Di storie ne conosco cento
di dolore e di spavento
e di porti e lampare
passaggi in bastimento
e di parenti lontani
che è Natale se li sento
da un paese di limoni
che non ho visto mai
Se vi racconteranno un'altra barzelletta, l'ennesima, in cui si prendono in giro gli italiani, non arrabbiatevi. Ma non state neanche al gioco. Gonfiate il petto e ricordatevi New York, l'11 settembre 2015. Quattordici anni prima, un paio di aerei avevano messo paura al mondo schiantandosi contro le Torri Gemelle. Stavolta è rivoluzione dolce, delicata ed incruenta. Una rivoluzione italiana che ha tante immagini ed è difficile fissare quella giusta. Per non fare sgarbi a Flavia Pennetta e Roberta Vinci, immense finaliste allo Us Open, abbiamo scelto l'espressione e il tono di Serena Williams nella conferenza stampa dopo il 2-6 6-4 6-4 che l'ha rispedita a casa, cancellando il sogno Slam. “Non voglio parlare di quanto sono delusa…se avete altre domande, prego”. Risposte poco più che monosillabiche, segni di insofferenza quando le hanno chiesto come si fa a dimenticare una delusione del genere…e poi via, a farsi consolare (forse) dal rapper Drake, agitato come non mai in tribuna. Stava in un palco dell'Arthur Ashe e gesticolava come un leone in gabbia. Scena ben diversa rispetto a 16 anni fa, quando nello stesso posto c'era Steffi Graf, ancora indecisa se rivelare al mondo la sua love story con Andre Agassi. Il suo futuro marito avrebbe vinto il torneo, battendo Todd Martin in finale. Steffi Graf resta l'ultima Slammer e ringrazia l'Italia, tanto sbeffeggiata dai suoi connazionali. Gli stessi connazionali che oggi devono inchinarsi – come gli appassionati di tutto il mondo – al bello di un Paese che mostra spontaneità e dolcezza (specie in Roberta Vinci), oltre alla voglia di non arrendersi (specie in Flavia Pennetta). Quattro anni e mezzo fa fu Francesca Schiavone e riscattare la nostra immagine. Mentre gli italiani scoprivano l'esistenza di un residence a Via Olgettina 65, Milano, a Melbourne la milanese restava in campo per quasi cinque ore contro Svetlana Kuznetsova. E vinceva. Stavolta non abbiamo scandali da cui riscattarci, ma tanti arretrati del passato, da “calpesti e derisi” come scriveva Goffredo Mameli. Esultiamo grazie al tennis, nello stadio più grande del mondo. Flavia Pennetta ha bastonato la numero 2 WTA, stordita al punto da dire parolacce in conferenza stampa. Non ce ne vorrà Flavia, peraltro favorita dai bookmakers per la finale, ma la grande impresa (più esattamente: miracolo) l'ha firmata Roberta Vinci.
"NON PUO' ESSERE TUTTO COSI' PERFETTO." E INVECE…
Il nostro quartetto di fenomeni non ha mai avuto una “gamba zoppa”. A volere essere pignoli, Roberta è l'unica a non aver mai raggiunto le prime dieci (è stata al massimo numero 11, mannaggia) e – prima dello Us Open – non aveva centrato neanche una semifinale Slam. Si è rifatta in grande stile, giocando un match miracoloso contro la più forte di tutte, forse di sempre. In quattro scontri diretti, aveva strappato appena 21 game a Serena Williams. Invece, dopo un primo set da copione, ha lentamente trovato la chiave. Ok, Serena si è fatta travolgere dalla pressione (ovviamente, in conferenza stampa ha detto di non averne mai sentita: si sa, deve dire almeno una bugia per intervista), ma Roberta l'ha messa in crisi con il rovescio incrociato in slice. Tattica coraggiosa, perché andava a incocciare il rovescio di Serena, certamente il suo colpo migliore. Ma doveva giocarlo in cattiva posizione e non era così devastante. Se poi provava a cambiare angolo, Roberta non andava in sofferenza. Anzi, giocava un dritto incrociato molto insidioso. Con queste armi e qualche regalo di Serena si è presa il secondo set. Sembrava il massimo, più del massimo. Specie quando Serena è salita 2-0 (e palla del 3-0) nel terzo. Invece Roby è rimasta a galla, ha vinto un paio game ai vantaggi, ha giocato alcuni punti fantasmagorici e ha trovato il break al settimo gioco, peraltro al termine di un paio di punti eccezionali. Ma neanche sul 5-4 e servizio l'abbiamo ritenuta favorita. “Prima o poi sentirà la pressione, prima o poi Serena si inventerà qualcosa. Non può essere tutto così perfetto…”. E invece sì, anzi, meglio. Nell'ultimo game si è presa il 30-0 con un'artigianale demi-volèe a due mani, in cui la racchetta sembrava una mazza da minigolf. Lì abbiamo capito che ce l'avrebbe fatta. E poi la demi-volèe finale, da doppista, le ha regalato un sogno.
