Un campionato interno americano ha liberalizzato il comportamento del pubblico: libertà di urlare, tifare e cantare. Il progetto è piaciuto, anche se ci sono state alcune derive becere. Il tennis internazionale può pensare di fare qualcosa del genere? 

“Come è possibile che un battitore di baseball possa tirare una palla a 150 km/h con 80.000 persone che urlano, e un tennista non possa giocare una volèe se uno spettatore starnutisce?”

 

Fu una delle tante provocazioni nell'articolo-cult apparso nel 1994 su Sports Illustrated, in cui ci si domandava se il tennis “stesse morendo”. La storia ha dato clamorosamente torto alle visioni apocalittiche dell'epoca, ma non c'è dubbio che quella frase sia ancora valida. Nel tennis deve esserci silenzio. Silenzio assoluto. Nel 1994 Guillermo Nunez non era ancora nato. Il cileno ha avuto una splendida carriera junior (top-10 ITF un paio d'anni fa) ma non è andato oltre la 673esima posizione del ranking ATP. Oggi è uscito dai primi 1.000 e ha scelto di andare al college. Gli hanno insegnato un certo tipo di tennis, un certo tipo di comportamento. E quest'anno ha giocato il “Big 12 Tennis Championships”, evento tra alcune università americane, in cui gli organizzatori hanno lasciato campo libero agli spettatori. Cori da stadio, urla, balli, coreografie. Tutto consentito, anche durante il gioco. A Waco, in Texas, il tennis è diventato esattamente come il calcio, il baseball o il basket. Il clima goliardico delle università statunitensi ha accolto con piacere la novità, ma non tutti hanno apprezzato. Alcuni allenatori, per esempio, non hanno apprezzato la deriva “ultras”, in cui i tifosi hanno attaccato verbalmente i giocatori. Durante una partita, Nunez è stato preso di mira addirittura in spagnolo. “Lo facevano in qualsiasi momento – ha raccontato a ESPN il 20enne cileno – sia durante il gioco che ai cambi di campo. Urlavano di tutto, sia cose divertenti che fastidiose”. Ma lui, col suo temperamento latino (non è che i tifosi cileni siano esattamente moderati…) si è adattato e ha completato un buon record di 25 vittorie e 5 sconfitte in stagione. “E' un ambiente incredibile, mi piace. Non avevo mai giocato in un clima del genere, con così tanto pubblico. E' come la Coppa Davis”. La pensa così anche il suo compagno di squadra Will Stein. “C'è molta confusione, ma tutto questo è divertente ed esaltante. Preferisco così piuttosto che giocare in un clima deprimente, senza nessuno a vedermi”.


"ALMENO 1.000 PERSONE IN TRIBUNA". OBIETTIVO RAGGIUNTO

La regola si chiama “Big 12 Tennis Decorum Policy” ed è entrata in vigore nel 2015. L'input è semplice: “Gli spettatori possono comportarsi secondo gli stessi principi degli altri sport”. In due parole, il pubblico è autorizzato a cantare e fare il tifo senza nessuna limitazione. Tale norma è stata definita la “Regola Roditi” in onore a David Roditi, allenatore della TCU di Forth Worth, l'Università Cristiana del Texas. Roditi ritiene che il tifo possa richiamare tanti appassionati verso uno sport generalmente ignorato. In realtà, era solo uno dei cinque elementi del comitato che ha proposto la regola. “Però è vero che sono stato quello che l'ha caldeggiata più di tutti”. A suo dire, per le prossime stagioni dovrebbero esserci alcune modifiche per evitare che il pubblico diventi troppo aggressivo, negativo…in altre parole, “calcistico”. Al contrario, si è detto più che soddisfatto degli effetti benefici: hanno partecipato al Big 12 Tennis sei team NCAA e cinque compresi tra i migliori 100 negli Stati Uniti. Quando è stato assunto come capo allenatore della TCU nel 2010, ha subito impostato un obiettivo: portare almeno 1.000 persone a vedere le partite. Con il marketing tradizionale (omaggi al pubblico, ingresso dei giocatori in stile NBA o IPTL) ha portato la sua squadra ad essere la più seguita del paese, e nel 2014 in tre occasioni hanno superato le 1.000 persone. Quest'anno, oltre 2.000 spettatori hanno assistito al big match contro Texas a metà aprile. C'è il suo zampino anche nella nascita di un gruppo organizzato, denominato “Purple Reign”. Trenta studenti che hanno fatto un baccano infernale, ma senza essere aggressivi o volgari verso gli avversari. Si è creato un interessante circolo virtuoso: più pubblico vuol dire più risorse, impianti migliori e una forte spinta nel reclutamento. “Credo che a ogni 18enne piaccia giocare con 250-300 persone e un bel po' di ragazze a osservarlo” chiosa Roditi, sincero amante dell'intrattenimento legato al tennis. “Di certo non mi piace la vecchia concezione secondo cui bisogna stare in silenzio, mangiando panna e fragole”. La stoccata a Wimbledon è servita. La pensa come lui anche Matt Knoll, responsabile della Baylor University, la stessa dove è cresciuto Benjamin Becker. Da parte sua, ha ribadito il concetto espresso vent'anni fa da Sports Illustrated: “Se un cestista può tirare un tiro libero con 15.000 persone che agitano le braccia, non vedo perché un tennista non possa tirare una seconda di servizio in un contesto simile”.


UN MODELLO DIFFICILE DA ESPORTARE

La controindicazione è chiara: oltre a un tifo chiassoso ma sereno, è arrivato anche il becerume. Alcuni allenatori, come Michael Center (Texas) hanno detto che non avrebbero mai appoggiato la regole se avessero immaginato le possibili derive. “Non credo che si possa andare avanti come quest'anno, il clima è diventato antisportivo. In generale tante partite sono andate bene, ma credo che non faccia piacere a nessuno avere un pubblico che ti insulta, o nella migliore delle ipotesi ti dice che il tuo dritto fa schifo o che commetterai doppio fallo”. In particolare, quando Baylor ha fatto visita a Texas, alcuni tifosi “ospiti” hanno dato il peggio di sé: “Non hanno fatto altro che attaccare e insultare per tutta la partita”. Il capitano avversario gli ha dato ragione, ma nel complesso continua ad essere favorevole a questa regola. Il linea di massima il progetto è piaciuto, tanto che alcune franchigie hanno fatto visita al TCU, a Forth Worth, per capire cosa si poteva imitare. A Santa Barbara si sono addirittura inventati i “disturbatori umoristici”, i quali hanno creato un clima da Coppa Davis, sia pure senza eccedere. La norma ha funzionato, anche se non è stata estesa ai campionati NCAA veri e propri. Nel 2016 la modificheranno, ma resterà in vigore: “Perché in quelle 2-3 ore ti senti importante, come i campioni che vedi in TV. E' una splendida sensazione” ha chiuso Roditi. Tutto ok, ci mancherebbe. Ma il tennis vero, quello internazionale, sarebbe in grado di tollerare il “liberi tutti” per il pubblico? In certi paesi del mondo, probabilmente, sarebbe un disastro. Però il tempo passa e forse è giusto che anche il tennis sappia rendersi più interessante per il pubblico. Senza esagerare, ci mancherebbe. I tifosi organizzati delle squadre francesi possono essere un punto di partenza, soprattutto nella linea di condotta, per dare un po' di colore a un pubblico che da oltre un secolo – va detto – si crogiola in uno snobismo a volte eccessivo.