In un’intervista col quotidiano francese L’Equipe, lo zio-coach di “Rafa” ha fatto delle riflessioni molto interessanti sul futuro del tennis, secondo lui sempre più schiavo dei picchiatori, a scapito di tecnica e spettacolo. Parole condivisibili o meno, ma che (per una volta) meritano considerazione.

Nell’attuale mondo del tennis, produrre interviste di qualità nel corso dei tornei è sempre più difficile. I rapporti media-giocatori sono ormai ridotti all’osso, e gli atleti tendono a sbottonarsi il meno possibile, recitando raffiche di frasi fatte per restare nei canoni del “politically correct”, protetti da manager, addetti stampa e pure dai responsabili della comunicazione dell’ATP, che invece di agevolare il lavoro dei giornalisti fanno spesso (e volentieri?) l’esatto contrario. Per questo, tante volte ha maggior valore la voce dei coach, più liberi di parlare apertamente, di dire sul serio ciò che pensano. In sintesi, quello che ha fatto Toni Nadal a Parigi, in un’intervista per il quotidiano L’Equipe (qui l’originale in lingua francese, ma la versione integrale è a pagamento). Lo spagnolo non è propriamente noto per le sue opinioni da “maître à penser”, e anzi in passato le sue parole hanno spesso fatto discutere, ma stavolta merita di essere ascoltato. Stimolato dalle domande intelligenti di Julien Reboullet (bravo a non toccare quasi mai l’argomento “Rafa”), lo zio più famoso del circuito ha fatto un’analisi sensata e condivisibile sulla direzione che sta prendendo il tennis moderno, argomento che in pochi conoscono meglio chi lo vive ai più alti livelli da oltre dieci anni. Al di là delle simpatie o antipatie per l’uomo o il coach, le parole di Toni meritano considerazione, anche solo per come ha costruito, dal nulla o quasi, un campione del calibro del nipote. Di seguito, la traduzione integrale dell’intervista, apparsa oggi sulla versione online de L’Equipe, uno dei quotidiani sportivi più apprezzati al mondo.

Il tennis attuale, lo sport che vedi girando il mondo insieme a tuo nipote, ti piace?
In generale non molto. Mi piacciono i giochi di strategia, di abilità. Non un gioco fine a sé stesso. Mi piace quando si pensa. È il pensiero che conta, no?

Pensi si colpisca e basta?
Nel tennis contemporaneo, abbiamo avuto un lungo periodo con Roger Federer al top. Un giocatore dalla tecnica fantastica. Ma ultimamente c’è un evoluzione verso un gioco molto veloce, senza strategia, un bum bum bum tutti i punti. Oggi, gli specialisti della terra battuta vengono considerati pedalatori che tirano la palla di là. Ma dall’altra parte abbiamo giocatori che tirano solo ogni colpo. Come nel baseball.

Non è solamente un’evoluzione per stare al passo coi tempi?
Ho letto qualche libro sulla civilizzazione dello spettacolo. Il ruolo dello sport nella nostra epoca non è comparabile col suo ruolo nell’antichità. Chi frequentava l’Accademia (la scuola di filosofia fondata da Platone ad Atene, nel quarto secolo a.C.) aveva delineato lo sport in modo molto chiaro: attività fisica complementare ad attività intellettuale. Ha sviluppato alcuni aspetti positivi del carattere, come lo sforzo, la disciplina, la strategia. È ciò che ci differenzia dagli animali. Oggi il nostro sport si sta allontanando da questo.

Come mai?
La mia visione è che chi governa il tennis non decide chi vince o diventa numero uno del mondo, ma almeno il tipo di gioco che dominerà. Le regole che danno una direzione al gioco.

Il tennis ha un problema con le regole?
Le regole di tanti sport sono cambiate, perché sono cambiati gli atleti, la loro potenza e l’attrezzatura. Ma non ho visto nessun cambiamento nel tennis, dall’introduzione del tie-break negli Anni ’70. Il fisico di un giocatore attuale non può essere comparato a quello di un giocatore dell’epoca. Così come l’attrezzatura, l’intensità degli allenamenti, la professionalità. Ma le difficoltà nel gioco sono rimaste le stesse. E questo ha portato al problema attuale: in quale altro sport un punto inizia con un rigore? Perché il caso del tennis è questo, il giocatore in risposta sembra un portiere durante una serie di calci di rigore.

Ma se tuo nipote fosse altro due metri e servisse a 250 km/h, la cosa ti piacerebbe, no?
Calma. Ci stiamo confondendo, non bisogna guardare il discorso personale. Ciò che sto dicendo non c’entra con Rafa, in questo caso il fatto che lui giochi o meno non ha nulla a che fare col mio modo di vedere le cose. Sto parlando da spettatore, che pensa al gioco in generale. Invece, da coach di Rafael, non voglio che cambi nulla. Ha vinto quattordici Slam e ha avuto una carriera straordinaria con le regole che sto criticando e nel periodo di cui stiamo parlando. Non sono un idiota! Sono qualcuno che ha delle preferenze e non è il solo a pensarla così.

Cosa intendi?
Ti faccio io una domanda: quali sono i punti a ricevere più applausi?

I più spettacolari…
E?

