Non era affatto bella, almeno secondo i canoni estetici attuali, che prediligono le stangone dell’Est Europa, bionde o brune, Sharapova o Ivanovic che sia. Però aveva fascino, soprattutto quando si muoveva sul campo da tennis, con una grazia che si riconosceva solo alle pattinatrici sul ghiaccio. Era la Katerina Witt del tennis, l’ultima enfant prodige prima che l’elisir di lunga vita tennistica fosse scoperta sotto forma di nuovi trattamenti fisioterapici, nuove soluzioni di allenamento e regimi alimentari sempre più attenti. A 12 anni batteva chi aveva già abbandonato la pubertà e avrebbe vinto ben più di cinque Slam se quel dannato di Richard Williams non avesse notato in tv, Virginia Ruzici ricevere un grosso assegno per aver vinto un torneo di tennis e, contemporaneamente, avesse deciso di sostituire la pillola anticoncezionale con un’innocua aspirina alla moglie Oracene e di mettere al mondo altre due figlie, Venus e Serena. Col preciso scopo di farle diventare due fuoriclasse. Così è nato il Power Tennis al femminile, cacciando via chi aveva grazia ma pochi muscoli e che, forse, avrebbe vinto di più fosse nata nell’era delle racchette di legno. Il talento era naturale, forgiato dalle mani di mamma Melanie (che poi avrebbe avviato al successo anche Belinda Bencic), che le diede il nome di Martina in onore alla Navratilova, sperando in cuor suo avesse un talento simile. Non si è sbagliata, benché lo esprimesse in maniera diversa. Novella Cassandra, la miglior qualità di Martina (Hingis) era saper anticipare le intenzioni dell’avversaria, un fatto che la faceva arrivare al punto di impatto con un tale anticipo da poter fare sempre la cosa giusta al momento giusto. Poi, sia chiaro, ci metteva del suo, perché aveva geometrie perfette, un architetto del tennis, un goniometro al posto della racchetta. E quando meno te lo aspettavi… puf… la smorzata di rovescio, fintata dall’esecuzione bimane, col polso spezzato: roba che se prova a farla un quarta categoria lo porti al San Carlo con una distorsione. Nella sua carriera restano due macchie indelebili, le due finali perse a Roland Garros che le hanno impedito di realizzare il Career Slam e quindi di essere annoverata tra la Primissime di ogni tempo.
La prima nel 1997, quando dominò gli altri Major ma sul Philippe Chatrier si fece travolgere da Iva Majoli, una delle più scarse vincitrici Slam, con la Hingis menomata da una caduta da cavallo, l’altra sua grande passione sportiva; nel 1999 invece, stava scherzando Steffi Graf quando la spinta del pubblico e un punto contestato, fecero girare il match, con la scena madre che vedeva Martina uscire dal campo dopo aver perso il secondo set e rientrare con un abito e una pettinatura nuova, come a voler cancellare un passato che era troppo recente per essere dimenticato. Il 6-2 preso nel terzo set l’avrebbe azzeccato il peggior scommettitore e Martina finì col piangere sulle spalle di mamma Melanie, chiamata in campo a consolare la figlia in preda ad una cirsi di nervi. Ben altro piglio aveva con i colleghi, di qualsiasi sport si trattasse. Cominciò con Julian Alonso, uno dei maggiori sprechi del tennis negli ultimi vent’anni: a microfono spento mi confermò le fughe da mamma Melanie e l’impossibilità di scappare dalla camera d’albergo dove Martina l’aveva recluso per conoscere i primi (?) piaceri. Comunque sia, Julian si ritirò presto. Poi fu la volta di Sol Campbell, che prima indossava la fascia di capitano all’Arsenal e poi finì relegato in panchina, quando non in tribuna; quindi il golfista Sergio Garcia, che da grande promessa non riusciva più a imbucare una pallina nemmeno in una vasca da bagno (per poi tornare ad alti livelli dopo la fine della sua storia con Martina). Insomma, un curriculum che le è valso il titolo di Vedova Nera, in parte ritrattato dalla liason con Radek Stepanek, altro latin lover del tour, evidentemente preparato a ciò che lo attendeva. Alla fine Martina, nel 2010 ha sposato la sua eterna passione per i cavalli, nella persona del fantino francese Thibault Hutin, dal quale ha poi divorziato. Ciò dal quale pare invece non essersi voluta più separare, nonostante un paio di tentativi di ritiro, è proprio il tennis. Saggiamente è rientrata dalla porta di servizio, dai tornei di doppio, disciplina spesso snobbata ed evitata dalle top players e che lei ha deciso di condividere con l’indiana Sania Mirza, un’altra capace di mettersi nei guai quasi inconsapevolmente. Normale che nascesse una buona chimica. Meno normale che, pur affrontando come avversarie più toste Mattek, Shvedova e Chang Chang, riuscissero a infilare la bellezza di 41 vittorie consecutive, compresi tre tornei del Grand Slam. Tutti tranne, obviously, Roland Garros.
Martina Hingis
TALENTO E GRAZIA SENZA (QUASI) PRECEDENTI NÉ EREDI. LE È MANCATO SOLO IL TITOLO DI ROLAND GARROS PER ENTRARE NELLA LEGGENDA. SAPEVA DIVERTIRE E DIVERTIRSI, AL PUNTO CHE I SUOI FLIRT NON SEMPRE FELICI LE SONO VALSI IL TITOLO DI VEDOVA NERA