L'hanno già definita una scelta “grottesca ed immatura”. Per tutto il 2016, Gael Monfils non parlerà con i giornalisti. Ma il francese tiene al suo portafoglio, dunque limiterà il silenzio stampa alle sole richieste di intervista. Alle conferenze stampa post-partita ci andrà eccome, visto che sono obbligatorie. Per ogni conference saltata scatta una bella multa. Tenendo conto che uno come Monfils potrebbe tenerne 30-40 all'anno, ha pensato bene di non fare il difficile. Per il resto, bocca cucita. Lo ha scoperto a Melbourne il freelance francese Arthur Pralon. Ha avvicinato Monfils dopo un allenamento e ha ricevuto un cortese diniego, anche solo per cinque minuti di chiacchiere. Il silenzio stampa è esteso anche al suo coach, lo svedese Mikael Tillstrom, pure lui su richiesta di Monfils. “Niente più chiacchiere con i giornalisti al di fuori delle conferenze stampa – ha detto Monfils, che non ha voluto dare ulteriori spiegazioni – semplicemente è il mio nuovo modo di operare”. I francesi l'hanno presa male e hanno ottime ragioni, nel senso che un professionista di quel livello ha una serie di obblighi, non solo istituzionali ma anche morali. Questi ultimi sono ancora più importanti perché ne costruiscono l'immagine e la reputazione. La comunicazione è parte integrante del lavoro di un giocatore, e una scelta del genere è una mancanza di rispetto verso gli addetti ai lavori. Pensate ai giornalisti francesi che si sono recati in Australia, dall'altra parte del mondo, e non possono parlare con uno dei loro giocatori più forti…
IL SISTEMA FUNZIONA?
Forse Monfils ritiene di guadagnare abbastanza (o di aver guadagnato a sufficienza) da potersi permettere di minare la sua immagine e il suo valore economico. E' un ottimo giocatore, spettacolare, fantasioso, spesso riesce ad attirarsi le simpatie del pubblico, ma questa scelta rischia di cambiare le cose. Per adesso saremo costretti a descrivere le sue azioni senza il supporto delle sue parole. Ad esempio, possiamo raccontare che sta piuttosto bene. Gli acciacchi patiti durante l'IPTL sono passati. A Melbourne si è allenato con Stan Wawrinka e ha anche fatto un cesto di servizi al termine della seduta, sempre sotto la guida di Tillstrom. “Mi spiace, non ho niente contro di te, ma ho deciso di cambiare il mio atteggiamento con la stampa. Quest'anno non sarò molto loquace” ha detto a Pralon, spiegando che anche le conferenze stampa post-match saranno piuttosto brevi, non più di cinque minuti. In Francia si stanno già chiedendo quanto durerà questa scelta. Monfils è un tipo originale, anche divertente, e potrebbe cambiare idea da un momento all'altro. Questa scelta pone nuovamente l'accento sul difficile rapporto tra giocatori e stampa, o meglio sulle rigide norme che non danno una mano né agli uni né agli altri. Le conferenze stampa sono spesso noiose e banali, ma i giocatori ci vanno perché non vogliono pagare multe. E occupano tempo che potrebbe essere speso per altre attività di comunicazione, magari più interessanti e senza l'occhio vigile dei media manager ATP-WTA, presenti a qualsiasi intervista. Tempo fa, Andy Murray disse (o meglio, scrisse) che non ne poteva più delle conferenze stampa. Ma finché ci sono le multe di mezzo, tutti si fanno andare bene la situazione. E così, questo diabolico sistema ci restituirà il Monfils banale, peggiore e noioso, privandoci di quello più interessante. Non sarebbe stato meglio il contrario?