EDITORIALE – Lo Us Open di Flavia Pennetta ha un'origine molto lontana: la forza trovata dopo la separazione con Moyà. Per la prima volta, il nostro direttore rivela che avrebbe dovuto essere il ghost writer dell'autobiografia di Flavia. Scrisse i primi capitoli, poi…  

 


Non avrei mai pensato di vedere un giocatore o una giocatrice italiana vincere uno Slam. Ho avuto la fortuna di vederne due e di commentarne una, per Deejay TV, l’ultimo successo di Flavia Pennetta allo US Open. Onestamente, non davo alcuna chance a Flavia (sia inteso, non prima della finale con Robertina Vinci, ma all’inizio del torneo), perché la credevo ormai avviata alla carriera di moglie e mamma, come suppongo sia nei programmi del prossimo futuro.

Carriera che sono convinto avrebbe già avviato se quel mascalzone di Carlos Moya non l’avesse tradita con una starlette della TV spagnola, quando i due parlavano di accasarsi, in quel di Palma di Maiorca.

La storia la conosco molto bene perché sarei dovuto essere il (ghost?) writer del libro poi edito da Mondadori, Dritto al Cuore. L’ho inseguita in mezzo alla neve a Padova durante un’esibizione, mi ha bidonato in un delizioso week-end a Parigi, ho assaggiato con gran piacere le orecchiette di mamma Concita in un paio di giorni passati a Brindisi, parlando con papà Oronzo, la sorella Giorgia, qualche amico visibilmente innamorato, spulciando tra i suoi ricordi di bambina (sì, ho visto anche la foto di un travestimento di Carnevale degna di ricatto morale). Ma soprattutto ho passato con Flavia una settimana al torneo di Bastad. Arrivato tardi per prenotare una camera al bell’hotel ufficiale, mi son ritrovato in una bettola, mezz’ora a piedi dalla sede del torneo. Ogni giorno, quasi di trattasse di una visita dallo psicanalista, Flavia si presentava nella hall alle 17 in punto e ne uscivamo dopo tre ore di racconti, talvolta affascinanti, altre volte molto fanciulleschi.

Uno dei primi temi affrontati fu proprio la sua relazione con Moya; il primo incontro in un casinò australiano combinato da Giorgio Di Palermo, le mezze verità al fidanzato dell’epoca, i sogni di una vita di mamma serena su un’isola da favola, ma soprattutto il momento del crac. Era il 24 luglio 2007. Mi pare ancora di rivivere il racconto: lei che attende la Cibulkova dal toilette-break all’inizio del terzo set di un anonimo match a Bad Gastein, lo sguardo che finisce sullo smartphone, il messaggio di Carlos “Chiamami appena hai finito”, il match lasciato scappare in un amen, coach Urpi con la faccia da funerale e Moya che prova a spiegare: 

"Ma no, Flavia, a casa è tutto a posto, stanno tutti bene".
"Quindi, cosa devi dirmi?"
"Non ti hanno detto niente? Non ti ha chiamato nessuno?"
"Ma di che stai parlando?"
"Mah, niente… Sono uscite delle mie foto su un giornale…"
"Eh beh, che foto?"
"Sono con una mia amica…"
"Che amica?"
"Una di Madrid che era qui ad Amsterdam in vacanza. Ci siamo visti…"
"Ok Carlos, ma che foto sono? State parlando, siete abbracciati?
"Ci stiamo baciando"
“Merda!”.

Quel racconto sentimentalmente tragico continuò con una corsa a Brindisi su una Ford Ka, sempre accompagnata dal fido Urpi che chissà cosa temeva. E poi i farmaci per star tranquilla, il peso che calava e una trasferta americana dove avrebbe rivisto il buon Carlos.

Accadde in una bella serata newyorchese: smammata la sorella Giorgia, i due si incontrarono nella camera d’hotel di Flavia e ricordo una frase che riassume la personalità forte di una ragazza già capace di sconfiggere il tifo e qualche altra disgrazia: 
“Insomma Flavia, dimmi qualcosa… insultami… picchiami…” la implorava il bel Carlos.
“No, Carlos, non dirò mai niente che possa farti sentire meno merda di quello che ti senti ora!”.

Boom. La fine di un amore. Game over. 
Eppure, mi diceva ancora Flavia: “Da quell’esperienza uscii ancora più determinata. Da numero 70 del mondo, in due anni sono diventata la prima giocatrice italiana della storia a entrare nella top 10 mondiale. Ho battuto quattro volte Venus Williams, ho vinto la Fed Cup con l’Italia, ho battagliato con Serena Williams sul campo centrale di New York. 
Ma vuoi vedere che un giorno dovrò pure ringraziarti, señor Carlos Moya?.

A distanza di otto anni Flavia non solo ha trovato un nuovo amore (Fabio Fognini) ma ha compiuto l’impresa più straordinaria per una tennista, entrare nel Club dello Slam, di chi ha vinto un Major.

Il mio rammarico è rimasto non conoscere a fondo altri aspetti della personalità di Flavia. Dopo i primi tre capitoli (peraltro ottimamente giudicati da Andrea Del Monte, curatore dell’edizione per Mondadori), Flavia decise di smettere. O meglio, me lo fece dire da Lavinia, una ragazza che lavorava per la sua società di management, la DAO. Una piccola delusione per chi l’ha inseguita per mezza Europa. L’ho ritrovata dopo qualche settimana all’Harbour Club di Milano, chiesi spiegazioni: “Non mi piaceva lo stile, troppo duro, sembro incazzata, soprattutto per la storia di Carlos, quando invece ormai l’ho superata. E poi, come c**** ti è saltato in mente di cominciare il libro col nome di quella t****”. Forse non era proprio passata del tutto.

Ma grazie a quella t****, di nome Carolina Cerezuela, la nuova sposa e mamma dei figli di Carlos Moya, il tennis italiano, dopo Francesca Schiavone a Roland Garros 2010, ha trovato un’altra Campionessa Slam. Gracias, señor Carlos Moya.