"Quando ero piccola, la gente si avvicinava a mio padre e provavano a ridicolizzarci. Dicevano che una ragazzina di Hyderabad non sarebbe mai arrivata a Wimbledon".
Sania Mirza
Per ogni parola su di lei, ne hanno spese dieci su Martina Hingis. Eppure, dentro di sè, Sania Mirza rideva dell'ignoranza di noi occidentali. Capita spesso che un'atleta venga definita “apripista” di qualcosa, ma difficilmente la sua influenza supera i confini dello sport. Sania ha saputo diventare un'icona, un personaggio, forse una grande donna. Il mondo occidentale non conosce così bene la sua storia, ed è un peccato. Il recente successo a Wimbledon, in coppia con la Hingis, l'ha portata alla ribalta per meriti sportivi (è il primo Slam in doppio femminile dopo che ne aveva vinti tre in misto), ma a noi piace fare un passo indietro. A dieci anni fa. Era il settembre 2005 e la giovanissima Sania, già numero 34 WTA, stava per giocare il torneo casalingo di Calcutta, il “Sunfeast Open”. Poi è arrivata la Fatwa. L'Islam radicale non poteva accettare che una ragazzina potesse indossare abiti così succinti. Stabilirono che avrebbe dovuto abbandonare canotte e gonnellini in favore di lunghe tuniche e foulard, come peraltro già facevano le tenniste iraniane. Un sacerdote di Calcutta, tal Siddiqullah Chowdhry, disse che l'avrebbero fermata se fosse scesa in campo. Una minaccia vaga, ma allarmante. Quell'anno, appena 18enne, aveva fatto cose inedite per il tennis femminile indiano: primo titolo WTA, prima vittoria su una top-10, ottavi di finale allo Us Open. Il tutto unito a una grande personalità, che la spingeva ad andare in conferenza stampa con curiose magliette, ognuna con uno slogan. “Sono carina”, “Puoi andare d'accordo con me, oppure sbagliarti”, “Le ragazze educate non faranno la storia”. Con un carattere del genere, non ha mai pensato di non giocare a Calcutta. “Avrò avuto un migliaio di persone a occuparsi della mia sicurezza – raccontò anni dopo – non potevo lasciare la camera d'albergo senza aver prima avvisato cinque persone. La mia auto era sempre scortata ed ero piena di guardie del corpo”. Insomma, una ragazza ben educata non solo aveva fatto la storia. Da allora, “fare la storia” è diventato il suo stile di vita. Alla carriera sul campo da tennis (che da qualche anno si è limitata al doppio per una serie di guai fisici) ha affiancato un impegno sociale altrettanto incisivo: questioni di genere, religiose, razziali…Sania ha detto la sua su tutto. Senza paura.
IL RISPETTO PER LE DONNE
Lo scorso novembre è stata nominata “Ambasciatrice di Buona Volontà” delle Nazioni Unite per il sud asiatico. Nei vari comunicati stampa dopo la nomina, uscì una dichiarazione: “In India non c'è alcun rispetto per le donne”. Una frase che ha generato critiche violentissime. Sebbene fosse solo una rappresentazione sfumata di quello che aveva detto, non si è tirata indietro. Non ha chiesto scusa e ne ha approfittato per parlare della situazione delle donne nell'Asia Meridionale. Per farlo ha scelto Twitter, spezzettando in più parti un messaggio lungo e articolato. Vale la pena riportarlo.
“Giusto per chiarire un paio di cose: NON ho detto che non c'è rispetto per le donne in India. Io sono l'ambasciatrice per la regione e non ci sarei arrivata se il Paese non mi avesse dato tutto il suo amore. Ma io sono fortunata, molto fortunata. In questa zona del mondo ci sono milioni di donne meno fortunate, vittime di abusi fisici o sessuali. Donne a cui è stato impedito di inseguire i propri sogni per il solo fatto di essere donne! Che vi piaccia o no, questa è la verità. E sì, sono convinta che se io fossi stata un uomo non avrei dovuto affrontare alcune polemiche, così come alcuni messaggi su Twitter, tutt'altro che rispettosi nei miei confronti. Per questo, alcuni di voi dovrebbero pulirsi la lingua prima di affermare che rispettano le donne e le persone in generale. E magari leggere tutto l'articolo e non soltanto un titolo sensazionalistico prima di commentare, perché il titolo è lo strumento utilizzato da certi media per attirare la vostra attenzione! Sono stata molto chiara, e continuerò a lottare per quello in cui credo e affronterò la questione della diseguaglianza di genere”.
