Grazie a Marcelo Melo, il Brasile ha ritrovato un numero 1 ATP. Nonostante cinque partner diversi, ha chiuso l'anno in vetta e adesso sogna una medaglia olimpica. Un giocatore che non incanta, ma sfrutta a dovere le armi più importanti: testa e apertura alare. 

Guga Kuerten non è più solo. Sono passati 15 anni da quando vinse un'esaltante edizione delle ATP World Tour Finals (l'unica mai giocata a Lisbona) battendo Agassi e Sampras e chiudendo l'anno al numero 1 ATP. Oggi il Masters si gioca a Londra e il Brasile non ha mai più trovato un giocatore così forte. Ma Guga non è più l'unico numero 1 carioca: Marcelo Melo si è infilato laddove avevano dominato i gemelli Bryan ed è arrivato in cima al ranking di doppio. Numero 273 in singolare una decina d'anni fa, quest'anno ha trovato la stagione d'oro. Di solito la leadership è riservata a quelli che hanno un compagno fisso. Lui no. Quest'anno ha giocato con cinque partner diversi, anche se ha ottenuto i migliori risultati con il croato Ivan Dodig. Passo dopo passo, ha conquistato i punti necessari per scalzare i gemelloni anche se al Masters ha perso in semifinale dopo quattro vittorie in fila (Tokyo, Shanghai, Vienna e Bercy). Grazie a lui, il Brasile è uno dei sette paesi ad avere avuto un numero 1 ATP sia in singolare che in doppio. Gli altri sono Stati Uniti, Australia, Svezia, Serbia, Repubblica Ceca e Spagna. Melo ha anche un altra caratteristica: con i suoi due metri e tre centimetri, è il numero 1 più alto nella storia dell'ATP. E non è un caso che l'abbiano soprannominato "giraffa". Si è reso conto dell'impresa quando è tornato nella sua Belo Horizonte ed è stato accolto come un eroe. Un eroe che potrebbe diventare leggenda se tra dieci mesi regalerà al Brasile una medaglia olimpica. A Rio de Janeiro lui e Bruno Soares avranno il tifo del pubblico, ma anche tanta pressione. “E' bello avere una pressione di questo tipo. Come minimo, puntiamo alla medaglia d'argento” dice Melo, che ha già incassato i complimenti di Guga Kuerten. I due sono diventati amici una decina d'anni fa, quando Melo ha trascorso un po' di tempo a Florianopolis a casa Guga. Gli faceva da sparring nel suo disperato (e fallito) tentativo di tornare in forma dopo l'ultima operazione all'anca.


POCHI FRONZOLI, TANTA SOSTANZA

Persino Roger Federer si è accorto del cambiamento nel ranking di doppio. “Una cosa del genere non passa inosservata, soprattutto dopo che i Bryan hanno dominato così a lungo” ha detto. Come detto, la particolarità di questa leadership è dettata dal fatto che non ha giocato con un partner fisso, tanto da vincere sei titoli in stagione con tre compagni diversi: Raven Klaasen, Lukasz Kubot e Ivan Dodig. Con il croato si è aggiudicato il Roland Garros, laddove il tennis brasiliamo aveva vissuto grandi emozioni grazie a Kuerten. Battendo i Bryan al termine di una finale durissima (è finita 6-7 7-6 7-5), il carioca si è aggiudicato il suo primo Slam in carriera. Non accadeva dal 2003 che un tennista chiudesse al numero 1 dopo aver giocato con più partner: l'ultimo era stato Max Mirnyi nel 2003. Secondo i gemelli Bryan, la grande qualità di Melo è la tranquillità, unita a un atteggiamento rilassato e positivo. “Lui e Mirnyi hanno in comune la capacità di andare d'accordo con tutti, ed è molto importante per chi gioca il doppio”. Quando ha capito che con il singolare non aveva molte chance, si è migliorato nei fondamentali chiave per la specialità: tira una seconda palla più incisiva, risponde meglio e copre la rete con più efficacia. “In effetti non è un giocatore molto appariscente – ammette Bob Bryan – servizio e risposta non impressionano, però è un giocatore completo che copre bene la rete. Ed è migliorato tantissimo”. Inoltre è super nel gestire i momenti delicati: con Dodig ha chiuso l'anno con un super bilancio nei super tie-break, vincendone 11 su 12.


CON DODIG E' AMCIZIA VERA

“La crescita più importante è arrivata sul piano mentale – dice Jean Julien Rojer, che a Londra ha interrotto la sua striscia vincente insieme a Horia Tecau – riesce sempre a restare calmo sotto pressione. Non si fa mai prendere dal panico”. Il suo schema è semplice: batte e scende a rete. Ma la sua apertura alare lo rende quasi insuperabile, sia con il passante che con il pallonetto. Per questo si sposa bene con il muscolare Dodig, che si è scoperto ottimo doppista ma nutre ancora qualche ambizione in singolare. “Ci completiamo bene perché siamo due giocatori completamente diversi e funzioniamo in diverse situazioni” ha detto il croato, con cui fa coppia da quattro anni. Nel 2013 erano anche andati in finale a Wimbledon. I due sono molto amici ed è servito quando Dodig si è concentrato sul singolare, lasciando perdere il doppio. Non è un caso che quest'anno abbiano giocato appena 13 tornei, numero minore tra le otto coppie presenti al Masters. Oggi "Girafa" si gode la gloria del doppio e un discreto conto in banca (quest'anno, per la prima volta, ha superato il milione di dollari in una stagione), ma da ragazzino aveva ben altre aspirazioni. Mentre Guga spadroneggiava a Parigi, lui vinceva i campionati brasiliani under 16 e under 18 dopo aver mollato il calcio. Ma ben presto ha capito di non aver la classe nè di Kuerten, ma nemmeno di un Mattar, un Oncins o un Cassio Motta. Così ha scelto il doppio e nel 2009 ha raggiunto la finale del misto al Roland Garros. Fu una bella rivincita dopo che nel 2007 era stato sospeso due mesi per doping: il tribunale stabilì che aveva inavvertitamente ingerito uno stimolare. “Non è stato un bel momento, ma mi ha aiutato a diventare ancora più forte”. Oggi è diventato il più forte. Un'emozione che nessuno gli porterà via.