Gianni Clerici disse che la signora in questione aveva due tra le gambe “più belle del circuito”. Incoronazione che valeva ancora di più, perché Cherilyn Hewitt non scendeva in campo. Si limitava ad accavallarle nel players box. Il tempo passa per tutti, così i genitori di Lleyton Hewitt (insieme a lei c'era sempre il marito Glynn) si sono gradualmente allontanati dalla carriera del figlio. Normale: lui è cresciuto, si è sposato e li ha resi nonni. Ma oggi, con la carriera agli sgoccioli, è normale che mamma e papà tornino sotto le luci della ribalta. Ad esempio, nel weekend saranno a Darwin per sostenere il figlio e il team australiano nel match di Coppa Davis contro il Kazakhstan. Vengono i brividi solo a pensarlo: potrebbe essere l'ultimo match in Davis di Lleyton. E se anche dovessero vincere, potrebbe essere l'ultimo in Australia, peraltro in un luogo dimenticato da Dio (e dagli scali aerei) come il Marrara Sporting Complex, a Darwin, nell'estremo nord del paese. Glynn e Cherilyn stanno accompagnando, con discrezione, il tour d'addio del figlio. Erano anche a Wimbledon, quando si è arreso subito a Jarkko Nieminen. E pensare che all'inizio erano onnipresenti, a ogni torneo, diventando figure ben note nella players lounge. “A Wimbledon la gente gli ha tributato un'ovazione, mi sono venute le lacrime agli occhi – ha detto mamma Cherilyn – è stato speciale vedere la gente così riconoscente verso mio figlio, sinceramente mi è venuta la pelle d'oca”. Oggi li inquadrano di meno, solo i più attenti li avranno riconosciuti. Un po' perchè gli anni passano, un po' perchè la gente è attratta dalla moglie Bec Cartwright (attrice) e dai tre figli Ava, Mia e Cruz.
UNA STAR DEL CINEMA ALL'AEROPORTO DI ADELAIDE
Ma quando c'è da parlare del passato, dei ricordi più belli, soltanto i genitori possono sapere quali fossero le ambizioni del piccolo Hewitt. Papà Glynn pensa che non ci sia nulla come la Coppa Davis, considerando il valore che riveste per il figlio. Non è un caso che l'abbia scelta come priorità assoluta nell'ultimo anno di carriera. La mamma ha optato per Adelaide 1998, il primo dei suoi 30 titoli ATP, quando l'allora 16enne Lleyton mise in riga Agassi, Stoltenberg e Woodforde. La settimana iniziò con un pensiero fisso in testa: evitare l'umiliazione di un cappotto al primo turno. Si sarebbero accontentati di un solo game. “Invece non potevo credere al fatto che, con il trofeo in tasca, doveva spostarsi in aereo da Adelaide a Sydney. Significava che era diventato un giocatore – ha detto la mamma – all'aeroporto c'erano giornalisti e fotografi, sembrava una star del cinema. Non dimenticherò mai quel giorno”. Oggi non si aspettano che il figlio giochi molti tornei prima dell'addio ufficiale, previsto per l'Australian Open 2016, anche se molto dipenderà dalla Coppa Davis. “Lleyton colpisce ancora molto bene – dice il padre – ma non ha giocato abbastanza partite in modo da poter vincere i punti importanti. Credo che possa giocare giusto un paio di tornei nell'estate americana, sarebbe un buon allenamento in vista del prossimo match di Davis”. Come a dire che hanno una gran fiducia in Kyrgios, Kokkinakis e sulla loro capacità di battere il Kazakhstan.
LLEYTON COME NEWCOMBE E ROCHE
Da parte sua, Lleyton (che l'anno prossimo prenderà il posto di Wally Masur nel ruolo di capitano) insiste nel dire che il clima in seno alla squadra è ottimo, per nulla turbato dalle polemiche che hanno colpito Bernard Tomic e Nick Kyrgios. A suo dire, la chiave del buon clima risiede nella familiarità con Wally Masur. “Lo conoscono tutti, sin da quando seguiva il team ai tempi di John Fitzgerald, quindi il suo arrivo non è stato un grosso cambiamento rispetto a quando c'era Pat Rafter. I ragazzi si trovano bene tra loro e quando scendono in campo fanno il loro lavoro, come sempre”. Lleyton non rifiuta il ruolo di vecchio saggio, e si è detto più che disponibile ad ascoltare gli eventuali problemi dei giocatori, specie quelli dal carattere più complicato. “Io faccio parte del gruppo e devo pensare all'interesse dei giocatori. Credo di poter capire i loro problemi e posso aiutarli nel tentativo di risolverli. Negli ultimi 2-3 anni ho lavorato molto su questo aspetto, direttamente con loro”. Ad esempio, ha provato a trasmettere l'importanza della Davis. “Vorrei fare con le nuove generazioni quello che Newcombe e Roche hanno fatto con me. Sin da giovane mi hanno fatto capire quanto sia bello e importante difendere i colori dell'Australia. E' inevitabile: la Davis regalerà sempre i momenti più belli, ma anche i più brutti, nella carriera di un giocatore. Non sei in campo per te stesso, ma per la tua squadra in panchina. Anzi, di più, per la tua nazione”. Ma soprattutto per i genitori. Almeno lui.