IERI LA VALIGIA DI CARTONE, OGGI LA RACCHETTA DA TENNIS
Per un giorno, Little Italy si sposta nello stadio intitolato ad Arthur Ashe, afroamericano che ha conosciuto la discriminazione proprio come le migliaia di italiani che hanno cercato fortuna a New York ai tempi della grande immigrazione. Oggi sono di meno: secondo l'ultimo censimento, nell'attuale Little Italy, al sud di Manhattan, non c'è più un solo abitante nato in Italia.Per un weekend, la “Piccola Italia” (ma quale piccola!) si sposta al Queens, più esattamente a Flushing Meadows. E per noi sarà una gioia immensa vedere lo stadio stracolmo e due giovani donne italiane a contendersi la gloria. L'hanno già riempito a dismisura, facendo registrare il sold-out ancora prima che per la finale maschile. Volevano tutti assistere al trionfo di Serena Williams, in un tripudio di stelle e strisce. Sarebbe stata una bella storia, ma forse (forse!) l'americana meritava questa punizione. Magari smetterà di fare teatrini ad ogni partita. Sembra sempre sull'orlo delle lacrime, disperata….e poi, puntualmente, rinasce. E vince. Timea Bacsinszky, dopo averci perso a Parigi, la fulminò con lo sguardo durante la stretta di mano. Ma era stata lei a crollare. A New York, la Vinci ha mostrato tutta se stessa, prima con il tennis, poi con la commovente intervista sul campo e poi con il suo sorriso, tanto allegro quanto contagioso. Anni fa scrivemmo che non esiste una foto di Roberta Vinci in cui non sorrida. Col tempo, sono arrivate anche quelle. Ma nel momento difficile ha tenuto duro e oggi ha ritrovato una spontaneità che ha conquistato tutti, anche gli americani. Come Flavia Pennetta, cui la parola “ritiro” viene associata con sempre più frequenza. Lei ci ride, si gode ogni secondo e ricorda l'infortunio al polso che tre anni fa l'aveva spinta ai margini. Ormai era un'ex, ancora scossa dalla separazione con Gabriel Urpi. Oggi gioca alla grande e ci ha regalato un sogno. Un sogno che va oltre il 6-1 6-3 rifilato alla numero 2 del mondo. E' il simbolo, l'esempio, che anche senza scorciatoie si può arrivare lassù. Via Olgettina era l'emblema di una strada facile, breve, agiata. New York rappresenta l'esatto contrario. La città-sogno degli immigrati italiani, valigia di cartone e passaggi in bastimento. La storia non è stata cattiva con loro, ma resta quella nostalgia di casa, espressa dallo sport. Perchè, come cantavano Marco Conici e (poi) Luca Barbarossa, anche le famiglie più integrate hanno mantenuto un cuore tricolore.
Quando parla d'amore
allora parla italiano
e cerca vecchie parole
per portarla lontano
e con la luna e col sole
lui le parla più piano
mentre la chiama amore
lui le tiene la mano
le tiene la mano.
US OPEN 2015 DONNE – Semifinali
Flavia Pennetta (ITA) b. Simona Halep (ROM) 6-1 6-3
Roberta Vinci (ITA) b. Serena Williams (USA) 2-6 6-4 6-4