BBC ha intervistato Dan Robson, arrestato un anno e mezzo fa per “courtsiding”, ovvero l'invio in tempo reale dei risultati a uso e beneficio degli scommettitori. “Lo rifarei tutta la vita. Peccato, sono stato sfortunato”. Aveva un joystick nelle mutande. 

Daniel Thomas Dobson, per tutti “Dan”, era un ragazzo come tanti. Aveva giusto la passione per il tennis. Poi è diventato improvvisamente popolare un anno e mezzo fa, quando è stato arrestato dalla polizia australiana con l'accusa di “courtsiding”. Durante l'Australian Open, inviava in tempo reale i risultati e li girava a Sporting Data Limited, suo datore di lavoro, società legata al mondo delle scommesse. Una persona sul posto consente un vantaggio di circa 10 secondi sul livescore ufficiale. Per chi scommette, è un vantaggio notevole. Ma l'attività non è consentita e Dan ha passato tre giorni in carcere prima di essere rilasciato su cauzione. Oggi ha 23 anni e considera quel lavoro ancora “da sogno”. In fondo, per un appassionato, cosa c'è di meglio che girare il mondo, vedere buon tennis e guadagnare un discreto stipendio? Certo, sapeva di essere sul filo del rasoio. Inviava i risultati tramite un dispositivo nascosto…nelle mutande. In un'interessante intervista con la BBC, ha raccontato i dettagli di quello che gli facevano fare. “Stavo a bordocampo tutto il tempo necessario. Dovevo premere i bottoni cuciti nei miei pantaloni e trasmettevo il punteggio a Londra. Per esempio, dovevo premere due volte per un punto di Djokovic e una per un punto di Murray”. Il fenomeno del courtsiding è strettamente legato alle scommesse “live”, ovvero la possibilità di giocare su una partita mentre questa è in corso di svolgimento. Il “raccoglitore” principale di questo tipo di scommesse è Betfair, in cui non si gioca contro il bookmakers, ma contro altri scommettitori. Le quote oscillano in continuazione in base al risultato. “Lo scopo di chi si trova sul campo è di trasmettere le informazioni più rapidamente della TV, o comunque di tutti gli strumenti a disposizione delle agenzie” dice Dobson.


UOMINI IN MISSIONE AI TORNEI

Pochi millisecondi e i dati finivano a Londra, presso il sindacato per cui Dan lavora. Sporting Data Limited si trova in modesto ufficio a Battersea, nel sud di Londra, ed è guidata da un amministratore delegato di nome Steve High. Il sindacato ha realizzato un software di scommesse che mostra la probabilità del giocatore di vincere la partita, in ogni momento, e in che modo oscillano le quote nei siti di betting exchange. I cronisti della BBC hanno potuto vedere lo strumento che in Australia è costato l'arreso a Dobson. Si tratta di una specie di joystick modificato. I risultati in tempo reale consentivano di annullare tutte le scommesse che andavano nella direzione sbagliata, e ovviamente puntare nel modo corretto. Si tratta di una differenza di migliaia di sterline a seconda di chi vinceva il punto. L'efficacia del sistema ha spinto diversi altri sindacati a spedire veri e propri “uomini in missione” nelle sedi dei tornei. Secondo High, alla scorsa finale di Wimbledon c'erano circa 75 persone preposte proprio a questo. “Inviavano informazioni oppure scommettevano per conto loro. I più bravi a gestire i dati sono quelli che hanno intascato o fatto guadagnare di più”. A seguito di questa dichiarazione, BBC ha interpellato l'All England Club, che però non ha voluto commentare. Da parte sua, Dobson ha detto di aver visto diversi courtsiders in alcuni tornei in giro per il mondo, ma di non aver mai parlato con loro. Erano i suoi rivali.


ESCI DAL CAMPO E TI AMMANETTANO

ATP e WTA provano a combattere il fenomeno da anni, anche perchè il punteggio ufficiale viene trasmesso dagli arbitri. Dal loro impulso si generano i livescore utilizzati dalle agenzie di scommesse. Anche i grandi tornei, e persino la Tennis Integrity Unit, hanno messo in campo alcuni osservatori per identificare i courtsiders e buttarli fuori. A loro volta, loro fanno di tutti per non farsi prendere. Si è creato un clima di caccia alla streghe o, se preferite, di guardie e ladri. “Non è difficile riconoscerli – dice Dobson – perchè spesso sono parenti degli arbitri. Giochiamo un po' al gatto col topo”. Dobson sapeva di fare qualcosa di illecito, ma credeva che la peggiore punizione possibile fosse l'espulsione dalla sede del torneo. Invece fu arrestato come un criminale qualsiasi. Dopo tanto tempo, ha raccontato esattamente cosa è successo. “Sono stato tutto il giorno sullo stesso campo, con una temperatura di 45 gradi. Non il massimo della vita. A fine giornata sono uscito dal campo, e un poliziotto mi ha afferrato le braccia e ammanettato. In quel momento ho capito che stava succedendo qualcosa”. L'hanno accusato di aver provato a corrompere l'esito di una partita, reato punito nello stato australiano del Victoria, con una sanzione fino a 10 anni di carcere. Tuttavia, appena lo hanno interrogato, è emerso chiaramente che non avevano capito cosa stesse facendo. "Erano convinti che potessi alterare in qualche modo l'esito della partita, che fossi in contatto con i giocatori, che ci fosse corruzione. Ma il courtsiding non ha niente a che fare con tutto questo”. Ok, aveva disatteso i termini e le condizioni del biglietto ma non stava facendo niente di illegale. E qualcuno ha criticato il pugno duro della polizia. Secondo Chris Eaton, direttore dell'integrità presso l'International Centre for Sports Security, il courtsiding resta un fenomeno da combattere ma è ben minore rispetto alle partite truccate e alla corruzione. Le accuse a Dobson sono cadute rapidamente, ma la sua carriera è terminata. Sporting Data Limited si è sbarazzata delle sei persone che spediva in giro per il mondo e li ha destinati ad altri incarichi. Ma lui tornerebbe subito a farlo: “E' stata sfortuna: io sarei andato avanti, era l'occasione della vita”.