E' bastata una partita per riattivare la giostra. Un po' a sorpresa, Gianluigi Quinzi è tornato protagonista. L'ex Golden Boy del tennis italiano si è presentato a Raanana, Israele, dopo un paio di apparizioni in altrettanti tornei futures a Ramat Hasharon. Non c'erano grandi aspettative, invece ha superato le qualificazioni e ha colto la migliore vittoria in carriera contro Lukas Lacko. Ora: lo slovacco (ex n. 44 ATP, oggi è 97esimo) è un tipo molto incostante. Quest'anno ha perso contro Kataratsev, Giustino e Lestienne, però ha colto un paio di buoni risultati a livello challenger. La scorsa settimana aveva sfiorato il titolo a Guangzhou. Insomma, un tipo imprevedibile. Quinzi lo ha battuto in tre set e non ha usufruito di regali. Su un campo senza tribune, con giusto un paio di panchine su un lato lungo, GQ ha costruito la prima mattonella per ricostruire un palazzo che era miseramente crollato negli ultimi due anni. La storia è nota: dopo quattro anni con Eduardo Medica, il coach argentino aveva scelto un'altra strada e il “Sistema Quinzi”, come lo aveva definito l'ex coach Nicola Ceragioli, è andato in corto circuito. Ha cambiato diversi allenatori, sorprendendo persino la leggenda Mark Woodforde, che lo aveva ammirato in occasione di una vecchia Davis Cup Junior. “E' una follia!” disse l'australiano in un'intervista con TennisBest. A dicembre è arrivata la grande sorpresa: GQ aveva ripreso ad allenarsi con Medica. Una storia pregna di significati tecnici e umani, poiché tra i due si era instaurato un legame importante. “Penso a lui tutto il giorno” disse anni fa Medica in un'intervista con Lorenzo Cazzaniga. Il progetto è durato appena un paio di mesi e molti si erano preoccupati, pensavano che fosse l'ennesimo segnale di resa per un ragazzo che – non dimentichiamolo – meno di tre anni fa era considerato un futuro numero 1. Ricordate il clamore mediatico dopo il successo a Wimbledon Junior, in finale su Hyeon Chung? Servizi speciali, troupe televisive sbarcate a frotte nella sua Porto San Giorgio.
I SEGNALI DI QUATTRO ANNI FA
33 mesi dopo, il coreano fa parte della campagna “Next Generation” lanciata dall'ATP, di cui fanno parte quattordici giocatori sui vent'anni o giù di lì. C'è gente che con Quinzi perdeva regolarmente e adesso gioca i Masters 1000, mentre l'azzurro riparte con l'ennesimo progetto tecnico. Non ci hanno detto chi lo segue in Israele, ma in fondo poco importa. Vincere quattro partite di fila, soltanto qualche giorno fa, sembrava un'utopia. A Ramat Hasharon aveva perso dall'americano Peter Kobelt e dal tedesco Joans Luetjen, non esattamente due fenomeni. Ma il tennis offre sempre una chance e può darsi che a Raanana sia successo qualcosa di positivo. E' interessante riprendere – a distanza di quattro anni – il nostro Dossier Quinzi realizzato nel 2012. In quel periodo, GQ veleggiava nei tornei junior infilando una vittoria dopo l'altra e tutto faceva pensare a un futuro tanto radioso quanto imminente. Chiedemmo un parere a tecnici, giocatori, esperti e talent scout. Persone che lo conoscono bene e che, a vario titolo, ci avevano avuto a che fare. Rileggere le risposte a distanza di quattro anni è illuminante, anche perché tra i nostri interlocutori c'era Federico Torresi: ex ottimo giocatore a livello challenger, lo aveva affrontato in partita e poi qualche anno dopo sarebbe diventato il suo allenatore. Uno dei tanti finiti nel tritacarne quinziano negli ultimi due anni. Qualche segnale pericoloso c'era, ma all'epoca c'era tanto, troppo entusiasmo. Alla nostra domanda su quali sarebbero state le maggiori difficoltà che Quinzi avrebbe incontrato, molti parlarono di “non grandi difficoltà”, con il talent scout Fabio Della Vida che sentenziò: “le ha già superate”. Qualcuno era più prudente, però serpeggiava un certo ottimismo. Abbiamo isolato alcune testimonianze di allora che, lette col senno di poi, sono molto interessanti.
“Riccardo aveva cacciato dal campo solo Silvia La Fratta. Il secondo è stato Gianluigi. Durante un allenamento aveva superato il limite. Voleva vincere a tutti i costi e faceva scenate incredibili. Non si riusciva ad andare avanti.”
