Le parolacce, o magari gli insulti, farebbero più audience. Però non è andata così. Chi legge con attenzione TennisBest ricorderà il famoso “Caso Giorgi”, scoppiato due anni e mezzo fa dopo un articolo uscito su Sports Illustrated, cui è seguita una nostra inchiesta. I fatti: durante la loro permanenza negli Stati Uniti, i Giorgi avrebbero accumulato una serie di debiti con varie persone e in varie strutture. Uno dei creditori, Dominic Owen, aveva intentato una causa e l’ha vinta. Nel febbraio 2015 gli è pervenuto il pagamento, tratto dal prize money dello Us Open. Molti ricorderanno che Sergio Giorgi la prese malissimo, insultandomi durante una conferenza stampa a Roma nel 2014. Da allora, abbiamo seguito le vicende tecniche di Camila senza fare quasi mai menzione a quell’episodio (salvo, naturalmente, quando abbiamo appreso che aveva saldato il suo debito). Avevo incrociato Sergio Giorgi altre 2-3 volte, ma non era mai successo niente. L’altro giorno deve aver letto il mio articolo in cui sottolineavo la presenza di “estranei” alle conferenze stampa. Per “estranei”, ovviamente, intendevo le persone che non sono giornalisti, giocatori o addetti stampa. Un’anomalia che non dovrebbe essere tollerata, ma ormai è sdoganata da anni. E’ come se un giornalista entrasse in palestra o negli spogliatoi. Se io mi trovassi nella palestra dove si allenano i giocatori, ovviamente sarei un estraneo. E’ evidente. Al termine della mini-conferenza di Camila (poche domande, risposte brevi), ho incrociato Sergio fuori dalla “Press Conference Room 2” mentre Camila registrava un intervista TV con ESPN Latin America (dopo il caso Fed Cup, ha scelto la via del silenzio stampa con gli organi di comunicazione della FIT, SuperTennis compresa). Sergio ha attaccato bottone partendo dal concetto di “estraneo”, sostenendo che l’estraneo alla conferenza stampa sarei stato io. Naturalmente ho replicato, provando a spiegare il senso della mia frase. Il tutto, davanti a un capannello di giornalisti italiani che hanno fatto circolo intorno a noi e si sono gustati lo spettacolo. A un certo punto è stato anche acceso un registratore sotto il nostro grugno. A differenza di due anni fa, Sergio era disponibile a parlare e la conversazione è andata avanti per oltre 10 minuti, con toni accesi ma mai offensivi, qualche parolaccia ma nessun insulto. Insomma, una conversazione franca e (credo) onesta.
UN ONESTO SCAMBIO DI OPINIONI
Sergio è partito sostenendo che siamo dei “leccaculo” della federazione. Ce l’aveva in particolare con il Presidente FIT Angelo Binaghi, apostrofato un paio di volte. Ovviamente TennisBest non “lecca il culo” a nessuno. Giusto un paio di giorni fa, è uscito un editoriale di Lorenzo Cazzaniga sul sostanziale fallimento del Centro Tecnico di Tirrenia, incapace di produrre top-100 in dodici anni di attività. Tra le varie cose, Cazzaniga ha ribadito che Eduardo Infantino – in un’azienda privata – sarebbe già stato sollevato dall’incarico. Cose che abbiamo detto mille volte, come quando chiesi chiaramente a Renzo Furlan se la sua esperienza a Tirrenia fosse da considerare un fallimento. Sia Renzo che tecnici e dirigenti federali (Giancarlo Palumbo l’anno scorso, quando abbiamo effettuato il lungo “Reportage Tirrenia”, Angelo Binaghi quattro anni fa) hanno replicato e difeso la struttura. Credo che Sergio Giorgi abbia capito, poiché ha aggiunto: “Ok, ma Tirrenia (che va malissimo) è solo una piccola parte della FIT, per il resto scrivete che va tutto bene!”. Tra gli elementi da criticare ha menzionato le spese e i “viaggi premio” di parecchi dirigenti, specie in occasione di Davis e Fed Cup. Ragionamenti che possono essere condivisibili, anche se va detto che parecchi dirigenti svolgono il loro incarico a titolo gratuito, quindi i “viaggi premio” sono una specie di indennizzo. Per limitarci a fatti recenti, ho ricordato a Sergio come avessi sottolineato l’ineleganza di un’affermazione di Angelo Binaghi, che aveva citato la Guerra delle Falkland-Malvinas durante la presentazione degli Internazionali BNL d’Italia, come esempio di “guerra persa” da Sergio Giorgi. La conversazione è andata avanti anche dopo che Camila, salutato il padre con un bacino, se n’è andata dopo aver ultimato le interviste. Sergio ha ribadito più volte di non avercela con me e nemmeno con il direttore (“L’ho insultato a Marsiglia perché dovevo togliermi lo sfizio”). A quel punto, mi è parso giusto ricordargli l’origine degli screzi: la storia dei debiti. Parlando, ha spiegato cosa non gli è andato giù. Sostanzialmente due cose:
