Nel disinteresse dei media, parla per la prima volta Daniele Bracciali. Coadiuvato da Umberto Rapetto, l'ex “sceriffo del web”, contesta le modalità di acquisizione dati degli inquirenti. “Non hanno mai analizzato i miei dispositivi. Io li ho congelati, sono a disposizione…” 

Diciamo la verità: in questa storia(ccia), Daniele Bracciali ha tutti contro. Dallo scorso ottobre, quando i mezzi d'informazione hanno pubblicato le intercettazioni di chat, sms, mail e quant'altro, il suo nome è finito alla gogna mediatica. Leggera, per carità: nel tipico costume italiano, dopo l'indignazione dei primi giorni, lo scandalo delle presunte partite truccate è finito rapidamente nel dimenticatoio. La notizia della sospensione cautelare di 40 giorni (tra febbraio e marzo) che ha colpito lui e Potito Starace è finita quasi sotto silenzio, nelle “brevi” dei giornali, anche quelli specializzati. In Italia va sempre così. Si è visto anche nell'assordante disinteresse che ha accompagnato la conferenza stampa convocata a Roma dall'aretino. Per la prima volta dopo mesi (salvo una nota diffusa ad aprile ai media della sua Arezzo, in cui proclamava la sua innocenza), Bracciali ha parlato. Il più compromesso di tutti, il capro espiatorio perfetto era a disposizione della stampa…e all'appuntamento si sono presentati in 3 (dicasi 3!) giornalisti. Bracciali è solo, dicevamo. In realtà, un lieto evento ha addolcito il periodo più brutto della sua vita. Lo scorso 12 aprile, infatti, è nato il piccolo Niccolò. Sulla vicenda che potrebbe tranciare – in modo definitivo – il suo legame con il tennis, l'aretino si è fatto affiancare da una figura di sicuro spessore: Umberto Rapetto, generale in congedo della Guardia di Finanza e già comandante del GAT Nucleo Speciale Frodi Telematiche. Nel suo impressionante palmares, Rapetto ha catturato gli hacker che erano entrati nei sistemi web del Pentagono e della Nasa, e aveva scoperto una frode da 98 miliardi di euro ai danni dell'Erario nel contesto delle slot machine non collegate all'Anagrafe Tributaria. Pare che proprio l'interessamento al settore dei gioco d'azzardo sia all'origine del suo allontanamento dalla Guardia di Finanza. Era stato rimosso dall'incarico e lui, tre anni fa, ha rassegnato le dimissioni. Oggi ha una società tutta sua e continua a operare nel settore, sia pure in forma privata. Per provare a sostenere la sua innocenza, Bracciali si è rivolto a Rapetto. A Roma, al secondo piano di Palazzo Barzano Zanardo, c'erano solo loro due. Bracciali e Rapetto contro tutti, vien da dire.


DISPOSITIVI MAI ANALIZZATI

Il primo a parlare è stato l'ex finanziere. E' entrato in tecnicismi che proviamo a riassumere: supportato da alcune slide, ha contestato la modalità di acquisizione dei dati a carico di Bracciali. A suo dire, tutto il materiale che incastrerebbe l'aretino sarebbe stato prelevato esclusivamente dal computer di Manlio Bruni, il “commercialista di Beppe Signori”, come è salito alla ribalta. Chat, mail, sms, tutto. Niente, assolutamente niente, è stato chiesto a Daniele Bracciali. Prendiamo Skype: agli atti manca l'indirizzo IP della persona che ha parlato come “Braccio78”. Senza quello, non possiamo sapere con certezza chi fosse a chattare con Bruni. Per le ricerche, gli investigatori si sono affidati a Magnet Forensics, programma molto utilizzato per questo cose. Nel suo manuale operativo, è chiaramente scritto che il programma è in grado di fornire gli indirizzi IP. “Questo può significare tre cose – dice Rapetto – i dati potrebbero essere non essere stati estrapolati, mancanti oppure non forniti alla difesa”. In altre parole, mancherebbe la certezza assoluta su chi fosse a chattare con il nick “Braccio78”. Le sensazioni empiriche dicono una cosa – ed è chiara – ma la tecnologia sembra non poterlo confermare oltre ogni ragionevole dubbio. Il clan Bracciali-Rapetto punta il dito contro il mancato incrocio di dati tra i dispositivi: di solito, in questi casi, è la prima cosa da fare. Per ogni mail inviata-ricevuta da Bruni, non è stato fatto alcun riscontro sui dispositivi di Bracciali. Avendoli a disposizione, si potrebbe risalire anche alle conversazioni cancellate. Ad esempio, c'è la famosa mail sulla finale del torneo ATP di Casablanca 2011, persa da Potito Starace contro Pablo Andujar. Bracciali sostiene di non averla mai ricevuta, e che della stessa mail sono emersi soltanto dei frammenti. Poichè ogni e-mail ha un suo ID, avrebbero potuto verificarne l'arrivo a destinazione tramite Google (Bruni aveva una mail @gmail), Hotmail (Bracciali ha una mail @hotmail) oppure Blackberry, dispositivo di Bracciali. Proprio in virtù di questo, e su consiglio dei suoi legali, Bracciali ha fatto "clonare" il suo computer, "congelandolo" a una certa data in modo che sia tutto a disposizione degli inquirenti. Questo è un punto molto importante, perchè – pur senza dirlo – l'aretino sembrerebbe intendere che quanto compare sul suo computer potrebbe inguaiare qualcun altro.


