L’INTERVISTA – Liudmila Samsonova, 17 anni, è nata nei pressi del Polo Nord ma gioca per l’Italia, dove vive fin da piccolissima. Sul suo tennis ha scommesso pure Riccardo Piatti, ma lei non ha fretta. Anche se gli obiettivi sono importanti: “mi vedo fra le top ten”.Per i professionisti azzurri, l’Australian Open di singolare si è concluso prima della seconda settimana. L’allarme ricambi fa paura, ed è per questo che vale doppiamente la pena dare uno sguardo al torneo juniores, dove potrebbero esserci in gara i nostri futuri assi di domani. Non è andata benissimo nemmeno lì, anche a causa di un sorteggio poco benevolo per gli azzurrini, ma insieme a quattro sconfitte è arrivata anche una vittoria interessante. L’ha colta Liudmila Samsonova, a segno 6-7 6-1 6-4 contro la terza testa di serie del torneo femminile: la canadese Charlotte Robillard-Millette. La scorsa settimana ci aveva perso nettamente, l’aria di Melbourne l’ha aiutata a prendersi una gustosa rivincita. In attesa di rivederla in campo (e su Eurosport Player) nella giornata di martedì contro la wild card australiana Violet Apisah, per conoscerla meglio vi riproponiamo la nostra intervista dello scorso dicembre.
“Non avere tempo per uscire con gli amici? Onestamente non me ne importa nulla”. Basta una frase per definire Liudmila Samsonova, 17 anni, una delle principali speranze per il futuro del tennis azzurro. Già, perché a dispetto delle origini da individuare nei pressi del Polo Nord, e ai – 51 gradi di quell’11 novembre 1998 quando papà Dimar e mamma Svetlana hanno festeggiato la nascita della loro primogenita, da oltre un anno ‘Luda’ gioca per l’Italia, dove la famiglia si è trasferita quando lei aveva solo un anno. Vedendola giocare si direbbe che è cresciuta sul ghiaccio in qualche palestrone dell’ex URSS, con un sergente a farle da coach. Invece Liudmila (Ludmilla per ITF e WTA, “ma solo perché hanno registrato male il mio nome”) ha iniziato a giocare a Torino, prima che Riccardo Piatti scommettesse su di lei portandola a Bordighera, probabilmente affascinato da un braccio che non si vede così spesso. C’è da costruire tutto il resto ma la materia prima è di alta qualità, con un mix affascinante fra la parte buona della Russia, che significa rigore, disciplina e un fisico importante, e la parte buona dell’Italia: simpatia, allegria e un sorriso contagioso.
Cosa ci fa, una giocatrice nata al circolo polare artico, a Bordighera?
La mia famiglia si è trasferita in Italia quando avevo un anno e due mesi, per il lavoro di mio padre. Era un giocatore professionista di tennis tavolo, e venne ingaggiato da una squadra di Torino, così ci trasferimmo in Italia, in Valle d’Aosta. A mio padre, che ora fa l’allenatore, sarebbe piaciuto se avessi continuato sulla sua strada, ma praticare tennis tavolo in Italia non è facile. Così quando intorno ai 6 anni ho scoperto il tennis mi è piaciuto e ho continuato. Mi allenavo a Torino, poi a 11 anni ho fatto uno stage di due giorni con Riccardo Piatti, che poi mi ha invitato a Bordighera. Quindi tutta la mia famiglia si è trasferita a Sanremo. Mi alleno col team di Piatti, siamo un gruppo di ragazzi molto affiatati. Noi ragazze siamo seguite da Giulia Bruschi, mentre i maschi sono allenati da Andrea Volpini.
Giochi per l’Italia da metà 2014, hai il passaporto italiano?
No, quello lo potrò richiedere e ottenere solo dopo i 18 anni, però ho la cittadinanza, grazie alla quale posso giocare per l’Italia. Sinceramente mi sento russa, però ci tengo molto all’Italia e a rappresentarla. Il mio futuro lo vedo in Italia e con l’Italia.
Nel 2014 hai vinto un titolo ‘pro’ a Roma, mentre nel 2015 a livello ITF non hai combinato granché, perdendo la classifica WTA e preferendo l’attività juniores. Come mai?
C’era l’obiettivo di disputare i tornei juniores del Grande Slam. Secondo me, per il futuro, è importante giocare anche i tornei giovanili: sono esperienze diverse, ma servono. Per questo ci riproverò anche l’anno prossimo. Cercherò di alternare un po’ di più i tornei da 10.000 dollari con l’attività juniores, ma l’obiettivo rimangono gli Slam. A gennaio andrò in Australia per l’Australian Open (è una delle tre top 100 italiane nel ranking giovanile, insieme a Bianca Turati e Beatrice Torelli, ndr), e poi spero di riuscire a giocare anche gli altri tre Major, in tabellone. Lo scorso anno ho giocato le qualificazioni a Parigi e Wimbledon ma senza superarle. Mi è dispiaciuto tanto per Wimbledon, è il mio torneo dei sogni, ma le qualificazioni si giocano da un’altra parte. Se mi fossi qualificata avrei potuto giocare all’All England Club, invece ho perso al turno decisivo. Ho vinto il primo set 6-0, poi ho perso 6-1 6-1.
Sappiamo che Piatti è un po’ il tuo mentore, che crede molto in te. Vero?