L'aneddoto è di Luca Ceragioli, che lo ha seguito quando il supervisore del progetto era Riccardo Piatti. Parlando di un Quinzi giovanissimo, mise in evidenza un carattere forte, ma non semplice da gestire. Sempre Ceragioli avrebbe poi aggiunto:
“Come potenziale ci metto la mano sul fuoco. Non avevo dubbi prima, non ne ho adesso e non ne avrò neanche se non ci arriva. Se si parla di potenziale io non mi stupirei di vederlo vincere uno Slam e diventare un giocatore tipo Del Potro. L’unico dubbio riguarda il “Sistema Quinzi” e le esigenze che la famiglia può nutrire su di lui. In fondo fu quella la ragione per cui smettemmo di allenarlo”
La presenza della famiglia è una costante nella vita di Quinzi. Anche Corrado Barazzutti, a margine di Italia-Svizzera di Davis, disse che i genitori sono molto presenti nella sua vita e nella sua carriera. Anni fa, papà Luca pronunciò una frase dettata dall'entusiasmo e che poi ebbe modo di ammorbidire una volta comprese certe dinamiche. Però ormai era stata messa a referto: “In America, dove hanno un'altra mentalità, te lo insegnano subito: numero uno, due, tre, potrei arrotondare a cinque. Ma già 20 non andrebbe bene". Insomma, grandi ambizioni non solo intime e personali, ma anche di tutto l'entourage. E certe pressioni, quando le cose non vanno bene, possono certamente influire.
“Quando abbiamo giocato pensavo che mi ‘portasse via’, ma poi mi sono reso conto di avere una mano migliore della sua, e questo mi ha permesso di andare avanti nel punteggio. Onestamente non mi sembra fortissimo sul piano tecnico, in passato ho visto dei giovani promettenti che facevano la differenza con il gioco, con la velocità. Lui è un bel ‘toro’, se giochi sul ritmo non sbaglia mai. Spero che arrivi tra i primi 100, altrimenti significa che c’è troppa gente che non capisce granché di tennis. Best Ranking? Dovendomi sbilanciare dico intorno al…45”.
Lo disse Massimo Capone, ex buon giocatore di livello future che oggi fa il maestro. Fu il primo a intuire, o forse ad aver il coraggio di dire, che il gioco di Quinzi non era così devastante. All'epoca, pronosticarlo attorno al numero 45 era considerato una bestemmia. Alzi la mano chi, oggi, sputerebbe su un ingresso tra i top-50. Le cose possono cambiare in fretta e Raanana lo sta dimostrando, e parlare di “allucinazione collettiva” in quegli anni sarebbe ingiusto perché GQ vinceva una partita dopo l'altra. Ma il suo tennis, davvero, aveva l'enorme potenziale di cui molti parlavano?
“Credo che possa diventare il tennista più forte che l’Italia abbia mai avuto. Di sicuro può diventare un punto di riferimento, un esempio a livello mentale. In tanti giocano bene, ma se c’è uno su cui scommetterei è proprio Gianluigi. Penso che possa entrare tra i primi 10, con punte tra i primi 5”.
Parola di Stefano Dolce, ottimo coach che all'epoca seguiva Filippo Baldi, compagno di Quinzi in epoca junior. Riportiamo la frase perché all'epoca la pensavano tutti così. Non ce ne voglia Dolce, di cui usiamo il virgolettato per un paradigma più generale, ma è possibile che troppo ottimismo non abbia fatto bene al ragazzo.
“La difficoltà più grande? Rimanere con i piedi per terra. Ha vinto belle partite a livello future, ma la strada è ancora lunga. Arriveranno periodi in cui non vincerà una partita, cosa a cui non è abituato. Oggi gioca 5 partite a settimana, dovrà essere bravo a non demoralizzarsi quando ne giocherà una o due. Altra cosa fondamentale: restare il più umile possibile e non vedere ogni sconfitta come una tragedia”
Frase significativa perché pronunciata da Federico Torresi, oggi coach di Simone Bolelli. Il tecnico marchigiano aveva previsto tutto e sapeva che il ragazzo avrebbe corso il rischio di demoralizzarsi. Inoltre gli consigliava, a distanza, di mantenere umiltà e non prendere ogni sconfitta come una tragedia. Non conosciamo così bene Quinzi da poter immaginare la sua gestione delle sconfitte, ma non c'è dubbio che i continui cambi di coach nel 2014 nel 2015 fossero dettati anche dalla fretta di ottenere risultati importanti e immediati.
Quando si parla di Quinzi, magicamente, c'è il rischio di perdere l'equilibrio nei giudizi e nelle affermazioni. E' un momento felice ma il periodo resta delicato e le difficoltà sono dietro l'angolo. In un mare di parole, crediamo che esista una chiave per consentire a Gianluigi di esprimere il massimo del suo potenziale, qualunque esso sia: la sensazione di essere uno dei tanti. L'interesse spasmodico attorno alla sua figura, cui noi abbiamo certamente contribuito (nel 2011 gli dedicammo la copertina di TennisBest Magazine e un ampio servizio: non fu l'unico), lo ha reso uno “Special One” ancora prima di vincere qualcosa. Sarà pur vero che non leggeva i giornali, sarà pur vero che non teneva conto di tanti giudizi, ma certe cose si sentono. Fossimo in lui chiederemmo qualche consiglio a Richard Gasquet, che da bambino aveva grossomodo le stesse pressioni e poi – faticosamente – è diventato uno dei tanti. E non è stato facile, visto che a 18 anni batteva Federer sul Centrale di Monte Carlo. Per adesso, sarebbe buono battere Chen Ti sul campo 9 di Raanana. E ancora più importante non buttarsi giù per un'eventuale sconfitta.