L’INTERVISTA – Dai primi colpi su un campetto malandato a casa del nonno, a un posto agli Internazionali d’Italia. Da numero 801 ATP, con un diploma di liceo scientifico (statale) e i piedi ben piantati per terra. Andrea Vavassori, 1 metro e 90 abbondante e 21 anni festeggiati giovedì con un regalo speciale: la wild card per le qualificazioni. (Foto Sposito / FIT)

– Il torneo inizia oggi, ma gli Internazionali d’Italia hanno già un vincitore: 21 anni, un metro e 93, occhi azzurri e testa sulle spalle. Si chiama Andrea Vavassori e il suo è uno dei tanti volti che negli ultimi sette giorni hanno calcato i campi del Foro Italico, a combattere nelle pre-qualificazioni per un piccolo posto al sole. La differenza con tanti altri è che lui quel posto se l’è preso sul serio, e oggi farà il suo esordio a Roma contro Damir Dzhumhur, uno che quest’anno ha messo al tappeto Nadal e Berdych. Le ultime vittime internazionali dell’azzurro? Gee, Ubiergo, Andrzejczuk, Papik, Tomasetto: alzi la mano chi ne conosce uno. L’abbiamo pizzicato venerdì pomeriggio nei pressi del Pietrangeli, a pochi passi dagli stand commerciali, a chiacchierare indisturbato col padre-coach e un paio di amici. Richieste d’autografi? Zero. Foto? Ancora meno. Il bello, si fa per dire, di essere numero 801 del mondo. “Wave”, come lo chiamano gli amici, è un ragazzo sveglio, intelligente. Non sorprende scoprire che ha un diploma al liceo scientifico statale. È stato quello a frenarne l’attività, che sembra essersi impennata negli ultimi sette giorni, fino a regalargli un Masters 1000. Certo, si parla di qualificazioni, ma è comunque tantissimo per chi ha iniziato a fare sul serio lo scorso anno, è abituato alla difficile vita dei Futures e naviga lontanissimo dal tennis che conta. Per rendere l’idea: se riuscisse nell’impresa di qualificarsi raccoglierebbe 35 punti ATP in un colpo solo, più dei 26 messi insieme negli ultimi dodici mesi. Già trovarlo in gara, insomma, è una grande sorpresa.

Numero 801 al mondo, in gara agli Internazionali d’Italia. Chi è Andrea Vavassori?
Un ventunenne torinese che si allena da sempre con suo padre Davide, prima a Rivoli dove ho abitato, poi allo Sporting Club Monviso (sede del Challenger di Torino, ndr) dove sono cresciuto, quindi a Pinerolo, dove abito da tre-quattro anni. Un anno e mezzo fa ho finito il liceo scientifico statale e ho deciso di provarci sul serio col tennis. Con papà ci siamo dati 3-4 anni per cercare di diventare un giocatore professionista. Sono un ragazzo tranquillo, coi piedi per terra, che va d’accordo con tutti e adora quest’ambiente, andare al cinema e la musica dei Coldplay.

Si tende a etichettare i giocatori in base al loro stile di gioco. In che categoria ti inserisci?
L’obiettivo è diventare presto un giocatore a tutto campo. Per il momento non lo sono ancora, principalmente mi piace spingere da fondo campo. Le mie armi principali sono servizio e diritto, gioco il rovescio a una mano, vario spesso con l’utilizzo dello slice, e appena posso vado a rete. Mi piacerebbe gradualmente completare il mio tennis, aggiungere il serve&volley, la smorzata. Insomma, variare il più possibile per diventare veramente un giocatore a tutto campo.

Hai parlato di un progetto a lungo termine, 3-4 anni per diventare un professionista a tutti gli effetti. A che punto sei del percorso?
Vi racconto un aneddoto. Ho iniziato a giocare da piccolissimo con mio padre, maestro di tennis. Giocavamo su un campo in cemento nella casa di mio nonno, e al centro del campo c’era una crepa, abbastanza visibile. Ogni giorno che passava, mio padre mi indicava sulla crepa a che punto ero arrivato. Diciamo che ora credo di aver superato la metà. Non è stato facile, durante gli anni del liceo ho potuto fare pochissima attività internazionale. Non potendomi assentare troppo dalla scuola pubblica ho giocato solamente qualche torneo Open nella mia zona. Si può dire che il mio primo vero anno a livello internazionale sia stato il 2015, ho disputato circa 25 tornei. Sono entrato nel ranking ATP a marzo, e da lì in poi c’è stata una crescita continua di cui sono felice e soddisfatto.

Arrivi addirittura dai tornei Open di pre-qualificazione. Ci racconti la tua esperienza?
Sì, sono uno dei pochi che arriva dagli Open (in realtà sono in cinque: oltre a lui ci sono Giacalone, Giovine, Di Giuseppe e Brianti, ndr). Ho giocato il primo torneo al Monviso, dove mi sono allenato per tanti anni, e lì ho preso il pass per le pre-qualificazioni del doppio, in coppia con Colella. In singolare, invece, ho perso ai quarti di finale. Visto che mi sarebbe piaciuto tanto vivere questa esperienza anche da singolarista, ho deciso di andare a giocare un altro Open BNL  a Pescara, sono arrivato in finale ed eccomi qui.

