ROMA – L'attesa sta diventando estenuante. E' così per noi, figurarsi per i diretti interessati. Tuttavia esiste un limite temporale che obbligherà la Corte Federale di Appello a depositare sentenza e motivazioni entro l'8 ottobre, in modo che il secondo round della vicenda Bracciali-Starace possa avere fine. La notizia: il dibattimento non è ancora finito ed è stata fissata un'altra udienza, venerdì 2 ottobre, sempre a Roma. Quando il Collegio ha stabilito l'ennesimo rinvio su istanza di Luigi Chiappero, avvocato di Potito Starace, quello che c'è rimasto più male di tutti è stato Daniele Bracciali. “Ancora una settimana con questo cappio al collo senza sapere se lo affonderanno o no” ha sospirato Daniele. Motivo della sospensione? Un volo di ritorno per Torino (città dove risiede) che ha impedito a Chiappero di protrarre la sua presenza. C'erano due possibilità: ridurre i tempi a 8-10 minuti per ciascun intervento, oppure concedere un rinvio. Per tutelare la possibilità di esprimersi senza vincoli, il Presidente Alfredo Biagini ha optato per la seconda soluzione. Alle 15.30, dunque, si è sciolta un'udienza iniziata alle 11.45. Lo scorso 10 settembre, il Collegio aveva disposto l'audizione per quattro testimoni, due chiesti dalla difesa di Starace (Matteo Veneri e Umberto Rianna), due da quella di Bracciali (Umberto Rapetto e Davide Tura). Si sono presentati in due: Veneri e Rapetto. C'erano anche Umberto Rampa e Francesco Macrì, tecnici di parte che hanno analizzato per conto della Procura la consulenza di Rapetto, ex Generale della Guardia di Finanza chiamato in causa da Bracciali. Proprio Rapetto è stato il protagonista: la sua audizione è stata uno show di tecnicismi durata circa 90 minuti.
"LA CORTE? MENO 'FEDERAZIONE' DI QUEL CHE LEI PENSA"
Pronti, via, subito schermaglie tra Procura e difesa. Massimo Ciardullo, procuratore CONI, ha contestato tempi e modalità con cui è pervenuto il fascicolo proveniente da Cremona. Sarebbe arrivato tardivamente (nella sera del 22 settembre), peraltro all'indirizzo mail del segretario e non a quello del Collegio. Quest'ultimo, essendo una casella PEC (Posta Elettronica Certificata) può ricevere soltanto da caselle analoghe. Filippo Cocco (energico avvocato di Bracciali) ha replicato dicendo che loro hanno fatto tutto il possibile, premurandosi di far comunque arrivare il materiale, prendendo accordi con il segretario. “Abbiamo fatto il lavoro d'indagine che avrebbe dovuto fare la Procura”. Biagini ha sostanzialmente rigettato l'osservazione di Ciardullo, secondo cui non c'erano stati i tempi tecnici per visionare il materiale. “La Corte li ha avuti: abbiamo ricevuto i file, li abbiamo stampati e poi guardati”. Molto interessante la fase successiva, in cui le difese hanno eccepito sulla legittimità della FIT come parte in causa. L'argomento è stato inaugurato da Chiappero: “Mi occupo di processi sportivi dal 1982 e non mi era mai capitato che una federazione sportiva comparisse come parte in causa davanti a un suo organo. Voi siete la Corte d'Appello della FIT, quindi la presenza della stessa FIT non dovrebbe essere ammissibile. In pratica, la Federazione compare in un processo da essa stessa governato”. La risposta di Biagini è stata una sentenza: “Noi ci sentiamo molto meno 'federazione' di quello che lei pensa”.
SI DECIDERA' SUL MERITO
Massimo Proto ha spiegato che il Codice di Giustizia Sportiva del CONI ha posto l'accento sull'indipendenza degli organi di giustizia federali: per questo, una federazione è perfettamente legittimata a intervenire. Da parte sua, il procuratore Guido Cipriani ha sottolineato che la possibilità FIT di partecipare al processo era già concessa dall'articolo 82 del Regolamento di Giustizia. “Ed era così anche in passato”. Alberto Amadio (altro difensore di Bracciali) ha eccepito, spiegando che lo stesso Codice CONI negherebbe la presenza delle federazioni a un processo endofederale, allegando giurisprudenza in questo senso. Ad ogni modo, Proto è rimasto in aula e Alfredo Biagini è stato chiaro: pur ascoltando le pregiudiziali sul procedimento, ha sottolineato che la decisione sarà presa esclusivamente sul merito. Traduzione: non ci sarà spazio per i cavilli, ma si cercherà unicamente di fare luce sulla vicenda. Il presidente del Collegio, tra l'altro, è stato molto attento a stoppare sul nascere alcune possibili polemiche tra le parti. Abbiamo contato 4-5 interventi di questo tipo.
