Le motivazioni del Collegio di Garanzia CONI, che ha rispedito al secondo grado il caso Bracciali-Starace, non convincono appieno. Si invoca lo stesso grado di certezza della colpa già considerato dalle precedenti sentenze, ma con interpretazioni diametralmente opposte. 

Non vorremmo essere nei panni dei tre giudici della Corte Federale di Appello che saranno chiamati a decidere sull'eterna vicenda Bracciali-Starace. A poco meno di due mesi dall'udienza, il Collegio di Garanzia del CONI, ente supremo della Giustizia Sportiva nazionale, ha pubblicato le motivazioni della decisione già espressa lo scorso 16 dicembre: tutto da rifare. Due gradi di giudizio gettati nel cestino e processo che ripartirà dalla Corte Federale di Appello, la stessa che aveva assolto Starace e squalificato Bracciali per 12 mesi (oltre a una sanzione pecuniaria). La vicenda è nota: i due tennisti sono accusati di aver alterato una partita (Starace-Gimeno Traver al torneo ATP di Barcellona 2011) allo scopo di guadagnare soldi tramite le scommesse. Su di loro pendono sospetti (mai sfociati in accuse vere e proprie) anche su altri incontri. Il Collegio del CONI, presieduto dall'ex Ministro degli Esteri Franco Frattini, ha accolto uno dei motivi d'impugnazione proposti dalle varie Procure (quella Generale dello Sport, nonché quella della FIT) rispedendo gli atti al precedente grado di giudizio. Con la pubblicazione della sentenza, adesso sappiamo perché. Si tratta di un documento di 9 pagine che riassume il breve iter processuale e liquida le motivazioni in pochissime pagine. A nostro parere, tuttavia, non facilita il compito di chi sarà chiamato a decidere. Vedremo perché. Ecco come si è sviluppato il tutto.

 

28 ottobre 2015. Arriva il ricorso di Daniele Bracciali contro la sentenza di secondo grado. I legali dell'aretino chiedono l'annullamento dell'intero processo sportivo per due ragioni: l'estinzione del processo di primo grado, che sarebbe durato oltre i 90 giorni previsti dal protocollo (è partito il 13 aprile 2015, si è concluso il 6 agosto). La dilazione fu dovuta alle richieste di sospensione di Luigi Chiappero, avvocato di Starace. I legali di Bracciali ritenevano che tali sospensioni non avrebbero dovuto riguardare il loro assistito. In secundis, chiedevano l'avvenuta prescrizione delle infrazioni a carico dello stesso Bracciali.

 

6 novembre 2015. E' il momento delle Procure. Anche loro attaccano la sentenza di secondo grado, ma in senso opposto. In primis hanno chiesto che fosse comminata la radiazione (e le relative sanzioni pecuniarie) già decretata in primo grado, poiché non erano necessari “ulteriori accertamenti di fatto”. In via subordinata, chiedevano quel che poi è successo: rinvio della vicenda all'organo “che ha emesso la sanzione impugnata, enunciando specificatamente il principio al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi, conformemente a quanto esposto nei motivi di impugnazione sopra articolati”. Come vedremo, questo è un punto chiave. Una settimana dopo, le Procure hanno presentato un'ulteriore memoria in cui giungevano alle stesse conclusioni.

 

16 novembre 2015. E' il momento della FIT, rappresentata da un legale nei precedenti gradi di giudizio, in quanto si è sempre ritenuta parte lesa in tutta questa storia. La Federazione Italiana Tennis ha chiesto il rigetto del ricorso di Bracciali perché “inammissibile e comunque infondato”. In via subordinata, anche loro chiedevano il rinvio alla Corte Federale di Appello.

 

16 novembre 2015. Si costituisce anche Starace, che definisce “inammissibile e/o irricevibile" il ricorso delle Procure, mentre nel merito ritiene “manifestamente infondato” il primo motivo di ricorso della Procura.

 

4 dicembre 2015. I legali di Bracciali e Starace hanno chiesto che i vari ricorsi, sia della FIT che delle Procure, fossero ritenuti inammissibili e/o infondati. Alberto Amadio e Filippo Cocco, legali di Bracciali, si sono soffermati sul ricorso FIT, definito “tardivo” e comunque senza il versamento del contributo di giustizia.

 

Con tutte le carte in mano, e a seguito dell'udienza tenutasi il 16 dicembre 2015, il Collegio di Garanzia CONI si è potuto esprimere, sostanzialmente in quattro punti.

  1. Rigetto totale del ricorso di Bracciali. L'estinzione del processo non è sopraggiunta perché le varie sospensioni sono state richieste da un difensore. I giudici sostengono che entrambi gli imputati abbiano tratto giovamento dalle sospensioni, ed è del tutto irrilevante il fatto che a chiederle sia stato il solo Chiappero. Il secondo motivo di ricorso (l'avvenuta prescrizione dell'illecito) non è stato preso in considerazione perché è stato sollevato per la prima volta in terzo grado di giudizio. E comunque sarebbe stato assorbito dalle decisioni successive.

