà salutare col sorriso.