1) Il fatto che non l’avessimo contattato prima di uscire con l’articolo (pubblicato il 4 febbraio 2014)
2) L’idea che ce la fossimo presa con la figlia. (“Potete dire quello che volete su di me, ma se attaccate lei, che non rompe i c….. a nessuno, io mi arrabbio”)
Sul primo punto, nelle prime righe della nostra inchiesta avevamo pubblicato la doppia replica di Sergio: sia quella apparsa sul sito ufficiale www.camilagiorgi.it, sia quanto aveva riportato ad alcuni media australiani durante l’Australian Open 2014. Sembrava evidente la sua scarsa voglia di parlare dei fatti. Nell’ultimo paragrafo, inoltre, scrissi: “Alla famiglia Giorgi è doveroso offrire la possibilità di difendersi”, peraltro domandandomi se avevano presentato appello contro la sentenza che li aveva condannati a pagare le spese. La prima occasione di parlare con Sergio avvenne tre mesi dopo, a Roma, ma successe quel che successe. Mi auguro che, dopo la chiacchierata, papà Giorgi possa rileggere con spirito diverso quell’articolo. Lui ritiene che avremmo dovuto cercarlo prima, però è anche vero che non aveva risposto alle richieste di Jon Wertheim di Sports Illustrated. Sul secondo punto abbiamo discusso parecchio. Gli ho detto che mai e poi mai abbiamo parlato male della figlia sul piano personale. Si può non essere d’accordo sulle scelte tattiche in campo, si può sindacare sul tenore delle risposte in conferenza stampa, ma il rispetto per la persona e la giocatrice – come per chiunque – non è mai venuto meno. Parlando, è emerso che Sergio non ha mandato giù il titolo: “Camila Giorgi: colpevole o innocente?”. A suo dire, se il titolo fosse stato su di lui, non se la sarebbe presa. Io gli ho detto che l’articolo spiegava la faccenda nei dettagli (anzi, c’è anche chi ha parlato bene di Camila: l’ex davisman peruviano Pablo Arraya). Lui ha concordato, ma ritiene che sia stato il titolo a fare la differenza. “Perché la gente legge il titolo ed è quello che conta, è quello che rimane impresso”. Non sono d’accordo, ma naturalmente rispetto la sua opinione. Quanto al titolo, il motivo fu semplice: nella sentenza del tribunale di Hillsbourugh, il contendente è Camila, non lui. In tutta la sentenza, la dicitura “Sergio Giorgi” non compare mai, mentre il nome di Camila è menzionato cinque volte. Su questo punto la pensiamo diversamente, ma ci sta. A proposito di sentenze, Sergio ha ribadito di averne vinte un paio anche contro Owen, e di aver perso la prima perché il coach americano gli aveva intentato la causa quando loro erano andati via dall’America. “Ma a me Owen ha detto che non ha mai perso una causa contro di te. Quindi mi ha detto una bugia?”. A questa domanda, mi ha osservato lo sguardo di chi la sa lunga, dichiarandosi disponibile a spiegare e approfondire la faccenda in futuro. Credo che questa sia la notizia migliore dell’intera chiacchierata: c’è la disponibilità a parlare serenamente della storia: appena sarà possibile (anche in merito alla recente vertenza con la FIT), chiederò certamente un incontro con Sergio per parlare in tutta tranquillità e dargli la possibilità di esporre, totalmente, la sua versione dei fatti. E’ onesto dire che la conversazione è diventata sempre più serena, al punto che mi sono permesso di chiedergli: “Tifi Boca o River?”, apprendendo che è un tifoso Xeneize. E non ci sono stati problemi nel salutarsi con una stretta di mano.