Generalmente gli scambi lunghi…
Esatto. Sai quale giocatore è stato sempre il più applaudito lo scorso dicembre nel corso dell’IPTL in Asia? Fabrice Santoro. Perché sa fare tutto, una volèe stoppata seguita da un pallonetto, tutto. Quali giocatori preferiamo vedere: quelli che come lui sanno creare gioco, o chi tira solamente tutto il più forte possibile?

Pensi che altri sport siano stati più abili ad adattarsi?
Ovviamente. Guarda come si è evoluto il mondo del calcio. Ai Mondiali di Italia ’90 cosa è successo? Un sacco di partite con pochissimi goal, 1-0 o 1-1 quando andava bene. Era chiaro che servisse qualcosa per intrattenere di più gli spettatori. Quindi sono cambiate due cose: è stato proibito il retropassaggio al portiere e sono stati inseriti i tre punti per la vittoria, a differenza dei due di prima. Ed è cambiata completamente la qualità dello spettacolo. Chi è il più forte nel calcio attuale? Il più forte fisicamente? No, quelli con più qualità tecniche. Messi, Neymar e altri…

Se seguiamo il tuo ragionamento, non andresti mai a vedere un match Raonic-Kyrgios…
Ci andrei perché è parte del tennis presente. Ma se non fossi coinvolto nel tennis di alto livello come sono stato negli ultimi dieci anni, è certo che preferirei guardare un giocatore tecnico piuttosto che uno che colpisce forte e basta. Perché mi piace la strategia. Nel calcio c’è Cristiano Ronaldo, un fenomeno, nessun dubbio. Ma preferisco un Messi, o uno Xavi, che in campo pensano di più. La vedo così in ogni sport.

Dopo le sconfitte di Rafael a Wimbledon contro Rosol o Kyrgios, hai lasciato intendere che il loro gioco non fosse tennis…
No no no, non ho mai detto questo. È tennis perché rientra nelle regole del gioco. Ho solo detto che è un tennis che a me non piace, ma non è detto che io abbia ragione. Ho detto che il tennis si sta velocizzando, che tirare dei colpi vincenti è diventato più facile. Kyrgios è un grande giocatore che può diventare numero uno del mondo. Prendi Zverev, per esempio, è un giocatore formidabile, gioca con grande velocità, serve forte. Fortunatamente, ci sono ancora giocatori di maggior “controllo” come Djokovic. Ma credo che evolversi, adattarsi, sia essenziale nella nostra società. Tutto nella vita va molto velocemente. Pagare per vedere un match senza scambi? Per me non è una bella idea. Ma non pretendo assolutamente di avere ragione.

Torniamo ai cambiamenti. Toni, cosa può essere cambiato nel tennis?
Ci sono un sacco di cose che possiamo cambiare, ma bisogna decidere. Per me, soprattutto serve un cambio nell’attrezzatura. Prima, le racchette avevano un ovale molto piccolo, che richiedeva una maggiore padronanza della tecnica. Ma serve un punto di vista più ampio sulla questione: dobbiamo chiederci quale tipo di giocatore vogliamo vedere. Che genere di spettacolo vogliamo offrire? In base alla risposta a questa domanda fondamentale, possiamo cambiare le regole. Si criticano i troppi tempi morti fra un punto e l’altro, ma è relativo. Se quel tempo servisse per garantire degli scambi più lunghi rispetto a quelli da 3-4 colpi, come la maggior parte dei punti dello scorso Australian Open, chi ne guadagnerebbe?

E se ci fosse solamente un servizio?
Non credo che sarebbe un cambiamento così radicale. Ma, ripeto, darei priorità al cambio dei materiali: racchette dall’ovale più piccolo, palle più grandi o almeno meno veloci, e altre cose. Le condizioni del gioco hanno reso molto difficile controllare la palla, e in questa considerazione va incluso anche il livello amatoriale. Quando pratichi uno sport, perché lo fai? Per divertirti. Nel tennis, oggi, ci si diverte molto raramente. Perché la palla va troppo veloce.

Perché non entrare a far parte di un comitato che lavora per il futuro del tennis?
I leader attuali hanno un problema: generalmente sono anziani. Non amano i cambiamenti.

Avete aperto un’accademia a Manacor. Quale sarà la filosofia di lavoro?
Applicare ciò che il tennis attuale chiede, abbastanza facile. Se il gioco dice che bisogna assolutamente colpire forte, chi verrà da noi imparerà a tirare forte.

È chi governa il tennis, in qualche modo, che ti dice come formare i giocatori?
Ovviamente sì. Vedo un sacco di giocatori giovani all’accademia. Colpiscono tutto a 2000, senza nessun controllo. Colpiscono, colpiscono, colpiscono. Mi adatto a quello che il mio sport mi chiede. Io preferirei insistere sulla tecnica, sulla determinazione, su come superare col proprio spirito le difficoltà tecniche. Ma se il tipo di tennis che funziona è un altro, insegneremo quello. Rischiando che gli applausi diventino sempre di meglio. Al momento sta funzionando, perché la gente viene a vedere i giocatori, i personaggi, e al momento ce ne sono alcuni fenomenali. Ma non va mai dimenticato che vanno ai tornei anche per vedere un incontro di tennis.