La volèe affossata da Alison Riske ha fatto impazzire di gioia il pubblico di Brindisi, ma ha anche cacciato i fantasmi della Serie B, mascherata sotto il nome (ben più pomposo) di World Group II. L'Italia, terza forza del ranking ITF, non meritava la retrocessione in virtù di almeno 10 anni di grandi successi, anche se ora i numeri stanno un po' scemando. Ad ogni modo siamo ancora nell'elite e c'è ragione per essere moderatamente ottimisti. Una situazione ben diversa rispetto a 20 anni fa, quando la nazionale di Federation Cup (allora si chiamava così) finì nelle sabbie mobili di un rovinoso fallimento sportivo. Una Serie C che fu ancora più dolorosa perchè giunta nell'indifferenza generale. Vale la pena ricordare cosa accadde per capire gli errori che vennero fatti ed evitare di ripeterli, anche se da allora sono cambiate tante cose e certi rischi sembrano scongiurati. Nel 1995 la Fed Cup inaugurò la nuova formula, quella in vigore ancora oggi. Fino all'anno prima si giocava in sede unica, nell'arco di una settimana. C'era un tabellone a 32 squadre e ogni match si risolveva con due singolari e un doppio. Le azzurre guidate da Adriano Panatta colsero un dignitoso secondo turno in virtù del successo contro la Danimarca e una netta sconfitta contro la Francia. La nuova formula spedì nel World Group I le squadre giunte nei quarti e nel World Group II le eliminate negli ottavi, Italia compresa. Il sorteggio sembrava amico: ci capitò il Canada, squadra senza punte e con una sola giocatrice di livello: Patricia Hy Boulais, origine cambogiana e un passato da top-30. L'altra singolarista? Renè Simpson, brava in doppio, poco più che modesta in singolare. Si giocò presso l'Associazione Tennis Ancona e marcò visita persino Mara Venier, allora popolarissima conduttrice di Domenica In. Rimase giusto il tempo di ritirare un premio e scappare via prima dell'inizio. Le andò bene.
DUE WEEKEND DA INCUBO
Le azzurre di Adriano Panatta, tanto efficace con gli uomini quanto in difficoltà con le donne (per sua stessa ammissione, vedeva le giocatrici quattro volte l'anno) franò in modo quasi indecoroso. La peggiore fu Sandra Cecchini, la nostra numero 1, incapace di raccogliere un set contro la Simpson e addirittura travolta dalla Hy. Sandra era a fine carriera ma ancora capace di buone cose. Tuttavia patì oltre misura la pressione di essere numero 1 e chiuse nel modo peggiore una dignitosa carriera in Fed Cup, lunga 12 anni e 33 incontri. Una giovane Silvia Farina fece il possibile contro la Hy, ma l'inesperienza la condannò a una sconfitta in due set. Le vittorie a risultato acquisito resero ancora più amara la sconfitta ed esaltarono Pierre Lamarche, pittoresco capitano canadese che non poteva certo contare su Eugenie Bouchard, all'epoca appena nata. La frittata fu confezionata ad Ancona e consumata a Salerno, tre mesi dopo, presso il Tennis Club Le Querce. Le azzurre persero contro l'Indonesia di Yayuk Basuki, capace di battere sia Silvia Farina che Adriana Serra Zanetti. Le bastò la sconosciuta Romana Tedjakusuma per vincere il doppio contro Farina-Serra Zanetti. Panatta si prese anche qualche critica per aver schierato le stesse giocatrici del singolare al posto di una specialista come Laura Golarsa. Finimmo in una rovinosa Serie C, che riuscimmo a toglierci di dosso soltanto un paio d'anni dopo prima della lenta rinascita che ha condotto ai successi dell'ultimo decennio.
"MI SONO DEPRESSO, HO SPENTO LA TV E SONO USCITO"
Mentre il Corriere della Sera dedicò un trafiletto di due righe alla notizia, nel nostro piccolo mondo (davvero piccolo, visto che eravamo nell'epoca pre-internet) si scatenarono i processi. Si accusava la FIT di allora (eravamo agli sgoccioli dell'Era Galgani) di trascurare il settore femminile, che pure negli anni 80 aveva regalato qualche soddisfazione con Raffaella Reggi, Sandra Cecchini, Laura Golarsa e Laura Garrone. In un periodo di grande difficoltà per gli uomini, il Centro Tecnico di Latina era considerato un'isola felice. Ma non si diede seguito a quei risultati, per colpa di una promozione definita “inesistente” che – si pensava – teneva le ragazze di allora distanti dal tennis (la storia avrebbe poi detto che le adolescenti di allora si chiamavano Schiavone, Pennetta e Vinci). All'epoca la FIT aveva 77.765 tesserati agonisti (non tanti di meno rispetto a oggi), ma di questi soltanto 13.094 erano donne. Non esistevano ancora i canali monotematici, così il weekend di Italia-Canada andò su Rai Tre, con un ascolto medio di 538.000 spettatori (e 3,38% di share). Cifre discrete che però diedero una pessima immagine del nostro tennis. Un appassionato scrisse a una rivista specializzata: “Ho resistito 20 minuti, ma quando la nostra numero 1 stava sotto 4-1 contro la numero 201 del mondo ho ceduto. Sembrava di vedere una giocatrice di circolo contro la Seles. Mi sono depresso, ho spento il televisore e sono uscito”. Da parte sua, Panatta disse: “Mi vergogno per il pubblico”. All'epoca, l'Italia aveva appena due top-100 (Cecchini e Farina, appunto) contro le 11 della Germania, le 8 della Francia e le 7 del Giappone. E non mancavano le polemiche interne: il Centro Tecnico femminile si trasferì a Roma, alle Tre Fontane, e le nostre due più fulgide promesse dell'epoca (Alice Canepa e Giulia Casoni) rifiutarono la convocazione. Eppure la FIT investiva la bellezza di un miliardo e trecento milioni di lire solo per le donne (due miliardi e duecento milioni per gli uomini). Sembrava una strada senza uscita, invece dalle difficoltà covavano le migliori giocatrici della nostra storia. Non può esserci futuro senza una compiuta coscienza del proprio passato. Questo articolo vuole essere un monito per lavorare con attenzione ed evitare di (ri)cadere in un baratro toccato appena 20 anni fa.