Lo scozzese appoggia la gestione del caso Sharapova e dice la sua sul doping. “Se mi capita di avere dei sospetti? Certo, le voci girano. A volte si vedono giocatori che sembrano non stancarsi mai”. Ma Becker non è d’accordo: “Dichiarazioni fuori luogo, per parlare servono le prove”.

È passato quasi un mese e mezzo da quel 7 marzo, quando in una conferenza stampa Maria Sharapova ha annunciato di aver fallito un test anti-doping durante l’Australian Open. In attesa di conoscere le sanzioni alle quali andrà in contro la russa, la questione è servita ad alzare la guardia di media, pubblico e giocatori sulla questione doping, che continua a tener banco torneo dopo torneo. L’ultimo a buttare benzina sul fuoco è stato Andy Murray, uno che ha il vizio di parlare un po’ troppo. Ma se in campo il suo atteggiamento gli si rivolge spesso contro, fuori è piuttosto apprezzato. A differenza di tanti colleghi, il numero due del mondo ha detto la sua con onestà, sia sul caso Sharapova sia su tutto il resto. “Credo sia un fatto positivo – ha detto – che la sospensione di una campionessa come la Sharapova sia stata resa pubblica. Se certe cose accadono ma non vengono rese note, si dà l’impressione di voler coprire gli atleti più importanti. La gente deve sapere”.

Al di là della questione puramente disciplinare, Murray ne fa anche un discorso di trasparenza. “Se qualcuno, dopo aver fallito un test, è in attesa di una sentenza, o sta addirittura già scontando il periodo di sospensione, il tutto deve essere di dominio pubblico”. Chiara l’allusione al caso di Marin Cilic, che nel 2013 si cancellò dal torneo di Wimbledon per un presunto infortunio, ma si scoprì che in realtà stava scontando un ‘silent ban’: un periodo di sospensione – per aver assunto un farmaco proibito – tenuto nascosto al pubblico in accordo con l’ITF. Anche se, volendo leggere tra le righe, sembrerebbe di intuire che quello di Cilic non sia stato l’unico caso. “La gente parla, iniziano a nascere dei sospetti e solo dopo si finisce per scoprire la verità. È terribile. Quando vengono a galla certe cose, non bisogna cercare di minimizzare il problema. Bisogna combatterlo, anche se è raro”.

Uno dei principali problemi del sistema antidoping sono i fondi, troppo scarsi per fronteggiare a dovere un fenomeno in continua evoluzione. Secondo Murray, tuttavia, la possibile soluzione è a portata di mano. “Nel mondo del tennis, oggi, girano tantissimi soldi. Perché non investirne di più nei programmi antidoping? Si è arrivati a incassare oltre un milione di dollari per ogni torneo vinto, eppure i fondi dell’antidoping sono ancora di pochi milioni a stagione. Per proteggere l’integrità del nostro sport avrebbe più senso investire di più nella lotta al doping, piuttosto che continuare a ritoccare i prize money”.

Non pago, ed è qui che la questione ha assunto contorni molto interessanti, Murray non ha esitato a parlare di alcuni sospetti che a lui stesso sono venuti, come quando durante un allenamento con Wayne Odesnik (poi squalificato per possesso di ormone della crescita) si accorse del petto enorme dello statunitense. “Ho mai avuto sospetti su altri giocatori? Certo. Le voci girano. Mi è capitato di giocare contro gente che sembrava non stancarsi mai. Magari non si notano dei progressi tecnici, ma se qualcuno gioca sei ore e non dà segni di fatica ce ne si accorge”.

Quelle di Murray sono parole forti, ma senza nomi o prove rimangono solo sospetti. Da qui le critiche di Boris Becker. “Se non ci sono prove – ha detto il coach di Novak Djokovic – non si può pensare che un giocatore faccia uso di sostanze illecite solo perché vince di più. È totalmente fuori luogo. Anche Andy spesso in campo risulta uno dei più preparati fisicamente, ma nessuno mette in discussione la sua etica. Credo che sia pulito al 100%, come lo sono Federer, Nadal e tutti gli altri. Ci sono stati spesso dei sospetti anche su ‘Rafa’, e credo sia una incredibile mancanza di rispetto nei confronti di uno dei giocatori più forti di tutti i tempi. Io posso parlare solo per Novak, e posso assicurare che viene testato molto spesso. Durante l’Australian Open è successo sia nella prima sia nella seconda settimana, una volta addirittura alle 7 di mattina, nella sua stanza d’hotel, quando doveva giocare nella sessione serale. Queste sono le regole”.