A modo suo, un capolavoro di chiarezza e coraggio. Certo, è più facile parlare con milioni di dollari nel conto in banca e una vita tutto sommato felice. Ma lasciar perdere lo sarebbe stato ancora di più. Qualche anno dopo la Fatwa di Calcutta (a proposito: quasi mai una Fatwa riguarda questioni di condanna a morte, a differenza di quanto ritiene il credo popolare), la Mirza è piombata di nuovo nello scandalo: una foto la ritraeva a piedi nudi durante un match di Hopman Cup. A pochi centimetri da lei c'era una bandierina dell'India. Non sappiamo se in India esista il reato di vilipendio alla bandiera (in Italia, l'articolo 292 del codice penale è costato l'incriminazione ad alcuni cantanti…), ma l'opinione pubblica si scagliò ancor più ferocemente contro di lei. Fu un momento durissimo e pensò seriamente di abbandonare il tennis.
LE LACRIME IN TV
Non l'ha fatto. E ben presto è tornata alla ribalta per via della relazione (poi sfociata nel matrimonio) con il giocatore di cricket Shoaib Malik, pakistano. I due paesi non hanno rapporti diplomatici, tanto che fece scalpore la partnership tecnica tra Aisam-Ul-Haq Qureshi e Rohan Bopanna, ben presto definiti “il doppio della pace”. La Mirza fu investita da due ulteriori Fatwa: la prima relativa al possibile sesso pre-matrimoniale, la seconda per la convivenza prima del matrimonio. I due si sono poi sposati nel 2010, causando una serie di rimostranze politico-religiose. Qualche fanatico ha temuto che la Mirza potesse prendere la cittadinanza pakistana. In tutto questo, la sua popolarità è cresciuta a dismisura, almeno nel suo continente. Incredibile ma vero, su Twitter ha molti più follower di Maria Sharapova. 2,77 milioni contro 1,72 della russa. Un dato clamoroso, tenendo conto della popolarità di Masha nel mondo occidentale. Ovviamente è tra le personalità indiane più famose, anche perché da quelle parti l'orizzonte culturale si limita a Bollywood, cricket e poco altro.
Nel 2010, il suo nome è stato il più ricercato su Google tra le atlete donne. E pensare che sul campo, dopo un inizio di carriera più che promettente, non è mai andata oltre il numero 27 WTA. Un infortunio al polso l'ha costretta a mollare il singolare e concentrarsi sul doppio. I risultati sono stati ottimi fino a diventare eccezionali insieme a Martina Hingis. Hanno iniziato per quasi per caso a marzo, poi hanno vinto 29 partite su 34 e intascato quattro titoli. Con mesi d'anticipo, sono già qualificate per le WTA Finals. Ma in India c'è ancora chi non la ama. Alcuni politici sostengono che non sia “abbastanza indiana”, ironizzando sul suo matrimonio con un atleta pakistano. Accuse che l'hanno ferita profondamente, ancor di più delle varie Fatwa. Parlandone in TV, è quasi scoppiata in lacrime. Ma perchè la Mirza è un gradino sopra gli altri sportivi? Facile: parla di qualsiasi cosa. Non esiste un argomento tabù. Si può essere d'accordo o meno, ma lei ha un'opinione su tutto. Aveva polemizzato con la sua federazione quando, prima delle Olimpiadi di Londra, si era scatenata una guerra interna tra Paes, Bhupathi e Bopanna per le coppie da schierare, e lei si era sentita usata come se fosse merce di scambio. Si è esposta contro i politici per il modo in cui (non) hanno gestito alcuni casi di stupro, e ha fatto lo stesso per alcuni casi di aborto.
L'ACCADEMIA DELLA SPERANZA
Secondo un'inchiesta dell'Economist, l'India si trova all'84esimo posto nella speciale classifica delle opportunità lavorative per le donne. A quando pare, la violenza di genere fa parte della cultura del paese: sembra che i partiti politici abbiano candidato 260 persone con condanne più o meno gravi per crimini contro le donne. “Quando ero piccola, i miei zii e cugini erano preoccupati del colore della mia pelle. Se fossi stata scura, secondo loro avrei faticato a trovare qualcuno da sposare – ha detto alla BBC – questa cultura esiste ancora. In India ci sono cose che le donne non possono fare. Per questo abbiamo pochissime sportive, soprattutto in sport globali come il tennis e il golf, che richiedono lunghi periodi in giro per il mondo”. Oltre a parlare, Sania sta provando a fare qualcosa per cambiare la situazione. Ha messo in piedi un'accademia nella speranza di invogliare tante bambine e ragazze a giocare a tennis. E magari diventare le sue eredi. “Tutti auspichiamo l'uguaglianza di genere – ha detto quando è stata nominata Ambasciatrice ONU – qualcuno ne parla, qualcun altro no. Io ho deciso di farlo. Spero che un giorno l'uguaglianza arrivi e che le donne non siano trattate come oggetti. Io farò tutto il possibile per portare un cambiamento”. I fatti parlano per lei. Anche per questo, il suo titolo a Wimbledon ha un sapore ancora più dolce. Da romanzo, film o documentario. Magari lo realizzeranno dopo il suo ritiro. Quando una bambina uscita dalla sua accademia vincerà Wimbledon, magari in singolare.