Nel discorso di fine Australian Open, Novak Djokovic si rivolge ai giovani e ai loro sogni, paragonandoli a fiori da coltivare e innaffiare con amore e perseveranza. E il rimando alla Bibbia è spontaneo

“Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà: non c’è davvero nulla di nuovo sotto il sole!”. Molti avranno letto o sentito almeno una volta nella vita queste parole del sapiente biblico Qohelet. Le prime che mi sono venute in mente un minuto dopo la vittoria degli Australian Open da parte di Novak Djokovic (mentre a San Siro soffrivo per Milan-Sassuolo, ma questa è un’altra storia…).

Certo, si potrebbe leggere l’ennesimo trionfo del serbo, ventiduesimo Slam nel suo palmarès, alla luce della categoria del “sogno realizzato”. Basta proseguire il ragionamento fatto da Nole, con eloquio ormai patriarcale, nel discorso tenuto in campo al momento di ricevere il trofeo: “Il messaggio per tutti i giovani è che ce la possono fare, non importa da dove vengono”, con riferimento alla sua provenienza dalla Serbia, paese piccolo e senza grande tradizione tennistica. “Quindi vi dico: coltivate i vostri sogni, innaffiateli come si fa con i fiori. Trovate chi è pronto a condividerli con voi, e non fateveli rubare da nessuno”. I have a dream, niente meno! Ma questo sentiero lo ha già battuto altrove, da par suo, il Direttore.

Io invece, con deformazione biblica, non riesco a non inquadrare questa vittoria nella cornice da cui sono partito. Siamo alle ultime battute di un’epoca irripetibile (ce ne siamo resi conto in presa diretta, privilegio raro nella vita!), con Roger ormai fuori dai giochi, Rafa agli ultimi ruggiti… e Nole che invece distilla dai suoi 35 anni movimenti e colpi da venticinquenne: la testa e l’esperienza dei 35 in un corpo che pare averne dieci di meno. Personalmente, oscillo tra lo scoramento – perché la nuova generazione sembra non arrivare mai e perché non riesco ancora a digerire le sue vittorie contro re Roger – e l’ammirazione per qualcosa di straordinario. Ma nulla è davvero nuovo, pensando alla tenacia e al talento del serbo, giocatore meno appariscente ma molto più solido ed efficace di chiunque altro, oggi possiamo dirlo con certezza. Era scritto, lo sapevamo bene. Povero Tsitsipas dallo sguardo ferito, ultimo in una lista ormai lunga di vittime tennistiche del serbo!

Del resto, a scanso di equivoci, Djokovic lo ha ribadito nella conferenza stampa finale: “Ho ancora molte motivazioni. Vediamo quanto lontano mi porteranno. Davvero non voglio fermarmi qui, non ho intenzione di farlo. So che quando mi sento bene, fisicamente e mentalmente, ho la possibilità di vincere qualsiasi Slam, contro chiunque. Anche se nulla è mai garantito”. Forse solo l’ultima frase sembra aprire una realistica crepa in un muro che più solido al momento non potrebbe essere. Nulla è garantito nella vita e non spetta a noi portare a compimento l’opera. Prima o poi – sempre Qohelet ce lo ricorda – “si infrangerà la brocca alla fonte e si schianterà la carrucola nel pozzo”. Ma è lo stesso autore a dirci, probabilmente in un’ora di maggior ottimismo: “Fin dal mattino semina il tuo seme e fino a sera non dare riposo alla tua mano, perché non sai quale dei semi attecchirà, se questo o quello, o se entrambi cresceranno bene”. Bisognerebbe ricordare queste parole alla nouvelle vague di tennisti che bussa a una porta (quasi) chiusa. E ricordarla anche a noi stessi, quando i cambiamenti di stagione, attesi e desiderati, tardano ad arrivare. Ma quale sarà davvero la novità? E soprattutto: sapremo coglierla al momento opportuno, irripetibile e fugace? Continuiamo a seminare…