Nelle pre-qualificazioni hai sconfitto prima Giannessi e poi Mager, due giocatori nettamente superiori al tuo livello attuale. A quanto pare la tua classifica mente…
Non nascondo che sono venuto a Roma con delle aspettative. Non troppe ma sapevo di potermela giocare. Mi ha dato una grossa mano la vittoria contro Giannessi, un giocatore particolarmente solido e molto più esperto di me. Infatti nel primo set mi ha dato 6-0, ero molto teso, era la mia prima volta in un palcoscenico come questo. Però ci ho creduto, ho iniziato ad aggredire la palla, sempre di più, e punto dopo punto è andata sempre meglio. Idem contro Mager: sapevo che se avessi servito bene e giocato un tennis aggressivo avrei potuto vincere (è finita 7-6 7-6, ndr). Sono stato bravo nelle fasi finali del secondo set.

Quella è stata la vittoria fondamentale, visto che poi hai perso tre match, ma per una serie di circostanze sei comunque riuscito ad arrivare alla wild card. La fortuna aiuta gli audaci, è il caso di dirlo?
Sicuramente sono stato fortunato. Mi spiace per come ho perso i primi due match, contro Arnaboldi e Giustino, ma le vittorie precedenti sono state molto impegnative. Però anche le sconfitte mi sono servite. Per esempio il match contro Arnaboldi: ho proprio notato da parte sua un approccio alla partita completamente diverso dal mio, ha tutt’altra esperienza. Spero di recuperare presto questo gap che mi separa dai giocatori del suo livello. Diciamo che mi dispiace non aver preso la wild card direttamente, perdendo 6-4 al terzo lo spareggio con Giacalone. Però sapevamo entrambi che Fabbiano era lì lì per entrare direttamente nelle qualificazioni, c’erano buone chance anche per il perdente.

E quando ti hanno comunicato che la wild card era tua?
Grande gioia, anche perché ieri era il mio compleanno. Ancora devo metabolizzare il fatto che domani giocherò su questi campi. Per me è qualcosa di completamente nuovo, sto imparando a muovermi in un ambiente così. Si tratta di un contesto completamente diverso da quelli a cui sono abituato. Si può dire che qui inizia il vero mondo del tennis professionistico, i Futures sono tornei preliminari. Cosa posso dire? Una grande soddisfazione e un’emozione vera. Per un italiano giocare qui è il massimo.

Sei match in sette giorni per arrivare nel torneo vero e proprio. Le pre-qualificazioni sono un vantaggio perché aiutano ad abituarsi all’ambiente, o uno svantaggio perché al torneo ci si arriva troppo stanchi?
Sicuramente un vantaggio. Ho capito le condizioni, mi sono abituato al cambio palle dopo 7 e poi ogni 9 game (nei Futures è 11/13, ndr), e anche a vedere tanta gente intorno ai campi. E poi giocare con avversari come quelli che ho affrontato io aiuta molto ad alzare il livello per gli incontri successivi. La tensione dei primi giorni ormai è svanita. È stato anche importante mostrare il mio livello ai tecnici della Federazione, che già mi ha aiutato lo scorso inverno. Mi sono allenato per tre settimane al Centro Tecnico di Tirrenia, confrontandomi coi migliori ragazzi della mia età. Mi è servito moltissimo.

Domani è il grande giorno: cosa ti aspetti dal tuo match di primo turno?
Dovrò cercare di giocare il match della vita, e vediamo come va.

Cosa ti rimarrà in tasca di questa esperienza?
L’emozione di aver giocato al Foro Italico, insieme a mio padre che ha sempre creduto in me. E poi match che mi torneranno utili in futuro. Questa settimana ci ha accompagnato anche il mio mental coach, Gianfranco Santiglia, un amico di vecchia data di mio padre che è venuto qui apposta per me. Ho iniziato a lavorare con lui da poco ma ho subito notato grandi miglioramenti. Dopo solo una settimana ho raggiunto la mia unica finale a livello Futures, ad aprile a Sharm El Sheikh. Credo che l’aspetto mentale sia quello su cui posso migliorare di più, che può dare più vantaggi al mio gioco. Ci sono ancora tante crepe da saldare.

Come ci torni a giocare nei Futures, praticamente senza spettatori, dopo una settimana così?
Con umiltà, sono un ragazzo molto umile. Mi piacerebbe cercare di stringere i tempi, per passare subito a livello Challenger, e credo che questa esperienza mi aiuterà molto. Però non mi toglierà i piedi da terra. Ripartirò da dove ho lasciato, per cercare di salire in classifica, passaggio necessario per poi provare le qualificazioni nei Challenger. Giocherò qualche Futures in Italia e poi magari una trasferta all’estero, per giocare un po’ sul cemento, la superficie su cui mi trovo meglio.

Dove ti vedi in futuro?
L’obiettivo è alzare il livello, settimana dopo settimana. Dall’anno scorso ho fatto notevoli passi avanti e ne sono contento, spero di continuare così. Mi piacerebbe vivere di tennis, che in questo sport significa arrivare fra i primi 100-150 del mondo. Ecco, tra un paio d’anni mi piacerebbe essere lì. Cercherò di fare tutto il possibile.

Magari partendo proprio da questo torneo…
Spero che la mia permanenza qui duri ancora il più a lungo possibile. Poi proverò a confermarmi il prossimo anno, regalandomi di nuovo un’esperienza da sogno.