Ogni volta che Thomas Fabbiano vince una partita importante è una bella notizia. Il ragazzo pugliese, trapiantato a Foligno dopo essere transitato da Roma, è uno dei personaggi più positivi del tour. Ama pensare, riflettere su quello che gli sta intorno. Doti che gli torneranno utili a fine carriera, quando sogna di aprire un bel ristorante. Ma sono fondamentali anche nel tennis, ottime per superare i tanti momenti difficili vissuti in otto anni di professionismo. Mentre Simone Bolelli e Andreas Seppi hanno perso al primo turno dell'ATP 500 di Dubai (il bolognese ha ceduto un po' troppo nettamente a Roberto Bautista Agut), “Tommy” è l'unico italiano ancora in gara. Dopo aver passato le qualificazioni, peraltro con una signora vittoria su Ivan Dodig, ha colto un bel successo su Leonardo Mayer. Gli sta davanti di 104 gradini nel ranking ATP (40 contro 144), ma con i 65 punti già intascati all'Aviation Club (57 netti), è già certo di sfondare il suo best ranking. Dovrebbe attestarsi intorno al n.126 ATP, sempre più vicino al traguardo dei top-100. Un traguardo che tanti anni fa sembrava quasi scontato, da passare in carrozza. Invece sono arrivati momenti difficili, in cui persino la parola "ritiro" è formicolata nella sua mente. I guai sono iniziati con un gran risultato, la qualificazione agli Internazionali BNL d'Italia nel 2008. Reduce da una grande annata junior (è stato top-10, con semifinali a Melbourne e Parigi), si è trovato nel tennis dei grandi senza passare dalla gavetta. Ha pensato che quel livello fosse già suo, ha perso di vista certe priorità…e per anni persino i top-200 sono stati un problema. La svolta è arrivata quando ha scelto Foligno, la Tennis Training School di Villa Candida, dove è stato accolto a braccia aperte da coach Fabio Gorietti. E' lì che ha conosciuto Luca Vanni, prima compagno di allenamenti e poi amico. Thomas, che coltiva da sempre una passionaccia per la scrittura, gli dedicò un pensiero lo scorso anno, quando Vanni centrò la finale a San Paolo. “Da Lucone a Campione”, si intitolava la lettera aperta, scritta meglio di tanti articoli pseudo-professionali. Pur felice per il toscano, Thomas soffriva e avvertiva una certa pressione. Tanti giocatori italiani hanno trovato l'exploit, mentre lui restava sempre lì, nel limbo.
FABBIANO WORLD TOUR
L'highlight della sua carriera rimaneva la qualificazione allo Us Open 2013, quando giocò più o meno alla pari con Raonic. Per il resto, costante alternanza tra gioie e delusioni senza un risultato che cambiasse le cose. Durante la stagione 2013 aveva pensato che, senza un salto di qualità, avrebbe anche potuto smettere. La crescita c'è stata, ma poi ha vissuto un anno e mezzo nuovamente nel limbo. Poi l'anno scorso è arrivata la seconda qualificazione al Foro Italico. Ed era un Thomas diverso, più sicuro di sé, forgiato da mille esperienze. Perché il ragazzo di Grottaglie ha un grande pregio: non conosce la pigrizia. Curioso oltre che affamato di punti, è andato a giocare dappertutto, ai quattro angoli del globo, rifuggendo le scelte più facili del torneucolo sotto casa. Soltanto lo scorso anno ha giocato in Messico, Tunisia, Repubblica Dominicana, Cina, Malesia e Vietnam. Oltre a un certo spessore umano e – se vogliamo – culturale, ha denotato una grande voglia di investire ancora su se stesso. E' stato ripagato in avvio di 2016, dove ha colto il miglior risultato in carriera: quarti all'ATP di Chennai, partendo dalle qualificazioni e battendo Gilles Muller. Si è ripetuto qualificandosi e Sofia e adesso sta facendo grandi cose a Dubai, dove si è regalato un ottavo di finale contro Tomas Berdych, con tanto di diretta TV. Tanti appassionati troveranno l'ennesima versione tennistica di Davide contro Golia. I due sono separati da 23 centimetri (196 contro 173) e quasi 24 milioni di dollari di differenza nel montepremi. Ma il bello del tennis è che certe cose, quando scendi in campo, non hanno più importanza. E Thomas, l'uomo dagli obiettivi nascosti (anni fa aveva ipotizzato l'ingresso tra i top-50, adesso preferisce tenersi per sé i traguardi: meglio non portarsi sfortuna da soli), sa di essersi conquistato il palcoscenico senza regali, contando solo sul “suo dolore, su sei colpi e infine su di sé” (cit.).