A marzo Inigo Cervantes era numero 258 del mondo, nove mesi più tardi festeggia i 26 anni sulla poltrona numero 72, dopo il trionfo di domenica alle ATP Challenger Tour Finals. “Due anni fa ero in sedia a rotelle dopo due operazioni, ora mi sento in paradiso”.L’ultima cartolina della stagione 2015 rimarranno le lacrime di Andy Murray a Ghent, ma anche il sorriso di Inigo Cervantes a San Paolo, e la sua t-shirt con stampata una scritta in basco: “Zuentzat amona eta izeba”. Tradotto: “per voi, nonna e zia”. Una dedica normale per un ragazzo normale, che di Murray fa lo stesso mestiere ma con il britannico non aveva altro in comune fino a ieri, quando gli è finito accanto nell’homepage del sito ATP. A poche ore dal trionfo del ‘Brit’ in Coppa Davis, lo spagnolo ha messo la firma sulle Challenger Tour Finals, il Master del circuito minore ATP, coronando una stagione iniziata da numero 251 e terminata abbondantemente dentro i top 100, alla posizione numero 72. Il modo migliore per farsi gli auguri di compleanno, il ventiseiesimo, proprio all’indomani del trionfo sulla terra battuta indoor dell’Esporte Clube Pinheiros. Una vittoria che sui quotidiani sportivi spagnoli ha raccolto sì e no qualche riga, ma merita la sua fetta di attenzione. Perché mentre della storia felice di Murray tutti sanno tutto, il suo percorso nel circuito è molto meno noto perché più complicato, ma forse ancor più bello. È la storia di chi suda quindici anni per raggiungere un traguardo, ma appena lo intravede deve combattere con la sfortuna. A lui è successo nel 2012, quando è arrivato alla posizione numero 130 e si è regalato la gioia più inattesa di tutta la carriera: una vittoria a Wimbledon. “Non avrei mai pensato che la mia prima vittoria nel circuito maggiore sarebbe arrivata sull'erba”, raccontò incredulo. Invece ci è riuscito a modo suo, lasciando perdere la strada più facile come aveva deciso da bambino, quando seguire le orme di papà Manuel (ex portiere di varie squadre della Liga) pareva scontato, ma lui preferì cercar gloria altrove, pur con un quarto del talento di Rios e nulla a che vedere con Hewitt, i suoi due modelli.
QUATTRO OPERAZIONI IN OTTO MESI
In quell’edizione dei Championships si qualificò per il main draw dopo aver rimontato due set al canadese Chvojka, e saltellò sull’erba di Church Road dopo averne recuperati altri due a Flavio Cipolla al primo turno. L’avrebbe fermato due giorni dopo Mikhail Youzhny, ma non bastò per togliergli il sorriso. Quello se ne andò verso fine stagione, dando il cambio ai problemi: prima un gomito, poi le entrambe anche, quindi il tendine d’Achille. Risultato: quattro operazioni in otto mesi, e appena quattro tornei giocati dal settembre 2012 al marzo 2014. Si è trovato senza ranking Atp e senza aiuti, costretto a ripartire dalle qualificazioni dei Futures, in mezzo a un fitto gruppo di giocatori che lotta per un treno che probabilmente non passerà mai. Lui invece l’aveva visto e ci aveva pure messo un piede sopra, sapeva di poter ritrovare il binario giusto e non ha mai perso la speranza. Nemmeno a inizio 2015, quando nei primi cinque tornei ha vinto un solo match, e allora ha ripiegato di nuovo sui Futures, arrivando a due punti dalla sconfitta contro il ceco Filip Dolezel, numero 1.603 del mondo. Si è fatto aiutare da un mental coach, ma l’ha presto abbandonato. Troppo testardo per ascoltare qualcun altro al di fuori di coach Javier Ferrer (fratello di David), col quale si allena a Javea. Ha tenuto duro, e ne ha avuto ragione qualche mese dopo, fiorendo in primavera. Ad aprile è tornato a vincere un Challenger dopo quattro anni, a maggio ha fatto il bis e a giugno il tris, inserendo la quinta nel suo percorso d’avvicinamento ai top 100. Il tassello che mancava l’ha posizionato con la finale a Montevideo, salendo alla posizione numero 98, e a San Paolo ha fatto il capolavoro, diventando il primo a vincere le Challenger Finals da imbattuto, con tanto di due match-point annullati in finale a Daniel Munoz-De La Nava. Nel tie-break del terzo set, sul 4-3 per il connazionale, gli ha dato una mano il nastro, togliendo al rivale un punto pesantissimo, come se la sorte avesse voluto farsi perdonare di ciò che gli aveva tolto qualche anno fa.
BASTA CONTI COL PORTAFOGLIO
Con le cinque di San Paolo, il tennista basco ha tagliato il traguardo delle 50 vittorie stagionali a livello Challenger, risultato che nella storia del circuito era riuscito ad appena due giocatori: Boris Pashanski nel 2005 e Carlos Berlocq nel 2010. “Questi numeri spiegano quanto sia stata buona la mia stagione. Due anni fa ero su una sedia a rotelle dopo la doppia operazione alle anche, non potevo giocare a tennis e nemmeno camminare. Oggi posso pormi nuovi obiettivi, sempre più importanti, e festeggiare il mio best ranking”. Il balzo in classifica fa tutta la differenza del mondo. Significa potersi presentare a gennaio da giocatore del circuito maggiore, dove c’è la fama e girano soldi importanti: un sogno per chi solo qualche settimana fa doveva ancora fare i conti con il portafoglio durante ogni torneo. “Per sopravvivere a livello Challenger è necessario giocare le gare a squadre, in Francia o in Germania, e non sempre ci si può portare il coach”, raccontava a giugno in un intervista. Ora, almeno per un po’, ‘Cervan’ può fare a meno di pensarci, visto che ha appena incassato l’assegno più ricco della sua carriera: 91.200 dollari, con un’altra quarantina ad attenderlo nel primo mese dell’anno, anche se dovesse restare a secco di vittorie. Ma c’è da scommettere che ci proverà fino in fondo, con le motivazioni di chi ha combattuto anni e anni per calpestare certi campi, e la tranquillità di chi vuole solo godersi la nuova vita da top 100, sperando duri il più a lungo possibile. Se all’inizio non arriveranno le vittorie saprà portare pazienza. L’ha imparato nel 2013, quando ha visto il campo appena tre volte.
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