LO SCOMMETTITORE: “THE MATCH IS OVER”
Ha parlato Matteo Veneri, giovane giornalista che il 19 aprile 2011 si trovava a Barcellona e ha seguito dal vivo buona parte del famoso incontro tra Starace e Gimeno Traver. Veneri si è espresso così: “Ho seguito il primo set, dopodiché mi sono allontanato per seguire altri match. Quando sono tornato, Starace era già in svantaggio nel secondo set e ho notato che stava servendo peggio rispetto al primo set. Mentre rientravo, ho incrociato uno scommettitore dell'est europeo che abbandonava il campo dicendo: “The match is over”. Dopo la partita ho chiesto a Umberto Rianna, all'epoca allenatore di Starace, se il suo allievo avesse qualche problema. Mi ha detto che non stava bene di stomaco”. Massimo Ciardullo ha chiesto un chiarimento sulle quote scommesse. “Lei ha scritto che sono 'impazzite…'”. “Personalmente non le ho viste – ha detto Veneri – anche perché nelle sedi dei tornei è vietato accedere ai siti di scommesse. Su tanti siti e social network, tuttavia, in molti dicevano che non erano coerenti con l'andamento della partita”.
“UN MATCH REGOLARE”
Veneri ha poi aggiunto di aver poi parlato con gli altri giocatori italiani presenti in loco (Fognini, Lorenzi e Vagnozzi). “Mi hanno detto che secondo loro era stata una partita assolutamente regolare. Inoltre ho chiesto a uno scommettitore italiano, che l'anno prima avevo intervistato in forma anonima. Anche secondo lui non era successo niente di strano: semplicemente Starace si sarebbe infortunato e qualcuno, accorgendosene, sarebbe stato più veloce di altri a scommettere, generando l'alterazione delle quote". Gli hanno poi chiesto se ha mai avuto conferme da addetti ai lavori sulla pratica delle partite combinate. “No. All'epoca se ne parlava molto perché l'ATP aveva istituito le figure di personaggi che cercavano fisicamente gli scommettitori in tribuna per poi allontanarli. Se avessi avuto conferme, avrei realizzato uno scoop”.
RAPETTO: “ZERO CERTEZZE”
E' poi intervenuto Umberto Rapetto, ex generale della Guardia di Finanza nonché creatore ed ex comandante del Nucleo Speciale Frodi Telematiche. Se nella passata udienza ci eravamo soffermati sul curriculum di Biagini, definito “impressionante”, quello di Rapetto non è da meno. Basti pensare che la sua consulenza ha permesso di arrestare i cracker che erano penetrati nel sistema informatico del Pentagono ed è riuscito a far incriminare Francesco Schettino nonostante il danneggiamento della scatola nera della celeberrima nave Costa Concordia. Bracciali si è rivolto a lui per una consulenza tecnica sul materiale proveniente da Cremona. Rapetto ha parlato tantissimo, utilizzando tecnicismi non così semplici. Come aveva già espresso nella conferenza stampa tenutasi lo scorso 9 giugno, ha ribadito la sua opinione: a suo dire, manca nel modo più assoluto la certezza (e dunque l'attendibilità) del materiale esaminato. “La normale procedura forense per analizzare i dati elettronici impone il rispetto di passaggi in grado di cristallizzare oggetti, persone, tempi, modi e luoghi coinvolti. Ma l'attività di sequestro riportata nel verbale non è acclusa alla documentazione, dunque non è indicata la catena di custodia a garanzia dell'originalità e dell'integrità dell'origine”. Rapetto ha spiegato che è impossibile attribuire paternità a una mail che – secondo l'accusa – sarebbe stata inviata da Bruni a Bracciali. “Non solo non abbiamo la certezza che non sia stata ricevuta, ma nemmeno che sia partita. Dalle ricostruzioni emergono tre potenziali destinatari, ma non possiamo in alcun modo stabilire se fossero effettivamente loro. Abbiamo a che fare con un frammento elettronico: il testo recuperato riporta effettivamente tre indirizzi senza però notificare né il “TO” né il “FROM” o comunque elementi che identificano il ruolo di mittente, destinatario e di chi riceve per conoscenza”.