Mi sembra di sì (ride, ndr). Mi segue sin da quando ero piccola, mi ha aiutato tanto, abbiamo contatti molto frequenti, ci vediamo spesso. Mi piacerebbe molto in futuro poter lavorare direttamente con lui.
Fuori dal campo che ragazza sei? Nei tuoi interessi, sulla scheda dell’ITF, c’è scritto ‘singing’, cantare. Ti vedremo a X-Factor?
No, nulla di professionale. Mi piace, lo faccio per me stessa, mi rilassa. Per il resto, mi piace stare a casa coi miei genitori o mio fratello, visto che li vedo molto poco. E magari uscire per andare al cinema. Poco altro. Non guardo tantissimo nemmeno il tennis.
Però avrai un modello…
Sì, sicuramente Maria Sharapova. Mi piace molto, cerco di ispirarmi a lei, mi piacerebbe imitare i suoi risultati. Non ho avuto la fortuna di conoscerla, però una foto insieme l’abbiamo fatta.
Magari gli Slam, nel 2016, possono essere l’occasione giusta…
Magari. Ma ho sentito dire che non parla molto con gli altri giocatori.
Si parla sempre dei sacrifici che i giovani come te devono fare. Quali sono questi sacrifici?
Secondo me non ce ne sono. Se a uno piace così tanto ciò che fa, dei sacrifici non se ne accorge. Io penso di non averne mai fatti. Alcuni li considerano sacrifici ma per me non lo sono. Come non avere tempo per uscire con gli amici: onestamente di quello non me ne importa nulla (ride, ndr). La cosa importante è recuperare bene per allenarsi di nuovo il giorno dopo.
Frequenti ancora la scuola?
Sì, normalmente ci vado 2 o 3 volte la settimana, ma ora che sono a casa ci sto andando di più. Sono in quarta, in un liceo linguistico privato, con gli esami a fine anno. Mi manca ancora un anno e mezzo, poi nel 2017 avrò la maturità.
Nata da genitori russi e cresciuta in Italia. Cosa hai preso dell’una e dell’altra cultura?
Di russo sicuramente la disciplina, che è un po’ diversa rispetto all’Italia. Anche nelle cose più semplici, come la puntualità di presentarsi sempre in anticipo agli allenamenti, andare a dormire presto e quant’altro. Sono stata educata così. Dell’Italia invece ho perso l’allegria, la simpatia, il modo di essere fuori dal campo. In campo invece mi sento più russa, ho uno stile differente da quello delle altre giocatrici italiane, assomiglia di più a quello delle tenniste dell'Est. Mi piace un sacco essere diversa.
Anche se hai detto di sentirti di più russa, Pennetta e Vinci sono state un’ispirazione?
Eccome. Sono la dimostrazione che se ci si crede sempre si può arrivare in alto. Prendiamo una come la Vinci: nessuno avrebbe mai pensato di vederla in finale allo Us Open o battere Serena Williams, invece ci è riuscita. Bisogna crederci e lavorare duro.
Ti stai muovendo in questo verso?
Sì, anche se quest’anno mi è mancata parecchio la fiducia, come si è visto nei risultati. Ma il lavoro c’è sempre stato. Avevo troppe aspettative da me stessa, non le ho raggiunte e il morale è sceso.
Ti abbiamo visto ben figurare in Serie A1 col Tc Genova. A una giovane come te, a cosa serve il campionato?
Si tratta di un’esperienza utile, da fare, perché ho giocato in squadra solamente con compagne più grandi, con più esperienza. Mi posso allenare con loro, posso imparare tanto. E poi stare in squadra è molto divertente. Il campionato mi è servito un sacco, come giocatrice mi sento più sicura.
In finale hai fatto match pari contro la Camerin per due ore, arrivando a condurre 6-1 3-1. Cosa ti manca per vincere anche gli ultimi tre game in partite come quella?
In questo caso penso di aver giocato un'ottima partita. Alcuni mi hanno detto che avrei dovuto vincerla, altri mi hanno chiesto come mai non l’abbia vinta. Secondo me è normalissimo, anzi, è giusto che io non riesca ancora a vincere contro giocatrici come la Camerin. Mi manca tanta esperienza, non sapevo come gestire la situazione, il punteggio, cosa fare nel momento giusto.
Però come tennis hai mostrato qualità impotanti…
Come tennis e fisico mi sento bene. Quello che serve è star bene di testa e fare esperienza. Dal punto di vista del gioco penso di dover imparare a gestire punti e situazioni, infatti anche in allenamento facciamo tanti match, per avere a disposizione varie situazioni e capire meglio il gioco. Atleticamente invece stiamo lavorando sulla resistenza, che è il mio punto debole, mentre mentalmente sto cercando di gestire sempre meglio l’ansia prima e durante le partite.
Che obiettivi ti sei posta per la tua carriera?
Io ho sempre detto di voler diventare la numero uno del mondo, e ci credo. Tanti dicono che è una follia pensare così, ma io ci voglio credere. Poi vedremo.
Quanto pensi di metterci per arrivare alla piena maturazione?
Se lavoro correttamente e senza infortuni, penso di essere pronta intorno ai 22-23 anni. Quella potrebbe essere l’età giusta. Ho sempre avuto molta fretta, poi crescendo ho imparato che ogni cosa ha il suo tempo. Non serve avere fretta.
E a questi 22-23 anni, dove ti vedi?
Fra le prime 10. Non saprei dire perché, ma mi ci vedo. E lo spero.
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