  1. Parziale accoglimento dei ricorsi delle Procure. Disco rosso per i legali di Starace, che avevano ritenuto inammissibile il ricorso contro il loro assistito perché i regolamenti sportivi non ammetterebbero impugnazione per condanne inferiori ai 90 giorni. Il collegio sostiene che si tratta di una “mera interpretazione letterale dell'articolo 54 del Codice di Giustizia Sportiva e dell'articolo 12 dello Statuto CONI”, il cui scopo è quello di evitare il coinvolgimento del Collegio per faccende di poco conto. Secondo i giudici, se fosse corretta l'interpretazione di Chiappero e Maina, passerebbe il concetto di “non ricorribilità” per le sentenze di assoluzione o comunque molto leggere. Il ragionamento è corretto: tuttavia, sarebbe opportuno modificare gli articoli sopracitati, renderli più chiari ed evitare diatribe interpretative.

  1. Il punto più importante, forse decisivo per quello che accadrà. Si parla del grado di prova necessario per ritenere avvenuto l'illecito. Vale la pena riportare le parole esatte della sentenza. “Contrariamente a quanto indicato dalla Corte Federale di Appello, è principio consolidato della Giustizia Sportiva che lo standard probatorio non si spinge sino alla certezza assoluta della commissione dell'illecito (…) nè al superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. La sua definizione prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale principio vigente nell’ordinamento deve assegnarsi una portata generale; sicché deve ritenersi adeguato un grado inferiore di certezza, ottenuto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire un ragionevole affidamento in ordine alla commissione dell’illecito”. In altre parole, si discorre nuovamente sul grado di certezza necessario per ritenere colpevoli gli imputati. Secondo il Collegio non è necessaria l'assoluta certezza ma è comunque necessario un grado di prova superiore al “più probabile che non” definito in primo grado e che aveva fatto imbestialire le difese, ma comunque inferiore al superamento di ogni ragionevole dubbio. Semplifichiamo in modo banale: non è sufficiente il 51%, ma non è necessario il 100%. Con un 75% si può procedere alla condanna. Tuttavia, lascia perplessi l'affermazione “contrariamente a quanto indicato dalla C.F.A.”. Se andiamo a rileggere la sentenza di secondo grado, a pagina 47 si dicono esattamente le stesse cose! Nella loro sentenza, il trio Biagini-Procaccini-Supino, scrive testualmente: “Dalle dichiarazioni degli indagati, in realtà, non può ritenersi che in base alla teoria generale della prova sussistano quei requisiti concorrenti di cui sopra si è dato conto (ragionevolezza, logicità, puntuale verosimiglianza, oggettività, specificità, non apoditticità e riscontrabilità), che pure debbono essere rispettati, anche secondo la giurisprudenza del TNAS affiché possa dirsi provato un comportamento violativo dei precetti dell'ordinamento sportivo pur in presenza del particolare standard probatorio che non richiede la certezza del compimento del fatto oltre ogni ragionevole dubbio, ma impone sempre un grado di prova superiore alla semplice valutazione della probabilità". Insomma, sembrerebbe crearsi una situazione paradossale. Il collegio dice alla corte d'appello che deve rifare il processo, ma si raccomanda di usare gli stessi criteri già utilizzati! Va detto che lo stesso principio era stato enunciato nella sentenza di primo grado, ma l'interpretazione degli elementi a disposizione era stata diametralmente opposta. Insomma: stesso principio, stessi elementi in mano…per un Tribunale era radiazione, per l'altro era assoluzione.

  1. In base alla decisione di rimandare tutto alla Corte Federale di Appello, il Collegio ha rigettato le varie eccezioni proposte dalle difese. L'accoglimento del ricorso dei Procuratori, ovviamente, ha assorbito quello della FIT.

Insomma, per i nuovi giudici sarà molto complicato esprimersi perché le indicazioni del Collegio di Garanzia non forniscono elementi nuovi sulle modalità di giudizio. Non c'è dubbio che il passaggio in casa CONI sia stata una vittoria di tappa per i procuratori e l'impianto accusatorio in generale, ma a leggere le motivazioni non ci è parso di trovare chissà quali appigli per modificare le decisioni di secondo grado. Si giocherà tutto sul filo di lana. Salvo l'acquisizione di elementi nuovi, diremmo che il collegio dovrà decidere se gli attuali superano il nostro (ipotetico, fantasioso, citato per comodità) 75% di probabilità di colpevolezza. Secondo Gasparotto, Brizio e Sicari lo aveva superato. Secondo Biagini, Supino e Procaccini no. I nuovi giudici cosa diranno? Una faccenda molto, molto complicata.