“RILIEVO PROBATORIO NULLO”
Questo è un punto misterioso dell'intera faccenda. Nessuno ha mai controllato il computer di Daniele Bracciali. Sembra incredibile, visto che è il maggiore indiziato, eppure l'accusa verte tutta sul materiale (o meglio, sui frammenti di materiale) tratti dal computer di Bruni. Da parte sua, con la consulenza di Rapetto, Bracciali ha 'ibernato' il suo computer in modo da mettere a disposizione lo stato del dispositivo in un determinato momento. “E vi posso assicurare che non c'è assolutamente nulla” ci disse nell'intervista realizzata durante il processo di primo grado. Secondo Rapetto, il materiale ha un rilievo probatorio nullo “visto il mancato riscontro di inoltro, trasmissione e ricezione”. Rapetto ha poi criticato la superficialità delle indagini in merito alle conversazioni Skype, alcune molto famose perché uscite sui giornali. “Se avessero chiesto direttamente a Skype avrebbero potuto dare volto, nome e cognome alle utenze coinvolte. Anche per i nickname condivisi che convergono su più soggetti. Si poteva fare ed era doveroso farlo. E' possibile che la Procura di Cremona si sia limitata a chiedere una semplice estrazione di quei dati”. Interessante la domanda posta da Massimo Proto a Rapetto: “Con i dati che abbiamo, quali sono le cose di cui siamo assolutamente certi?” “Solo una: che sullo schermo erano comparsi quei nominativi” dice Rapetto, dubbioso persino sul fatto che gli indirizzi mail (compreso quello di Bracciali) siano stati fisicamente digitati sulla tastiera. Avrebbero potuto far parte di una rubrica senza mai essere utilizzati. E Skype? "I prospetti prodotti non corrispondono alla rapportistica che il software è in grado di fornire. Tale incompletezza non permette di effettuare una completa identificazione. Si osserva che molti dialoghi sono basati su un relata refero effettuato con un copia-incolla di altre conversazioni”. Quest'ultimo punto è molto importante e va chiarito: nelle chat di Manlio Bruni compaiono messaggi attribuiti a Bracciali, nel senso che l'aretino li avrebbe scritti e poi Bruni li avrebbe inoltrati a terze persone. Tuttavia, tale attività non comproverebbe in alcun modo che tali messaggi sarebbero stati scritti da Bracciali. Il Bruni avrebbe potuto tranquillamente modificarli o addirittura inventarli di sana pianta.
COERENZA SEMANTICA TRA CHAT ED SMS
Hanno replicato i periti nominati dall'accusa, Umberto Rampa e Francesco Macrì. “Non c'è dubbio che manchino diverse informazioni – ha detto Rampa – però è una cosa molto comune. Sembra strano, ma capita spesso che l'informatica non sia in grado di dare l'assoluta certezza". La loro tesi è semplice: nonostante la sostanziale incompletezza dei dati, quelli a disposizione sono tutto sommato coerenti. “I dati si contraddicono? No. Abbiamo trovato una relazione semantica tra le mail e gli SMS”. Sono poi stati elencati gli SMS e le mail che darebbero vigore alla tesi. Sintetizziamo: quel 19 aprile 2011, Manlio Bruni ha mandato degli SMS e delle mail in cui sembra esserci una correlazione logica. Quel pomeriggio, Bruni riceve da Betfair una mail in cui gli comunicano la chiusura del conto e la inoltra a Bracciali. Avrebbe fatto lo stesso 15 giorni dopo. Insomma: i periti di parte accettano le argomentazioni di Rapetto e ammettono che manca la certezza assoluta, ma ritengono che il materiale a disposizione sia sufficiente per fare deduzioni perché esiste un senso logico. E' sembrato di ritrovare il concetto di indizi “gravi, precisi e concordanti” utilizzati dalla sentenza di primo grado. La tesi del materiale informatico non in grado di dare certezze assolute è stata respinta da Rapetto, imboccato da una domanda di Cocco. “Non mi è mai successo. Se le cose vengono fatte bene, non lasciano spazio a dubbi. In questo caso, forse, c'è stata l'incapacità della committenza”. Che si sarebbe accontentata di farsi copiare i dati senza disporre ulteriori approfondimenti. Verbalizzate le testimonianze, Biagini ha disposto una pausa: al rientro sarebbe iniziata la discussione finale, in cui le parti avrebbero svelato i propri assi nella manica e le richieste al Collegio. Al rientro, Chiappero ha presentato l'istanza di rinvio: accolta. Scelta poco coerente con quanto espresso due settimane prima: “Quando finiamo, finiamo…” aveva detto Biagini, facendo presagire una giornata ben più lunga. Invece il volo Fiumicino-Caselle ha rinviato tutto di una settimana. Forse non dispiacerà nemmeno alla Corte, che così avrà il tempo di approfondire l'enorme quantità di materiale depositato. Abbiamo fatto un sincero in bocca a lupo a Biagini, Luigi Supino e Mario Procaccini. Ne hanno un gran bisogno.