"NON MI SONO SENTITO DI PRESENTARMI AI TORNEI"

Nella sua chiosa, Bracciali ha ricostruito la vicenda. “Non sapevo nulla di questa storia, non avevo sentori prima che le intercettazioni uscissero sui giornali – ha detto – appena la vicenda è diventata di dominio pubblico mi sono spontaneamente presentato a Cremona per testimoniare. A Cremona non è stato sentito Potito Starace. L'unico altro tennista ad aver lasciato una deposizione è stato Simone Bolelli. Si parla tanto di Starace, tutti mi accusano di aver fatto da tramite, ma se non senti gli altri giocatori non puoi sapere cosa è successo veramente. Ripeto, c'è soltanto una deposizione”. Insomma, è sembrato (ripetiamo: sembrato) che Bracciali metta sullo stesso piano Starace e gli altri giocatori i cui nomi sono comparsi nelle intercettazioni. Ripetiamo: secondo la difesa, l'investigazione si è basata esclusivamente sui supporti informatici di Bruni senza mai chiedere quelli di Bracciali. “I miei sono a disposizione, ma possono entrare in scena soltanto se il giudice richiede un supplemento di indagine”. “La mia perizia è stata messa agli atti – dice Rapetto – questo può far ben sperare”. E' sorta una curiosità: scaduta la sospensione cautelare, come mai Starace ha ripreso a giocare e lui no? “Il periodo di sospensione mi ha ammazzato perchè ho perso tutti i punti conquistati l'anno scorso in Sud America – dice l'aretino – poi, sinceramente, non mi sono sentito di presentarmi nelle sedi dei tornei dove sarei stato guardato male da tutti. Gli altri giocatori? Li ho visti l'ultima volta in Australia, dove abbiamo anche cenato insieme. Da allora ho soltanto mandato la foto di mio figlio e mi hanno tutti risposto carinamente, ma non ci sentiamo anche perchè sono convinto di avere il telefono sotto controllo e per questo preferisco evitare. Ogni frase potrebbe essere male interpretata”. Il giorno del (primo) giudizio sarà sabato 13 giugno, quando ci sarà il processo presso il Tribunale Federale FIT. Rapetto non ci sarà, perchè la sua testimonianza non è stata accettata. Solo allora, sapremo quale sarà il futuro immediato di Daniele Bracciali e Potito Starace (che questa settimana era iscritto al challenger di Caltanissetta, ma si è cancellato). Nella nota di un mese fa, "Braccio" si è detto pronto a ricorrere fino all'ultimo grado di giudizio. Bracciali ha poi effettuato altre considerazioni più o meno interessanti. “I giornali si sono accaniti, scrivendo cose inesatte: ad esempio, alla festa dei miei 30 anni ci sarebbero stati tanti personaggi di dubbia moralità, e ci sarebbe stato anche Simone Inzaghi. Ecco, io Simone Inzaghi non l'ho mai conosciuto. E francamente non capisco l'accanimento della Giustizia Sportiva”. Finalmente abbiamo scoperto come è nato il contatto tra Bracciali e Manlio Bruni. Tutto parte dalla Serie A1: anni fa, l'aretino era tesserato per il Geovillage di Olbia, club in difficoltà economica e non gli aveva corrisposto un compenso di oltre 150.000 euro. Tramite Docche del Geovillage era entrato in contatto con Bruni per farsi aiutare a trovare un accordo economico con il club. All'epoca “Braccio” non lo sapeva, ma potrebbe essere stato l'inizio della fine.