KARIN, OCCHIO ALLA FURIA KAZAKA – L’incontro con Sergio ha chiaramente monopolizzato la giornata, ma non sono mancati aneddoti divertenti, sia dentro che fuori dal campo. Mi è piaciuta la sportività di Andrea Petkovic: dopo aver perso da Yulia Putintseva, ha trovato la forza di sorridere e abbracciarla. Mica facile, contro una delle giocatrici più scorrette del tour, una che fa scenate di continuo, strilla, lancia racchette e parla male delle colleghe (vedi il battibecco di tre anni fa con la Vandeweghe). Sarà proprio la kazaka la prossima avversaria di Karin Knapp, ultima italiana in tabellone. “Per fortuna io non bado molto a queste cose, riesco a pensare solo a me stessa” ha detto Karin, assoluta protagonista della giornata azzurra. Ciò che mi colpisce, dell’altoatesina, è lo sguardo quasi impaurito quando le si ricorda il calvario dei passati infortuni. Ci si sente quasi in colpa a tirare fuori l’argomento.
ALIZE, IL MARIO MEROLA IN GONNELLA – David Goffin è un ragazzo tranquillo, non penseresti mai che parlerebbe male di un collega. Eppure ha citato chiaramente lo scarso fairplay di Carlos Berlocq durante il loro match (comunque vinto dal belga). Chissà cosa deve aver combinato “Charly” per farlo arrabbiare così…di certo, Tatjana Maria (ex Malek) ha preso malissimo il comportamento di Alize Cornet nel loro match-dramma sul Campo 2, vinto dalla francese dopo una lunga serie di lacrime e scenate per infortuni muscolari (veri o presunti). Al momento di stringerle la mano, le ha detto qualcosa con aria di sfida e le ha puntato il dito contro. In effetti, il comportamento della Cornet ha lasciato più di un dubbio.
MAHUT FA VALERE IL PASSAPORTO – E’ un bel vantaggio essere francesi al Roland Garros. Nicolas Mahut si è ritirato durante il match contro Marcel Granollers per una calcificazione al ginocchio destro. “E’ un problema che arriva all’improvviso, senza sintomi. Mi era già successo a Madrid, ma di solito in 48 ore si sistema. Ho già parlato con Forget e gli ho chiesto di farmi giocare il doppio sabato. Domani non riuscirei a scendere in campo, neanche per il misto”. Ovviamente è stato accontentato: non c’è traccia di Mahut nell’ordine di gioco di venerdì.
SI STANCA CHI FA LE PALLE CORTE, NON CHI CORRE – Cosimo Mongelli vi ha raccontato il match tra Tsonga e Baghdatis, sottolineando l’incredibile numero di palle corte del cipriota: beh, qualcuno si è preso la briga di contarle. Ne ha tirate ben 68. “Beh, vuol dire che ho mostrato la mia ottima condizione atletica – ha detto Tsonga – significa che ho fatto 68 scatti in avanti e alla fine lui era più stanco di me. Va benissimo. Dopo 40-50 smorzate, ha capito che non me l’avrebbe più fatta e ha smesso di farne”.
LA FRASE DEL GIORNO 1 – Madison Keys sulla sorella minore.
“Mi ha chiamato ieri, ma non sapeva dove fossi. La sua maestra le aveva chiesto dove mi trovassi e non aveva saputo rispondere. Mi ha detto che Parigi è un ottimo posto per comprare un regalo. Forse è un po’ cara…ma poi ha aggiunto che ne avremmo parlato. Il problema è che in quel momento è arrivata nostra madre e la conversazione è terminata!”.
FRASE DEL GIORNO 2 – Timea Bacsinszky è l’unica che rivaleggia con Roger Federer nella lunghezza delle risposte. Dopo il successo sulla Bouchard, si è presentata in ritardo alla conferenza stampa.
“Vi spiego perché: dopo il mio match ho conosciuto Nino Niederreiter , un giocatore di hockey su ghiaccio che è venuto a vedere il mio match. Ho pensato che avremmo parlato 4-5 minuti, ma alla fine abbiamo chiacchierato per 20 minuti. C’erano tanti argomenti, soprattutto quando parli con una fonte di ispirazione. Chi pratica uno sport non convenzionale è sempre una fonte di ispirazione per me. Vorrei ringraziarlo e spero che venga anche sabato, in modo di parlare ancora un po’”.
Una franca chiacchierata con Sergio Giorgi
A SPASSO PER IL ROLAND GARROS – A due anni dall’esplosione di rabbia per la nostra inchiesta, c’è stata finalmente la possibilità di parlare con il padre di Camila. Toni accesi ma corretti, qualche parolaccia ma nessun insulto. E la promessa di ritrovarsi per un chiarimento ancora più preciso.